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Elda racconta: nostalgia

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Si nostalgia del passato, mi sono svegliata e questo pensiero non mi abbandonerà fin che non l’ho riportato sul mio quadernone.

Nostalgia di queste casette disseminate sotto la Pietra, delle aie con gli attrezzi da usare in campagna sparsi qua e là, dei polli che beccavano raspando in mezzo ai sassi, del gallo con la cresta rossa rovesciata sopra un occhio, che batteva le ali facendo risuonare il suo chicchirichì che si sentiva da lontano, della chioccia che portava a passeggio i suoi piccoli e insegnava loro come nutrirsi.

Le aie disseminate di escrementi di gallina e dovevi guardare dove mettevi i piedi se non volevi trovarti nelle “sabbie mobili”.

Nostalgia delle due o tre mucche magre, con le ossa in bella vista e la padrona che le seguiva con la “rocca” appoggiata alla spalla con sopra una mannella, così faceva due lavori in una volta: filare la lana e guardare le mucche.

Nostalgia degli uomini con la vanga e la zappa in spalla che si recavano nei campi, finendo di sbocconcellare l’ultimo pezzo di pane rimasto sul tavolo dopo la frugale colazione del mattino.

Nostalgia del mercato del lunedì, quando la gente arrivava dal di là del Secchia seduta su un asino e trascinandone un altro con le due gerle piene di polli, uova, patate, e quant’altro dava la terra da vendere o scambiare con generi alimentari utili, come caffè, zucchero e una bottiglia di “Brusca” che si comprava da Curzio Capanni.

Nostalgia delle campane che suonavano il mezzogiorno “e non erano offuscate da altri rumori” le sentivi distintamente e gli uomini ovunque si trovassero abbassavano il capo e si levavano il cappello.

Nostalgia di Santa Maria di una volta, della messa cantata sul balcone sopra la porta d’entrata della chiesa madre, la Pieve, dove la gente affluiva per ascoltare questa (messa grande) da tutte le borgate.

Allora non c’erano macchine e arrivavano a gruppi da tutti sti paesini intorno alla Pietra.

La bella processione notturna, con la cera della candela che ti colava fra le mani e sul vestito e non te ne importava niente, guardavi la statua della Madonna dentro al baldacchino portato a spalla e ti pareva di seguirla verso il paradiso.

Quanto tempo è passato, quanti anni, settanta, ottanta? Forse meno o forse più, ma sembra un’eternità.

Nostalgia dei bambini che uscivano da scuola ridendo, urlando, chiamandosi l’un l’altro, con quelle sacche di stoffa tracolla, leggere, dentro un libro e due quaderni, bastavano quelli, non quella marea di libri nuovissimi e mai aperti durante l’anno, perciò inutili. Eppure anche fra loro sono usciti bravi impiegati, dottori, insegnanti e onorevoli, senza tutta quella messa in scena che si usa oggi, zaini all’ultima moda, niente grembiule, anzi abiti di marca come le scarpe, bambine truccate come star e non fatemi andare avanti che poi mi pento di aver detto ciò che penso.

Torniamo alla mia amata campagna, alla fine di agosto finiva l’estate, cominciava la raccolta dell’uva, si questa c’era anche da noi, le vigne si trovavano “a la sulèi” cioè dove batteva di più il sole come Rosano, Pineto e anche nella Bismantova e verso Terrasanta.

C’era anche un detto e voglio ricordarvelo un’altra volta “Vin ed Rusan e dòn ed Pinè liberamus Dominè”

Traduco: Vino di Rosano e donne di Pineto liberaci o Signore. Come vedete vecchio detto, forse inventato da qualche deluso e poi tramandato nel tempo, tanto per dire che il vino che facevano a Rosano era imbevibile, ma una volta andava bene anche quello.

Torniamo ai tempi di quando il grano era maturo e il tempo si faceva scuro minacciando un temporale con tuoni e lampi in lontananza, allora Pellegrino che faceva anche il campanaro, saliva sul campanile e cominciava a suonare le campane a distesa, voi non ci crederete (affari vostri), ma quel suono insistente faceva allontanare il temporale e la grandine, mentre la mamma bruciava davanti alla porta un ramoscello d’ulivo benedetto sopra una palettata di braci ardenti.

Una grande nostalgia dei tempi passati, del silenzio della campagna, mi è piombata sulle spalle, cercate di capirmi è da quando è iniziato il mese di agosto, che non si possono tenere i vetri aperti, è un via, vai continuo di macchine e moto rumorosissime che vanno su e giù dalla Pietra. Pensare che quando abbiamo costruito questa casa ci scambiavano per matti “in un posto così isolato”.

Sì lo so è ferragosto anche loro hanno bisogno di svago, la vita è cambiata e cambierà ancora sarà in meglio o in peggio?

Lascio a voi la risoluzione.

(Elda Zannini)

2 COMMENTS

  1. Trovo piuttosto impegnativo il finale di queste righe, ossia il proposito o invito di mettere a confronto passato, presente e futuro, ma azzardo comunque una considerazione o riflessione, ancorché destinata a restare a sua volta sospesa, e a “mezz’aria” come si usa dire, perché ci sono interrogativi cui è abbastanza difficile saper rispondere.

    Dai miei ricordi giovanili, nel mondo contadino e rurale di un tempo erano di casa sacrificio e fatica (anche tanta fatica, almeno fino a quando è arrivato l’aiuto dei mezzi meccanici), unitamente ad una pluralità di valori positivi, tradizioni incluse, di cui una parte si è andata perdendo ma del cui seme si avverte ancora, e fortunatamente, la presenza.

    Quel mondo era inevitabilmente destinato a cambiare, per l’insieme dei fenomeni sociali via via succedutisi nel trascorrere degli anni, ma continuo nondimeno a chiedermi se non c’era modo di fermarsi per così dire a metà strada, ossia mantenere intatto quel prezioso patrimonio di valori pur senza sottrarsi alle ineludibili trasformazioni in atto.

    Quei valori improntavano per solito i nostri comportamenti, che da allora sono piuttosto mutati, e non in meglio a detta di molti, il che dovrebbe farci quantomeno riflettere, e indurci semmai a qualche ripensamento, ma il fare qualche passo indietro, ammesso che si volesse andare su questa strada, o vi si tentasse, non sarebbe comunque facile.

    A me pare che la nostra società stia vivendo momenti di contraddizione, affascinata per certi versi dal passato, e dalle sue costanze e coerenze, e casomai anche dalle sue “lentezze”, ma non disposta tuttavia a rinunciare ad alcunché delle “conquiste” di questi decenni, accettandone di riflesso le eventuali frenesie, impazienze (e casomai ansietà).

    Giusto in tema di contraddizioni, visto che l’Autrice cita opportunamente i polli e le galline, e anche le vacche, sono mano a mano scomparsi o quasi i piccoli allevamenti, a conduzione famigliare, sostituiti da quelli di media e grande dimensione per mantenere le relative produzioni, ma pare crescere la “ostilità” verso gli allevamenti cosiddetti intensivi.

    P.B. 02.09.2024

    • Firma - P.B.