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Elda racconta: Ca’ ed Second

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Elda racconta: ca’ ed Second

Mi piace di tornare bambina e farvi ripercorrere con me le vie che esistevano non più di settant’anni fa, per arrivare al Santuario di Bismantova, allora denominato semplicemente “La Madòna ed la Preda”.

Si doveva percorrere a piedi, una lunga mulattiera fino al curvone, dove ora inizia il tratto pianeggiante, che porta al piazzale, poi da lì proseguivate per il sentiero che c’è ancora e lo trovate alla vostra sinistra

(Non fatevi ingannare da quella stradina che dopo pochi metri gira ancora a sinistra e porta all’Acquedotto) Il vecchio sentiero prosegue sulla destra).

Vi ho parlato di mulattiera che poi non era altro che un sentiero acciottolato, un po’ più largo, che partiva dal bivio di via Bagna che si apriva sulla via che porta a Carnola, cento metri più avanti del bivio che c’è ora (allora si rispettavano i confini dei vari proprietari) e sfiorava le case della Zita e quella di Secondo, c’erano solo quelle due case, sulla strada della Pietra, le altre due, che si trovavano prima di questo bivio, a tre passi dal cimitero, appartenevano, una ai miei genitori e l’altra alla famiglia dei Betalli.

Vi ho detto che sfiorava la (ca’ ed Second) e io volevo proprio raccontavi di questa con questo antico ricordo.

Continuando per la via che portava alla Pietra poco dopo la casa della Zita nel mezzo di una ripida salita, questa casa si scorgeva da un grande cancello di ferro posto all’inizio di un lungo viale ombreggiato da piante da frutto (forse meli), dico si scorgeva,

perché era una casa bassa, solo un piano rialzato sopra a una mezza cantina.

Io la trovavo elegante nella sua semplicità, sulla destra la stalla sovrastata da un basso fienile, nel mezzo un grande portico, dove stavano gli attrezzi da contadino (biroccio, cassone, aratro ecc.)

A sinistra di questo, la casa abitabile, con cucina e due camere da letto, o forse mi sbaglio le camere erano tre, questo non posso saperlo perché non sono mai andata oltre la cucina, ordinatissima e curata dalla “Santa Rosa”.

Sì, la moglie di Secondo, dai pochi vicini di casa era stata nominata “Santa” e si cari miei non tutti i santi vengono posti sugli Altari, se vi guardate in giro qualcuno lo trovate anche fuori.

Rosa si presentava col suo treccione arrotolato dietro, in un grande “pupullo”, gli occhi grandi, sereni, adombrati da lunghe ciglia e un grande sorriso che sembrava essere stato stampato sulla sua bocca.

Calma, dolce, gentile, parlava a voce bassa e lavorava in campagna come un uomo, mentre il marito ex carabiniere in pensione forse con un’invalidità, puntualmente ogni mattina si recava in paese, alto distinto coi capelli brizzolati lisci, divisi da una riga su un lato, portandosi una borsa di pelle chiusa da una serratura in metallo, non era una borsa da ufficio, ma di quelle da donna e a me la cosa incuriosiva.

Nessuno sapeva cosa andasse a fare ogni mattina, ma neanche nessuno ne era interessato, una volta ognuno “si faceva i suoi”.

Loro facevano i mezzadri in quel piccolo podere che apparteneva a un signore di Carpineti che ogni tanto vedevamo passare a cavallo.

Questa terra era lavorata con fatica e sudore dalla Rosa e dai suoi due figli maschi, Armando, dolce, intelligente, sensibile come la madre e Tonino con un carattere più estroverso e ribelle.

C’era anche una femmina di nome Armida, ma io l’ho conosciuta più tardi, lei era andata a servizio in città, per poter farsi il corredo, come allora usavano fare parecchie ragazze della nostra montagna è tornata quando si è sposata con Rino che abitava ai Pavoni.

Ecco casa di Secondo era tutta lì, staccata da tutte le altre, d’altronde, allora le abitazioni che si trovavano sotto la Pietra dalla parte di Castelnovo erano denominate “Case Sparse” ora invece possiamo sfoggiare con eleganza il nome che hanno dato a questa via “Viale Bismantova”.

Dimenticavo di dirvi che sul fianco della casa di Secondo c’era una cosa molto bella e importante “una fontana” acqua limpida e leggera che sgorgava sotto la Pietra, un getto continuo e abbondante si gettava in una vasca di sasso dove si abbeveravano le mucche e la Rosa vi sciacquava il bucato.

Quest’acqua era talmente abbondante che proseguiva in un ruscello a cielo aperto e arrivava a formare un’altra fontana a “Cà di Bugino” e anche lì si sfogava dentro una grande vasca dove le donne di questa casa, anche loro vi sciacquavano il bucato e abbeveravano le bestie.

Posso anche raccontarvi che il lunedì, giorno di mercato, “Second e Pèpo da ca’ ed Bugin”, si trovavano spesso in compagnia e fra una chiacchiera e l’altra e un bicchiere e l’altro, gli veniva il tardi.

Forse un po’alticcio lo sentivamo alla curva del cimitero:

“Rosa perdunme, Rosa i sun un delinquent”.

Rosa perdonami, Rosa sono un delinquente!

Chiamava la moglie ad alta voce da lontano per farsi perdonare la scappatella.

Lei quando lo sentiva, scendeva per andargli incontro incontro e sempre col sorriso lo aiutava ad arrivare fin lassù.

Ricordo mia madre che scuoteva la testa e i miei fratelli che sghignazzavano di nascosto, forse anche mio padre doveva ancora rientrare, anche se lui il vino lo reggeva bene, certe volte entrava in casa e senza parlare saliva subito la scala per mettersi a letto e mia madre inventava qualcosa per scusarlo.

Queste erano le sante donne di una volta che sapevano tenere in piedi una famiglia.

Altri tempi ragazzi miei, allora non esistevano le discoteche e i vari locali dove il sabato si può bere fino a giorno e la domenica smaltire a letto e qualche volta finire al pronto soccorso

Il lunedì però, era una gran tentazione e due bicchieri di toscano in una delle varie osterie non se li negava nessuno, anche qualche vecchia con la scusa che doveva “ritirare” il marito.

Diceva il proverbio: Quando suona l’Ave Maria tutti i matti sono per la via, l’Ave Maria suonava al tramonto e il lunedì, a quell’ora, Secondo stava rientrando, lassù in quella casetta che a me piaceva tanto, dove aleggiava il sorriso della “Santa” Rosa, dove sono cresciuti i suoi figli onesti riservati e gran lavoratori, ma purtroppo loro ci hanno lasciato, troppo presto.

(Elda Zannini)