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Testimonianze dei nonni d’Appennino: una sfida per le generazioni future

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Sulle pendici dell’Appennino reggiano, gli studenti Matteo Fiocchi e Michelle Ilariucci della 5A Agrario dell’I.I.S. “Nelson Mandela” di Castelnovo ne’ Monti rendono i paesi Valbona e Santonio protagonisti: un’intervista avvincente ai loro nonni che offre qualche spunto di riflessione sugli antichi stili di vita dell’Appennino.

I candidati sono Tacconi Franca, di anni 63 e residente a Valbona, e Francesco Giacopelli, di anni 69 e residente a Santonio. Nonni che evocano le affascinanti abitudini dei loro paesi natii e come sono cambiate nel corso della loro vita: dall’infanzia fino ad oggi.

Franca durante l’intervista racconta che “la sera dopo la cena ci si ritrovava tutti nella stalla, le donne a fare la calza e a chiacchierare, mentre gli uomini raccontavano storie ai bambini. Ci si trovava lì perché con il fiato degli animali l’ambiente si riscaldava e si risparmiava un po’ di legna”.

Quando lei era piccola non si buttava via nulla e il detto nel suo paese era “anc un trist cavagn al po gni bon na vota a l’an”, ovvero che anche un brutto cestino può venire comodo una volta all’anno. Anche diversi antichi mestieri sono oramai scomparsi come il carbonaio o il taglialegna: “Un tempo ogni famiglia si faceva una quantità di legna sufficiente per il proprio fabbisogno invernale tenendo così molto più curati i boschi, ora invece sono aziende più grandi che si dedicano al taglio della legna e successivamente alla sua commercializzazione”.  Franca ci parla anche dei mutamenti che hanno investito la pastorizia che è quasi scomparsa sui monti e “anche la lavorazione del latte è cambiata: ai tempi ogni paese aveva il proprio caseificio oppure il formaggio lo si faceva in casa, mentre oggi ci sono grandi latterie sociali che raggruppano molti contadini di frazioni diverse”.

La nonna Franca afferma che il ricordo più bello della sua gioventù “era andare a pascolare le pecore e ritrovarmi con gli altri ragazzi e bambini del paese a giocare nei prati, mentre le pecore brucavano l’erba. Il luogo invece che mi piaceva frequentare, e rimarrà sempre nei miei ricordi, era il bosco quando con mio padre andavo a cercare funghi” racconta sognante.

Il signor Francesco, invece, ci spiega l’allevamento del bestiame e la trasformazione del prodotto ricavato dagli animali: “Nel nostro paese ogni famiglia aveva una stalla con 5⁄6 capi, principalmente si allevavano vacche da latte, conigli, galline e maiali. Tutti questi animali venivano utilizzati per la produzione di latte, formaggio, uova, carne e carne bianca. Ad oggi invece il paese non ospita più attività agricole”. Anche Francesco, proprio come Franca, descrive la sua gioventù con sguardo incantato: “Il mio posto preferito era un luogo dove vi è posta una pietra grande (Pietra di Carnevale), in cui andavo insieme a tutti gli amici e ci si sedeva intorno ad un falò, si stava in compagnia tutta la sera a ridere e a scherzare.”

Ascoltare queste piccole testimonianze, attraverso le quali ancora oggi gli abitanti della montagna riescono a trovare il loro senso di identità, fa riflettere: tracce di tempi lontani o invito ancora forte a valorizzare il nostro territorio? Forse dovremmo imparare da queste tradizioni, sussurrate da voci amiche, l’impegno per evitare lo spopolamento giacché le generazioni cambiano, ma l’identità appenninica resta.