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l'intervista al presidente Alberto Campari

Buon compleanno al Gaom

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Un bel compleanno: 40 candeline per il Gaom. “Se devo essere sincero sono volati – afferma il presidente Alberto Campari – e non me ne sono reso conto. Abbiamo fatto tanti progetti importanti in questi anni che non mi sono accorto del tempo che passava. Però sono soddisfatto di quello che abbiamo e stiamo facendo”.

Sabato 10 e domenica 11 agosto, con eventuale recupero di una giornata fissato a lunedì 12 agosto, in caso di maltempo, si svolgerà la 17esima edizione della festa “Savognatica per l’Africa”, organizzato nel suggestivo borgo di Savognatica di Carpineti, fra il castello matildico e la vallata del fiume Secchia. Il ricavato dell’evento verrà utilizzato per sostenere il progetto Mariam, interamente dedicato alle donne etiopi, per valorizzare le loro figure grazie a una serie di percorsi di studio e di formazione lavorativo nel villaggio di Shashemene.

L'intervista al presidente Alberto Campari

Gaom è stata fondata dal dottor Riccardo Azzolini, viene ancora in Etiopia?

No l’ultima volta è venuto due anni fa. Ormai è anziano, ha 96 anni, e non se la sente di fare viaggi così lunghi.

Su quali progetti state lavorando ora?

Ne abbiamo diversi e sono rivolti a tutti dai bambini ai più grandi e alle donne. Soprattutto queste ultime non sono trattate molto bene dagli etiopi che hanno invece una cultura fortemente maschilista. Al momento stiamo lavorando con una casa famiglia dove vengono accettati bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni. I ragazzi vanno a scuola e imparano un mestiere. Poi i più bravi possono andare all’università mentre gli altri vengono inseriti nel mondo del lavoro.

Questi ragazzi da dove arrivano?

Lavoriamo nel sud dell’Etiopia a Shashemene dove ci sono braccopoli molto vaste e dove c’è molto bisogno. Sono per la maggior parte ragazzi di strada o che erano in carcere e che hanno bisogno di essere riabilitati. Cerchiamo di essere sempre vicini ai più deboli e quella è una zona ci sono molte persone che hanno bisogno di aiuto”.

 Si parla di aiuto in che senso?

Non è un aiuto finanziario. E’ un aiuto a rifarsi o farsi una vita normale. Da noi è tutto abbastanza scontato mentre da loro no. Non hanno nulla e dunque bisogna far capire loro che posso avere di più e cerchiamo di farglielo conquistare. Cerchiamo di aiutarli ad uscire dalla situazione nella quale sono per farli stare meglio e dare loro un futuro. Per fare un esempio in casa famiglia abbiamo un ragazzo di 7 anni che da quando aveva 10 mesi viveva con la nonna in un cimitero. Di notte dormiva in una bara per non farsi sbranare dalle iene e di giorno andava a chiedere l’elemosina. Ma non si può vivere così e adesso, piano piano, lo sta comprendendo. Anche se una persona è povera ha diritto alla propria dignità e al proprio riscatto.

 Gli altri progetti quali sono?

Stiamo lavorando con i villaggi per lebbrosi e cerchiamo di aiutare le suore del De Focuald. Sono situazioni molto difficili che hanno bisogno non solo di volontari ma anche di personale medico specializzato noi siamo in supporto. Poi sempre con loro abbiamo il progetto Extra Food che è un progetto rivolto a mamme e bambini poveri che arrivano fortemente denutriti. Questo sostegno dura tutto l’anno ma viene utilizzato particolarmente nei mesi della stagione secca quando arrivano anche le mamme con i loro bimbi dalle campagne. Poi abbiamo il “progetto Mariam",  per la valorizzazione della donna. L’Etiopia è un pese fortemente maschilista e le donne non hanno un valore per cui bisogna far capire loro che non è vero e che invece sono persone. Alcune di loro arrivano da situazioni molto difficili, altre dal carcere e hanno dei passati non facili. L’obiettivo è quello di istruirle e di dare loro la possibilità di arrivare ad un lavoro che possa piacere e soddisfarle. Se sono brave nello studio vanno all’università altrimenti vengono inserite nel mondo del lavoro.

