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Elda racconta: Torno a ca’ della Zita

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Come vedete la bibbia l’ho sospesa, ma il tempo per stare con voi cari lettori lo trovo ancora, per farvi conoscere un po’ del nostro passato.

Sono in tanti quelli che mi chiedono di Lei, allora mi decido di tornare bambina e di recarmi a “Cà dl’à Zèta” con la zeta molto morbida, nel nostro dialetto molto diverso da quello dell’alta montagna diventa quasi una esse.

Sì perché per me quella casa si chiama solo così, anche se voi preferite dire “casa Agostini o casa Zobbi”. Quella, per noi vissuti in altri tempi sarà sempre la casa della Zita, che rimasta vedova molto giovane, ha allevato tre figli dignitosamente da sola.

L’Irene è l’unica femmina figlia della Zita, non è più una bambina, il sedici marzo del prossimo anno, compirà cento anni, (se Dio lo vò), come dicono i miei amici Molisani, per non portare scalogna.

Vedete, queste due donne sono state sempre presenti nella mia vita, sapete benissimo che i vicini di una volta, non erano come quelli di adesso, ricordo quando appena ragazzina, l’Irene passava con un secchio di latte da portare al casello e mia sorella sua coetanea, con me per mano l’accompagnava all’andata e al ritorno solo per stare un po’ in compagnia.

Torniamo alla casa della Zita, li venivi sempre accolta con un sorriso e l’antifona non è cambiata con lo scorrere del tempo. Mi ricordo che anche il fratello Bruno mi accoglieva in questo modo:

“Ve’ ca ghè la Dodla” Guarda, che c’è l’allodola.

Si questo soprannome messomi da lui appena sono nata, poi adottato anche dai miei fratelli me lo sono dignitosamente portato dietro, anche con un po’ di orgoglio fin che anche Bruno ci ha lasciati. Anche lui ha voluto raggiungere suo fratello Gigi e la mamma, lassù in quel posto che viene chiamato “Paradiso”.

La Zita senz’altro si trova là, io nella mia vita, non ho mai incontrato una persona che facesse tante elemosine come lei: latte, burro, ricotta, patate o farina dicendo:

“Sèto e mosca”. Cioè zitto e mosca.

Diceva ciò a chi lo riceveva e a chi ne aveva bisogno, lei poi, non era ricca certamente, possedeva solo due mucche magre e un po’ di terra sassosa. Io l’ho sempre vista, vangare, zappare, mietere come un uomo e portare a casa grossi fasci di legna tagliata sotto la Pietra.

Ora torniamo all’Irene, dal momento che in tanti mi chiedono sue notizie, come vi dicevo ho deciso di andare a trovarla per vedere come sta e fare due simpatiche chiacchiere con lei.

Vedete questa donna è sempre stata presente nella mia vita, come anche sua madre, sapete benissimo che i vicini di una volta non erano come quelli di adesso.

Una volta quando arrivavi a casa di qualcuno, venivi accolta con un sorriso e un complimento a qualsiasi ora del giorno, adesso devi avvisare almeno un giorno prima tanto che la padrona possa farsi la piega ai capelli e passare lo straccio, dove c’è già pulito. Tutte falsità, finzioni, una volta era tutto molto più semplice.

A casa della Zita, venivi sempre accolta con un sorriso e l’antifona non è cambiata col passare del tempo.

Ora torniamo all’Irene, dal momento che ho voglia di fare quattro chiacchiere con lei

La trovo seduta all’ombra del portico, dove si sta anche riparati da certi spifferi d’aria che in montagna non mancano mai e mi accoglie con un gran sorriso e un mucchio di complimenti, si alza per offrirmi una sedia.

Vedete anche loro abitano in una casa isolata proprio sotto “Riva Granda”, la Pietra è lì che protegge anche loro. Ricordatevi che io non le chiedo mai delle sue “miserie” come non parlo mai delle mie, coi nostri discorsi ci immergiamo nel passato.

Ma l’Irene com’è? Mi chiedete voi che non la conoscete, lei è cresciuta come la mamma forte laboriosa, ma in più sapeva cucire e ricamare, lavorava a maglia, col suo “Jacquard” faceva splendidi maglioni che adesso in boutique ti farebbero pagare un occhio della testa.

Lei aveva un anno in più di mia sorella e ogni tanto mi parla di lei, ma di quando era viva e forse per questo io l’ho sempre frequentata.

Come vedete, sono andata su e sono tornata bambina ad ascoltare le sue storie di un tempo.

Bellissime storie, come quando una notte questi tre ragazzini vengono svegliati dal picchiare forte sulla porta e una voce che chiamava Zita, Zita ad alta voce.

Hanno riconosciuto la voce di un loro zio (Prusprin da Bagnol d’Suvre) che arrivava a quell’ora a controllare la mucca che aveva mangiato erba fresca se si era sgonfiata.

Loro cercavano e chiamavano la mamma, ma lei non c’era e questo zio che ne diceva di tutti i colori contro le donne:

“Vatti a fidare di una donna, lo sapevo io, sono tutte uguali non hanno testa”.

Finalmente sul far del giorno la Zita riappare, era stata a casa mia tutta la notte ad aiutare la mamma a mettere al mondo mio fratello Nilo.

Vedete una volta non esisteva l’ostetrica e le donne quando partorivano si aiutavano l’un l’altra.

Guardate che se lo racconto io, non è passata un’eternità da allora, in questo lasso di tempo il mondo si è rovesciato sottosopra, è cambiato in un modo, che io stessa alle volte faccio fatica a riconoscerlo.

Vai per strada, nessuno ti rivolge il buongiorno, nessuno sorride, tutti si affrettano ad aprire la portiera della macchina e ripartire e tu devi stare con gli occhi ben aperti se non vuoi essere investita, a malapena qualcuno che ti conosce ti dà un colpetto di clacsòn.

E le belle chiacchierate che si facevano nelle aie, seduti su un tronco tagliato, gli scoppi di risa, c’era sempre qualcuno con qualche battuta o racconto ridicolo che teneva allegra la compagnia.

Non avete tempo, dite voi? Ma secondo voi loro ne avevano? Magari era da prima che spuntasse il sole, molto prima, le tre o le quattro che a suon di braccia lavoravano questa misera terra per ricavarci qualcosa, ma un’ora di riposo in compagnia la trovavano sempre, magari qualcuno si sdraiava con la giacca sotto la testa per fare un sonnellino, cullato dalle chiacchiere degli altri, come del resto, trovavano il tempo di aiutarsi l’un l’altro e di andare a messa la domenica.

Certamente le donne non avevano cestoni di panni da stirare, allora avevamo tutti l’abito “da teùc i dè” da lavoro, che si lavava la domenica quando indossavi quello dalla festa e non avevi la lavatrice e il bucato “con la cenere” era molto faticoso, come anche fare il pane e cuocerlo nel forno a legna.

Sono seduta lì sotto al portico con l’Irene e il tempo vola come i nostri ricordi.

Il sole sta abbassandosi, ricordo che mia madre diceva:

“C’è rimasta solo una pertica di sole è ora di rientrare”.

Saluto la mia amica quasi centenaria, ma con una memoria da fare invidia alla mia, che non è proprio da buttare.

(Elda Zannini)