Riceviamo e pubblichiamo
Ho ascoltato con grande attenzione la conferenza del professor Mancuso sul canale del Parco Nazionale non avendo potuto partecipare in presenza. Le idee e le convinzioni del professore sul mondo vegetale sono suggestive ed aprono delle potenzialità inaspettate, sulle quali è doveroso l'approfondimento del mondo scientifico e non solo. Stefano Mancuso, di cui sono interessato lettore, nel discorso rigorosamente scientifico, spesso riesce a cogliere aspetti che contengono ampie valenze etiche e filosofiche.
La proposta di piantare mille miliardi di alberi, del resto già auspicata in sede di G20 di Roma nel 2021, e rimbalzata con un certo entusiasmo da parte di alcuni illustri personaggi del mondo della politica, mi trova però perplesso per più di una ragione.
Chi ha operato direttamente nel mondo della forestazione conosce bene la difficoltà di trovare terreni disponibili, a motivo delle molteplici aspettative che su questi spesso insistono (intorno alle città questa aspettativa è ovviamente massima e travalica addirittura gli usi prettamente “urbani”). Ciò che sembra essere una soluzione semplice, basata sulla natura stessa e apparentemente nemmeno troppo impegnativa diventa in realtà proibitiva per la logistica, per i tempi e per i costi.
La considerazione di partenza di Mancuso è centrata e ineludibile: per difendere ed incrementare le foreste diviene improrogabile una svolta decisa nel settore alimentare, nel senso di diminuire il consumo di carne, rendendo in questo modo il processo alimentare molto più efficiente. Ma questo si può ottenere a ben vedere solo agendo sul consumatore e non sottraendo immense superfici all’agricoltura: la competizione nell’uso del suolo infatti - come accade già per i biocarburanti – in periodi di turbolenze nel mercato delle commodities alimentari può scatenare impennate distruttive dei prezzi (come quella del 2007-2008) e potrebbe accentuare, in definitiva, la pressione sulle attuali foreste e sui terreni non sfruttati che si vorrebbero invece tutelare ed espandere.
Inoltre la piantagione per stoccare quantitativi significativi di CO2 richiede anni di crescita e di cure ed i primi sono quelli che forniscono meno risultati. Qualcuno ha – non senza qualche fondamento - affermato che la proposta di piantare alberi così come formulata non sarebbe tecnicamente corretta, non essendo confrontabile l’attuale regime di emissioni continue da fossile (ciò che crea lo squilibrio) con una possibilità di stoccaggio del carbonio che ha una sua capienza massima non superabile. Confrontare le piante “tagliate” a livello globale con quelle piantate potrebbe non avere molto significato quando i boschi ricrescono e si diffondono spontaneamente in situazioni di minore disturbo e di riduzione delle superfici agricole per specializzazione e concentrazione, come avviene attualmente in gran parte dell’emisfero settentrionale.
A parere di chi scrive non vi sono soluzioni monotematiche o semplificazioni per raggiungere l’obiettivo della riduzione dei gas serra nell’atmosfera: oltre alla difesa delle foreste esistenti e alla loro gestione ottimale, come ben individuato negli obiettivi del PNATE, è indispensabile agire direttamente sulla riduzione effettiva delle emissioni nei settori industriale, dei trasporti e soprattutto nel sistema di produzione e fornitura dell’energia.
La crisi climatica non ammette scorciatoie anche se queste possono apparire suggestive perché immediate ed esteticamente funzionali a una certa sensibilità, e magari capaci di tradursi in facili slogan - senza coinvolgere direttamente lo stile di vita – ma il cui significato pratico però rimane soggetto a verifica.
(Giuseppe Piacentini)