In una comunità maschilista non è semplice.

No assolutamente ed è per questo che cerchiamo di istruirle e di dare loro un lavoro. Basti pensare che ancora oggi le ragazze vengono rapite e diventano di “proprietà” di chi le rapisce deve pagare alla famiglia di origine una somma. Se queste ragazze sono istruite la somma da pagare aumenta e non tutti riescono poi a pagare. Per cui più ne istruiamo, più ne vengono inserite meglio è per loro. Queste ragazze poi non vengono messe assieme ai ragazzi ma in case diverse proprio perché quella etiope è una cultura tribale, maschilista e molto radicata.

Il governo locale vi aiuta o vi ostacola?

Nessuno dei due. Naturalmente fa i controlli tre volte all’anno dove vengono controllati i locali, come viene tenutala struttura, se i ragazzi studiano e sono nutriti. In base a tutta una serie di parametri poi si ha un punteggio che va da 0 a 100. No siamo 90 su 100 per cui siamo contentissimi e possiamo continuare il nostro lavoro con gli ospiti altrimenti dovremmo chiudere come hanno fatto altre realtà. Per il progetto “Mariani” ad esempio il governo ha riconosciuto il “premo Singer” per le ragazze che fanno le cucitrici. Ed è un bel riconoscimento.

La casa famiglia e i progetti da chi sono seguiti?

La casa famiglia, con nostro grande orgoglio, è seguita da un ragazzo che ne ha fatto parte ed è poi rimasto per aiutare. Il “Progetto Mariani” invece è in mano ad una ragazza che arriva da uno dei progetti orfanatrofio. Poi ci sono i tanti volontari, che sono un bene preziosissimo, che ci aiutano durante l’anno.

Se una persona volesse fare il volontario al Gaom?

Sono tutti ben accetti anzi, più siamo meglio è. Logico che non si può andare tutti nello stesso periodo ma scaglionati. Personalmente quando parlo con qualcuno che vuole fare il volontario in Etiopia dico due cose fondamentali: la prima è che non si deve mai giudicare. Noi siamo italiani e andiamo in una realtà che ha una cultura molto diversa dalla nostra per cui non bisogna giudicare ma mettersi in ascolto per capire. E questo è fondamentale. Una volta che si conoscono le realtà allora ne riparliamo. La seconda è che bisogna sempre condividere. La condivisione delle idee, dei pensieri delle esperienze aiuta tutti. Quando siamo là condividere diventa un'altra parte fondamentale dell’essere volontario in quel paese. Perché noi torniamo a casa mentre loro rimangono là e si devono rapportare con la loro realtà. Per cui più si condivide più si riesce ad aiutare e a capire.

 Avete molti volontari che partono dall’Appennino?

Abbastanza. Da diversi anni abbiamo in atto una collaborazione con l’Istituto agrario Nelson Mandela e con il professor Massimo Monti che si è fatto carico di diversi progetti interessanti. Assieme a lui sono venuti in casa famiglia anche dei ragazzi (maggiorenni) che hanno potuto confrontarsi con una realtà molto diversa dalla loro. A mio parere li ha fatti anche crescere e li ha aiutati nel loro percorso per diventare uomini. Dopo ci sono tanti pensionati, giovani, meno giovani che chiedono di partire e di poter aiutare. E’ un be segnale visto come sta andando adesso il mondo. Sicuramente sono esperienze che ti cambiano la vita. O almeno a me l’ha cambiata. Dopo 30 anni che vado in Etiopia mi sento molto cambiato. Personalmente sono anche molto credente e ogni volta ringrazio il Signore per avermi dato questa possibilità. Io alla fine faccio quello che tutti potrebbero fare.

 Se qualcuno volesse contattarvi o avere informazioni su di voi?

Possono andare sul nostro sito che è www.gaom.it oppure sabato 10 e domenica 11 saremo presenti con il nostro stand alla festa a Savoiatica di Carpineti. Saremo disponibili per informazioni o altro. Ci tengo molto anche a fare un ringraziamento a tutte quelle persone che da Castelnovo ne’ Monti e da altre parti dell’Appennino si stanno rendendo disponibili in ogni modo sono veramente tutte persone speciali.