Gli scrittori Henry James ed Edith Wharton, americani trasferiti in Inghilterra, chiesero al poeta irlandese W.B. Yeats (1865-1939), di cui erano amici, di contribuire ad una raccolta di poesie da pubblicare per aiutare gli sfollati del Belgio nella Grande Guerra. Ecco cosa scrisse Yeats:
On Being Asked For a War Poem, (1915)
I think it better that in times like these
A poet’s mouth be silent, for in truth
We have no gift to set a statesman right;
He has had enough of meddling who can please
A young girl in the indolence of her youth,
Or an old man upon a winter’s night.
Alla richiesta di una poesia di guerra
Penso sia meglio in tempi come questi
Che la bocca di un poeta resti silenziosa, ché in verità
Non abbiamo il dono di far ragionare un politico;
Ne ha avuto abbastanza di intromettersi chi può compiacere
Una giovane ragazza nell’indolenza della sua gioventù,
O un vecchio in una notte d’inverno.
Anni dopo, nel 1938, al tempo della Guerra Civile Spagnola e dell’Europa che si preparava alla Seconda Guerra Mondiale, il poeta irlandese scrisse versi molto simili a questi, una poesia intitolata ‘Politics’, Politica, in cui torna la stessa ragazza, gli stessi politici con cui Yeats non intende mischiarsi e anche lo stesso autore che desidererebbe solo tornare giovane e abbracciare la suddetta ragazza. Yeats morì l’anno successivo, e quindi si direbbe che uno degli ultimi messaggi del poeta sia un’affermazione dell’impotenza della poesia, dell’inutilità del poeta che nulla può se non cantare dell’amore giovane o rallegrare la vecchiaia. Eppure, in fondo, Yeats la poesia la scrisse, poesia che finì regolarmente nella raccolta. E, ancora, la ragazza e il vecchio della poesia fanno parte delle categorie, bambini, donne e anziani, che non potevano combattere, quindi una riflessione c'è pur stata. Forse non è solo cinismo a ispirare il poeta, bensì una realizzazione di quanto sia difficile, anche per i migliori poeti, influenzare il pensiero politico (anche se Platone la pensava diversamente), e portare la voce del significato poetico dove questo non è né apprezzato né riconosciuto. Ed è, purtroppo, anche la realizzazione che l'individuale, quello del poeta che rivorrebbe la sua gioventù per corteggiare la ragazza, quello della ragazza stessa che gode di anni indolenti, distratti e inconsapevoli, quello del vecchio che usa la poesia come conforto, tutte queste individualità si scontrano con la storia e la politica, indifferenti ai destini soggettivi. Così, questa constatazione di non poter far altro che restare in silenzio viene dal sapere che i poeti e la poesia sono ‘diversi’, che la politica è aliena ai versi.
Ma è proprio così? Certo Wilfred Owen la pensava diversamente, protestando in versi, attraverso immagini quanto mai realistiche, contro una società che mandava giovani a morte sul campo di battaglia. Yeats ebbe per Owen parole molto dure, criticandolo per l'estremo realismo, un certo sentimentalismo e la ‘passività’ dei soldati descritti dal poeta gallese. Il fatto che Yeats fosse un nazionalista irlandese spiega probabilmente l'avversione per le immagini di Owen, che di grandeur nazionalista non hanno proprio nulla. Sembra davvero incredibile che anche un grande come Yeats non abbia compreso un'altra grandezza, e sia stato così critico, anche considerando il fatto che il gallese non poteva in alcun modo ribattere, visto che lui, in guerra, era morto.
Nella raccolta di poesie per i rifugiati belgi, la poesia di Yeats fu intitolata ‘A Reason for Keeping Silent’, ‘Un motivo per stare zitti’, titolo che non sappiamo se fu scelto dall'autore, e questo silenzio di Yeats, sia esso cinico, ironico o impotente, rammenta un altro silenzio, questo davvero drammatico, il silenzio di Salvatore Quasimodo:
Alle fronde dei salici, (1946)
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
È un silenzio diverso, quello di Quasimodo, tuttavia, al contempo, il poeta italiano si comporta come Yeats nel suo non-dire che si fa dire quanto mai potente: anche Quasimodo, iniziando i versi con una congiunzione, lascia intuire una riflessione precedente, un chiedersi cosa mai può fare la poesia in tempi tanto duri e crudeli, quando i versi pare diventino inutili e impotenti. Tuttavia, non valgono forse più di mille parole questi dieci versi che evocano tragedie bibliche, col richiamo al salmo che canta la prigionia degli Ebrei, che ricordano il Cristo crocifisso nella figura del partigiano morto appeso alla moderna croce del palo del telegrafo, e che riportano l'immagine dell'agnello sacrificale nella visione dei bambini in lacrime? E il piede dello straniero sul cuore, l'organo centrale di un vivente, i cadaveri che non potevano essere sepolti perché così lo straniero voleva, il ghiaccio dell'erba che sa di crudeltà e insensibilità, la sinestesia del grido colorato di nero a portare la profondità della disperazione, tutte queste immagini non sono forse incredibilmente esplicite e piene di dolore? Anche se le cetre, e quindi la loro musica, il loro canto, sono appese ai salici, alberi piangenti per antonomasia e altro richiamo alla Bibbia, in segno di lutto, la negazione di questo canto, affermata da Quasimodo nel primo verso, è in effetti rovesciata diventando dolore sonoro, portato dal vento che muove le cetre e le fa risuonare di tristezza, in una musica che, quindi, non è più muta.
Nei versi che W.H.Auden, altro grande della poesia inglese, scrisse alla morte di Yeats, si dice che “... poetry makes nothing happen…”, “...la poesia non cambia niente…” (non fa succedere niente), ma poi continua dicendo che “sopravvive”, che diventa “una modalità dell'accadere, una bocca”.
Anche se le parole sembrano spesso inutili, il pronunciarle rende il vivere in tempi ardui più accettabile, trasformando il dolore in canto.