L’americana Sara Teasdale (1884-1933) è la prova di quanto imprevedibile e incostante sia la fama:
Il Bacio
Speravo che mi amasse,
E ha baciato la mia bocca,
ma sono come un uccello ferito
Che non può raggiungere il sud.
Perché sebbene sappia che mi ama,
Stanotte il mio cuore è triste;
Il suo bacio non era meraviglioso
Come i tanti sogni che avevo.
The Kiss, 1917
I hoped that he would love me,
And he has kissed my mouth,
But I am like a stricken bird
That cannot reach the south.
For though I know he loves me,
To-night my heart is sad;
His kiss was not so wonderful
As all the dreams I had.
Parole semplici ad esprimere la differenza tra le aspettative e la loro realizzazione. Spesso desideriamo da altri quello che non possono darci, perché vediamo chi amiamo come in un sogno costruito da noi, ma irreale; creiamo una persona in realtà inesistente. Così il bacio si ferma alla bocca, non penetra nel corpo, nell’anima e l’amore che pure c’è non è come quello atteso, sognato.
Teasdale fu popolare nei circoli poetici americani dell’inizio del ventesimo secolo: vinse il primo Columbia Poetry Prize nel 1918, il premio che sarebbe poi stato chiamato Premio Pulitzer, divenendo la prima donna a vincerlo. Nel 1918 scrisse che i suoi versi migliori erano anche i più semplici perché non mirava a sorprendere il lettore ed evitava, quindi, ogni parola che non fosse presente nel linguaggio comune, come pure evitava inversioni di parole o periodi. Scrisse anche che una delle sue gioie più grandi era quella di poter ricordare una poesia a memoria, e forse era per questo che i versi brevi, semplici e ritmati erano quelli che preferiva: perché erano anche i più facili da memorizzare.
Così questa poeta dai versi lineari e musicali si trovò ad avere il consenso del pubblico finché il modernismo non scardinò tutti i principi su cui Teasdale aveva costruito la sua poesia. Ma forse c’era anche altro a renderla popolare: Sara Teasdale veniva da una famiglia benestante e, nonostante una salute incerta la perseguitasse costantemente, la sua istruzione non venne interrotta, ma svolta a casa. La poeta venne così a rappresentare tutte quelle ragazze di buona famiglia cui l’appartenenza ad una classe sociale abbiente favorì l’istruzione. Ma rappresentò anche un ideale di donna confortante, non dedita alla protesta, che incanalava ciò che aveva appreso in una via più che accettabile per la società del tempo. Molto simile, in fondo, alla situazione di Emily Dickinson, che tenne la protesta nascosta nella sua stanza e con cui condivideva anche la tendenza alla solitudine, se non l’atteggiamento verso la pubblicazione.
Questo non significa che i versi di Teasdale siano superficiali. Il mistero delle parole sta nella loro capacità di essere profonde anche quando paiono estremamente comuni:
La Lunga Collina
Devo aver superato la vetta da un po’
E ora sto scendendo.
Che strano aver superato la vetta e non essermene accorta—
Ma i rovi continuavano a catturare l’orlo della gonna.
Tutta la mattina ho pensato a quanto gratificante sarebbe stato
Stare là ritta come una regina—
Avvolta nel vento e nel sole, col mondo sotto di me.
Ma l’aria era spenta, c’era poco da vedere.
Si era quasi in piano lungo il sentiero battuto
E i rovi si impigliavano nella mia gonna—
Ma non ha senso pensare ora di tornare indietro,
Il resto della strada sarà in discesa.
The Long Hill, 1919
I must have passed the crest a while ago
And now I am going down.
Strange to have crossed the crest and not to know—
But the brambles were always catching the hem of my gown.
All the morning I thought how proud it would be
To stand there straight as a queen—
Wrapped in the wind and the sun, with the world under me.
But the air was dull, there was little I could have seen.
It was nearly level along the beaten track
And the brambles caught in my gown—
But it’s no use now to think of turning back,
The rest of the way will be only going down.
La Collina da scalare è la vita che sul versante in salita ci fa pensare che avremo il mondo sotto di noi; saremo dritte e potenti, sferzate dal vento, che ci avvolge come in un mantello, e scaldate dal sole, come una regina. Ma poi ci si rende conto che la vetta deve ormai essere dietro di noi, raggiunta senza che ce ne accorgessimo, in un’aria privata di luce. E allora sentiamo che il tempo è sfuggito di mano, non solo il fine tanto desiderato non è stato afferrato, ma non ce ne siamo neppure accorte, ovvero “la vita è quello che accade mentre siamo impegnati in altre cose”. Vivere è una distesa di rovi attaccati al vestito a impedirci un cammino tranquillo, a catturarci tra regole spinose. E questi rovi li troveremo anche nella discesa, un percorso diventato il ‘beaten track’, il ‘sentiero battuto’, percorso da tutti prima di noi, in una vita monotona senza vere sfide. Si comprende, così, che la vetta che speravamo di raggiungere al mattino, in gioventù, era un’illusione. E, arrendendoci con straziante passività, si accetta la comoda via in discesa dove la protesta non è prevista.
