Lavorare? Una splendida vocazione
Venerdì 27 settembre alle ore 21 al teatro Cervi di Brescello il postulatore della causa di beatificazione, don Giuseppe Livatino, ci aiuterà a comprendere le motivazioni interiori che hanno guidato il giudice Livatino, che non era un super eroe, ma un uomo come tutti, che ha vissuto momenti di delusione e di entusiasmo come tutti noi, ma che ha trovato in Gesù una luce che gli ha consentito di passare anche attraverso la valle oscura, per giungere in paradiso.
“Ricordo una classe delle superiori in cui gli studenti, pur non avendo ancora lavorato, si ponevano in modo molto critico verso il mondo del lavoro trovandone la giustificazione nei racconti negativi dei propri genitori, che non attendevano altro che il termine della giornata e della settimana lavorativa, necessaria solo per portare a casa lo stipendio”, così esordisce don Giancarlo Minotta, parroco di Brescello, Boretto e Gualtieri.
Del resto questa percezione cupa è ancor più accentuata e messa in evidenza da NEET, cioè da giovani che non cercano neppure un impiego.
Ecco allora perché è interessante la vita del giudice beato Rosario Livatino, che ha vissuto la propria professione come una appassionante chiamata a realizzare la propria umanità, edificando la società.
Venerdì interverrà anche il dottor Domenico Airoma, che è in magistratura dal 1989, un anno prima di quel fatale 21 settembre 1990 in cui Livatino fu assassinato dalla mafia. Ha prestato servizio, come sostituto procuratore, presso la Procura della Repubblica di Napoli, dove è stato assegnato alla Direzione Distrettuale Antimafia, nonché, come Procuratore Vicario, dapprima, presso la Procura della Repubblica di Cosenza e, poi, alla Procura della Repubblica di Napoli nord. Dal febbraio 2021 è Procuratore della Repubblica di Avellino. Su mandato del Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea ha svolto numerose missioni nei paesi dei Balcani Occidentali, dell’Asia Centrale e in Russia. Svolge incarichi di docenza presso la Scuola Superiore della Magistratura. E’ vice presidente del Centro Studi “Rosario Livatino” e ci aiuterà a comprendere il modo in cui Rosario ha vissuto la sua professione, così che ciascuno possa rileggere il proprio modo di vivere il lavoro.
“Quando due anni fa don Giuseppe Livatino mi ha portato con gli universitari della nostra unità pastorale a visitare la chiesa dove tutti i giorni, prima di recarsi al lavoro, Livatino si fermava a pregare e poi ci ha fatti entrare nell’ufficio dove Livatino svolgeva la sua professione siamo rimasti colpiti dalla normalità. Chi lo vuole dipingere come un super eroe o un giudice ragazzino vuole chiaramente mistificare la realtà perché era semplicemente un uomo che, in forza dell’educazione ricevuta, si percepiva amato da Dio e che viveva il proprio lavoro come modalità per amare da Dio il prossimo. L’episodio, che certamente verrà narrato durante la conferenza, in cui il 15 agosto, per rispetto verso un detenuto che terminava di scontare la pena, si reca in carcere nonostante sia in ferie è emblematico. Così come quando di fronte a un mafioso ammazzato da un clan rivale si rivolge a una persona, che commentava il fatto, dicendo: “di fronte alla morte chi ha fede prega, chi non ha fede tace”, dice una giovane ragazza.
Ci troviamo dunque di fronte a un magistrato che può aiutarci a vivere in modo giusto e bello il nostro lavoro quotidiano.