Il celebre detto “corsi e ricorsi storici” - che porta il nome di un illustre esponente dell’Illuminismo italiano - mi è tornato alla mente nel leggere un recente articolo di stampa in cui sono ricomparsi, con pertinenti argomentazioni, i cosiddetti “valori non negoziabili”, righe che mi sono sembrate fare abbastanza il paio con un controverso e divisivo libro, inerente al come stanno andando le cose del “nostro mondo”, e che nei mesi scorsi ha incontrato più d’una forte critica ma pure strati di convinta adesione e manifesta simpatia.
Parole come “principi non negoziabili” sembravano essere andate ormai in disuso, o quasi, per lasciare il posto ad un lessico più disinvolto e “permissivo”, tradottosi di fatto in un’azione abbastanza competitiva e concorrenziale rispetto ai menzionati principi, fino al punto di renderli sempre più secondari, e relegarli ad un’apparente marginalità, almeno in apparenza, salvo scorgere adesso un susseguirsi di segnali, vedi per l’appunto quelli di cui avanti dicevo, che lascerebbero intravedere una qualche controtendenza o “rinascita” in atto.
Sempre in argomento, qui a maggio, nel fare una sosta serale presso una rinomata località turistica del Belpaese, mi sono imbattuto in un certo qual numero di persone, tra cui alcuni giovani, raccolte intorno ad un sacerdote per la recita del Rosario, in una piazzetta del luogo, secondo una consuetudine di quartiere del mese mariano che a detta di uno dei presenti era stata interrotta da diversi anni, per essere ora ripristinata anche dietro iniziativa della locale Confraternita (che io vedo appartenere alla importante sfera dei Corpi Sociali).
Simboli e radici della “italianità”
L’episodio citato riguarda la vita religiosa, ma pure sul versante civico o “laico” sembra scorgersi una certa qual “rimessa in moto”, se penso alla preoccupata “reazione” percepita nei giorni scorsi davanti all’ipotesi di poter abdicare ai nostri riferimenti culturali, per non dispiacere a chi la pensa diversamente da noi, vedi le esonerate lezioni su Dante Alighieri, una figura collocata tra i simboli e le radici della “italianità” (reazione che è parsa smentire l’idea di una irrimediabile indifferenza, se non rinunciataria arrendevolezza, in tematiche di questo tipo).
Espressioni quali “principi non negoziabili” potrebbero venir lette come una imperativa e discriminante rigidità, specie seguendo il pensiero di chi teorizza il doverci aprire al “diverso”, e ai nuovi modelli e costumi cui la nostra società va via via incontro, ma a mio modesto vedere c’è una interpretazione molto semplice, e “domestica”, o quotidiana, di tale concetto, ovvero il far sì che ci si possa esprimere liberamente senza venir casomai additati quali ispiratori, o fomentatori, di sentimenti ostili verso l’una o altra categoria (come invece talora, e purtroppo, succede).
Chi crede in detti principi, senza alcuna pretesa di vederli condivisi da altri, può verosimilmente contare su entità politiche disposte a farsene portavoce, ma pure i Corpi Sociali, sempreché lo vogliano, possono svolgere un incisivo ruolo in tal senso, e io spero ad esempio che opinioni a favore di un abbigliamento consono per chi si reca in chiesa non vengano automaticamente accreditate come “bigotte o bacchettone”, alla stregua del venir qualificato come maldisposto verso gli animali da compagnia chi esprimesse riserve sulla loro “umanizzazione” (o un suo eventuale eccesso).
P.B.