Questa poeta famosa per le liriche, non si astenne dal condannare il dolore e l’insensatezza di ciò che stava accadendo nella Prima Guerra Mondiale:
Verranno piogge leggere
Verranno piogge leggere e profumo di terra,
E rondini in volo col loro suono lucente;
E rane negli stagni a cantare di notte,
E alberi di prugne selvatiche di un bianco tremulo,
Pettirossi indosseranno il loro fuoco piumato
Risuonando i loro capricci sul filo di una siepe bassa;
E nessuno saprà della guerra, a nessuno
Importerà alla fine quando sarà finita.
Neanche ad uno importerebbe, né ad uccello né ad albero
Se l’umanità perisse del tutto;
E la stessa Primavera, quando si svegliasse all’alba,
Si accorgerebbe appena che ce ne siamo andati.
There Will Come Soft Rains, 1920
There will come soft rains and the smell of the ground,
And swallows circling with their shimmering sound;
And frogs in the pools singing at night,
And wild plum trees in tremulous white,
Robins will wear their feathery fire
Whistling their whims on a low fence-wire;
And not one will know of the war, not one
Will care at last when it is done.
Not one would mind, neither bird nor tree
If mankind perished utterly;
And Spring herself, when she woke at dawn,
Would scarcely know that we were gone.
La natura tornerà, tornerà con le piogge leggere, le rondini, le rane, le piante in fiore e i pettirossi che indosseranno il fuoco delle loro piume. Ma tutto questo non ha bisogno di noi. Le sinestesie che definiscono ‘morbide’ le piogge, ‘lucenti’ i canti degli uccelli, ‘tremulo’ il bianco dei fiori ribadiscono anche il concetto che la natura non ha bisogno dell’umanità per creare legami e relazioni di senso, luce, armonia e colore. Così quando la guerra ci avrà annientati e neppure una di noi resterà, nessun uccello o albero sentirà la nostra mancanza e la Primavera non si accorgerà nemmeno della nostra assenza.
La malinconia e la crudeltà della morte che prendono le poesie scritte durante la Guerra, restano comunque anche in versi successivi, dove la tristezza si fa presenza costante, nella maturazione di una donna che realizza il modo superficiale, questo sì, in cui la società affronta molti temi. Probabilmente anche la salute, sempre molto fragile, contribuirà al suo suicidio; ma sono tutte ipotesi, visto che la poeta non lasciò neppure una nota a comunicare sentimenti che evidentemente voleva restassero solo suoi.
Poiché non c’è via d’uscita
Poiché non c’è via d’uscita, poiché alla fine
Il mio corpo sarà distrutto completamente,
Questa mano che amo come ho amato un amico,
Questo corpo che ho curato, con cui ho pianto e gioito;
Poiché non c’è via d’uscita nemmeno per me
Che amo la vita con un amore troppo intenso da sopportare:
Il profumo di un frutteto nella pioggia, il mare
E ore da sola troppo immobili e sicure per la preghiera—
Poiché il buio mi attende, allora ancor più
Lasciatemi scivolare come le onde si distendono sulla riva
Con orgoglio, e lasciatemi cantare col mio ultimo respiro;
In queste poche ore di luce alzo la testa;
La vita è il mio amore—Lascerò i morti
Se c’è un modo di confondere la morte.
Since There Is No Escape, 1926
Since there is no escape, since at the end
My body will be utterly destroyed,
This hand I love as I have loved a friend,
This body I tended, wept with and enjoyed;
Since there is no escape even for me
Who love life with a love too sharp to bear:
The scent of orchards in the rain, the sea
And hours alone too still and sure for prayer—
Since darkness waits for me, then all the more
Let me go down as waves sweep to the shore
In pride, and let me sing with my last breath;
In these few hours of light I lift my head;
Life is my lover—I shall leave the dead
If there is any way to baffle death.
Il corpo amato se ne andrà, il corpo che ci ha accompagnato nel sentire ciò che ci rende umane; anche l’amore per la vita sparirà con noi, come il profumo degli alberi nella pioggia, e anche l’amore di quelle ore solitarie, così intime e perfette da non poter essere disturbate neppure per la preghiera. Questo è quello che Teasdale ci dice nelle prime due quartine di questo sonetto, dove usa le stesse parole del titolo ad inizio delle quartine iniziali, in una ripetizione che cerca l’accettazione. Invece la terza quartina si apre al buio, all’oscurità del dopo, ma la poeta rivendica il diritto di andarsene a testa alta, con la forza delle onde che respirano sulla battigia, cantando col suo ultimo respiro, nelle poche ore rimaste, ma sempre con orgoglio, perché è la vita il vero amore di Teasdale. Un amore che veste il distico di un’ultima ironia: abbandonerà i morti se c’è modo di ingannare la morte. Anche se Sara Teasdale non ha lasciato parole per spiegare il suicidio, questi versi sono certo l’affermazione di una donna orgogliosa e consapevole.