Home Cultura Elda racconta: l’Europa

Elda racconta: l’Europa

199
0

Senz’altro in questo racconto troverete qualcosa che ho già scritto. Ma sapete ho raccontato tante di quelle cose “talmente tante che non ricordo più cosa”, ma so che leggerete lo stesso facendo finta di niente o forse non ve ne accorgete, perché io scrivo sempre in modo diverso e io ve ne sono grata.

Si, Europa, non solo sulla carta, ma anche col voto di una moltitudine di persone.

Il mio pensiero, come ormai mi conoscete da anni, comincia a vagare nel passato, verso gli emigranti di allora, che poi non sono molto diversi da quelli di oggi.

Domenico Zannini e le sue decorazioni a 83 anni

Mio padre e mia madre si sposarono nel 1920, era in autunno e mio padre tornato dalla Grande Guerra, con un mucchio di medaglie e riconoscimenti, non aveva trovato nessun lavoro che gli rendesse sicuro l’avvenire.

Cominciò a progettare di recarsi in Francia, dove viveva già sua zia “Caterina”, questo nome lo ricordo molto bene, perché come crescevo me lo appioppava molto spesso (I te cumpagna a mi siina Caterina in t’al fisiche, ma anch in t’al mod ed cmandar) traduco: sei uguale a mia zia Caterina non solo nel fisico, ma anche nel modo di comandare. “Attitudine al comando, così diceva anni dopo, anche mio marito” difatti quando passavo davanti alla caserma, qui in fondo alla strada i colleghi per prenderlo in giro lo chiamavano:

“Giulià… passa la marescialla”.

E lui usciva col suo solito sorriso stupendo per dirmi qualcosa,  o Dio mio, mi pare che fosse ieri, invece sono già passati più di sessantanni.

Dopo questa divagazione, torniamo alla coppia di sposini, anzi le coppie erano due, ai progetti di mio padre si era unito anche lo zio Lino, fratello di mia madre, anche lui sposato da poco e con un lavoro saltuario e in più non andava d’accordo con l’altro fratello e non gli andava di stare nella stessa casa.

Come vedete i soliti problemi che sono sempre esistiti in tante famiglie e ancora adesso esistono.

Così queste due coppie decisero di emigrare in cerca di fortuna. Partirono con una valigia, ma non di fibra o di cartone, come si usava allora, era una grande borsa da viaggio rettangolare foderata, confezionata da mia madre, con l’esterno ricamato finemente dalle sue mani da fata e chiusa da una fila di bottoni con asole riportate.

Il bagaglio era tutto lì, più lo zaino da militare che il papà aveva riportato dalla Grande Guerra e che non si levava mai dalle spalle. Arrivarono a Reggio con la famosa “corriera” tirata da quattro cavalli, poi da Porta Castello a piedi si portarono in stazione e lì presero un treno che li portava a Genova.

Da Genova altro treno fino a Ventimiglia, lì c’era il confine e loro scesero, perché nessuno di loro aveva le carte in regola per espatriare.

Coi loro bagagli a mano, cominciarono a salire a piedi verso le montagne delle Alpi, tenendosi un po’ lontani dal confine, poi finita la strada si inoltrarono nei boschi fra i monti, aiutati dal fiuto di mio padre “che già la stessa cosa l’aveva fatta all’età di undici anni per recarsi in Svizzera”, lui aveva notato una persona con uno zaino in spalla, doveva essere un contrabbandiere e loro tenendosi a debita distanza lo seguivano in gran silenzio, così si ritrovarono in terra francese. Si riavvicinarono al mare e a Mentone risalirono su un   treno che li portò a destinazione, cioè Marsiglia.

Allora non c’era il telefono come adesso, avevano solo in mano un foglietto con su scritto malamente un indirizzo, non so dirvi come hanno fatto a trovare questa zia che aveva un negozietto di carbone in quella grande città portuale, che era Marsiglia, già allora molto affollata.

Raccontava la mamma che quando questa zia Caterina, li ha visti, è saltata loro al collo per baciarli e aveva ditate di carbone sul suo bel viso (era un pezzo di patria che era arrivata fino a lei).

Già il giorno dopo mio padre entrava a lavorare in una miniera, naturalmente di carbone e la mamma come donna di servizio in casa di un dottore Greco e mi diceva che non aveva mai visto una casa con tanti gatti che facevano la cacca dappertutto.

Come vedete una volta chi lasciava l’Italia in cerca di lavoro doveva imbarcarsi in un viaggio avventuroso e accontentarsi di ciò che trovava.

Ora con questa Europa, sarà più facile farlo?

Il mio pensiero va a quelle persone che mi dicevano che la patria è quel pezzo di terra dove si sta bene, ma allora perché appena avevano quattro soldi tornavano al paese d’origine. Non stavate bene là?

E penso anche a tutta quella gente che abbandona la sua terra per cercare fortuna in questa Europa, anche loro sognano come sognarono i miei genitori e forse anche loro sperano di tornare nella loro patria che pur povera e piccola che sia, è e resterà sempre, Patria nonostante la bella Europa unita.

Elda Zannini