Si ora lo chiamano autobus, ma ai miei tempi lo chiamavano “Corriera”, si proprio quella corriera blu col muso lungo e quando passava faceva un grosso rumore, suonando quelle trombe potenti che si sentivano da lontano, poi lasciava dietro di se una gran puzza di nafta bruciata, che meno male si dissolveva presto nell’aria, così la nausea che mi veniva, passava subito.
Qui esisteva il “garage” delle corriere, precisamente fra la fine di Bagnolo e l’inizio della Sarzassa, dove adesso esistono gli uffici di una Banca e il negozio di Paterlini.
Questo “garage” stava lì con la sua grande bocca spalancata e sopra a questa bocca spiccava a grandi caratteri blu, così si leggeva anche da lontano, la parola “SARSA” difatti la gente che per spostarsi usava questo mezzo, diceva anche:
“Iandèma a tòr la Sarsa” cioè, andiamo a prendere la Sarsa.
Là poi trovavi Germini sopranominato “mani”, per via di quelle grandi mani che usava per segnalare all’autista che faceva manovra gli eventuali ostacoli, quando questa corriera doveva rientrare in “garage” per essere ripulita dentro, molto spesso dai rigurgiti di stomaco di qualche passeggero, ma anche fuori doveva essere sempre luccicante, poi rifornita di nafta e pronta per ripartire.
Con questo meccanico ce n’era un altro, ricordo che si chiamava Montipò, quando passavo da lì, li vedevo sempre indaffarati, con pezzi meccanici tenuti nelle mani unte di grasso, o al limite scope e gomme che buttavano acqua, oppure uno alla guida e l’altro che urlava:
“Dietro!…dietro!…”
Accompagnato dal movimento delle mani, e gli occhi ben aperti per fermare le persone che alle volte volevano avere la precedenza.
La “diretta” era la corriera più frequentata dai Castelnovini, per recarsi a Reggio, partivano la mattina presto, di solito alle sei, così avevano tutta la giornata a disposizione per fare compere o per recarsi in certi uffici in città, o solo per andare a trovare un parente, la macchina allora, non erano in tanti a possederla e anche chi ce l’aveva i viaggi lunghi, preferiva farli in corriera.
Poi durante il viaggio, avevi tutto il tempo per fare amicizia col tuo vicino di sedile, oppure ti divertivi ad ascoltare i discorsi degli altri era come stare seduti sul muro di piazza.
Io il primo passo su una corriera l’ho fatto che ero molto piccola, questo ve l’ho già raccontato, quando mia madre mi portò assieme a mio fratello Nello, alla Madonna della Ghiara in Reggio.
La sua intenzione era quella di andarci a piedi, ma poi ha dovuto ricredersi e a Casina siamo saliti sulla “diretta”.
Vi dirò anche, che lei poveretta, anche se la guerra le aveva portato via una figlia, andava a ringraziare la Madonna, perché il resto della famiglia si era salvata (la fede dei nostri vecchi avrebbe dovuto insegnarci qualcosa).
Torniamo alla corriera, appena salita ho sentito quell’odore insopportabile di nafta, poi vedevo gli alberi dalle parti della strada che scappavano, sentivo una gran nausea e la testa che mi girava, allora chiudevo gli occhi e cercavo di scomparire fra la mamma e mio fratello.
Gigetto, il bigliettaio, mi ha notato:
“Clà ragasèta che l’ha stà mal”
“Questa bambina sta male, vi apro il finestrino, mettetela con la testa fuori”.
Grazie buon Gigetto, non me la sono mai scordata questa cosa.
Col passare degli anni poi mi sono abituata, per me era diventato un viaggio settimanale, obbligatorio dal momento che cucivo per una ditta di Reggio.
A Castelnovo la chiamavano “corriera”, ma nei piccoli paesi di collina veniva chiamato “Postale”, forse il nome lo aveva ereditato dal vecchio “Postale” tirato da cavalli, che esisteva prima di lei, oppure e questo me lo ha ricordato, quel mio amico di penna, forse perché oltre le persone, portava la posta.
In questi paesini, l’autista del postale era tenuto molto in considerazione, per questi abitanti col tempo veniva considerato un amico, che se vedeva uno che correva perché era in ritardo, si fermava due minuti in più per farsi raggiungere e lo accoglieva con un sorriso.
Oltre all’autista c’era anche il bigliettaio, che era quello che ti lasciava prendere posto con calma, poi si avvicinava:
“Biglietti, biglietti!…”
Così tu tranquillamente tiravi fuori il portafogli e facevi il tuo biglietto.
In questi paesini, quando si sentiva in lontananza quel famoso e potente squillo delle trombe in molti si avvicinavano alla fermata, chi aspettava o sperava che arrivasse qualche pacchetto contenente olio o salume o vino mandato da qualche parente lontano o soltanto una lettera o una cartolina.
C’era anche chi guardava con ansia l’aprirsi della portiera anteriore di questo Postale, magari col cuore che gli batteva e sperava di veder apparire il viso di un parente lontano o magari del fidanzato che era lontano per fare il servizio militare.
Tutte piccole cose che creavano grandi emozioni e rendevano le persone unite nel bene e nel male.
(Elda Zannini)
Grazie per questo ricordo Elda.
Montipo’ si chiamava Giovanni ed era mio nonno.