Riceviamo e pubblichiamo
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Se n’è andato il Dottore del consultorio. Quanto al cognome… lasciamo stare: da Alibabà ad Abì, nessuno è mai riuscito a pronunciarlo bene, figuriamoci genti di montagna: “quelli che… il dialetto e poi nient’altro”
Il consultorio… io me lo ricordo bene. Accompagnavo mamma da bambina.
Salivi le scale e ti accoglieva la filodiffusione di una stazione radio: la musica serviva i due locali del servizio.
All’ambulatorio vero e proprio, a sinistra, dietro la porta a vetro resa cieca da poster e cartelloni applicati col nastro, la musica assicurava la discrezione per chi si confidava: era un confessionale laico, dove il velo separatorio era un continuum di fumo sospeso a mezz’aria come nei film in bianco e nero con Humphrey Bogart e dove il confidarsi era già terapia, nel passaggio catartico dal paziente all’ascoltatore… che era tale, senza giudizio, né preconcetto.
Nella saletta d’aspetto attigua, invece, la musica alienava chi aspettava.
Me le ricordo le “signore” sedute in punta di seggiola, con i piedi dolorosamente convinti a stare ridotti nelle scarpe “buone” e quelle calze (mai collant per non fare aspettare il Dottore!), tenute su da vecchi reggicalze o, per le più moderne, da pizzi autoreggenti.
Me le ricordo con i profumi di colonia a coprire l’odore di canfora degli abiti, con i loro chiacchiericci nervosi o i loro pesanti silenzi, alle prese con pudori, preoccupazioni, dolori, vergogna ed altri inconfessabili spettri che certe donne hanno forse confidato lì per la prima e sola volta nella vita, portandosi a casa, rinchiuso nelle borsette antiche, tutto il resto che proprio non ne voleva sapere di uscire.
Iniziavano allora anche le prime signore “immigrate”: chiamate “marocchine” da qualunque parte del Maghreb venissero!
Le intuivi soltanto, sotto sguardi scuri e schivi che aspettavano imbarazzate, in corridoio: uscivano solo in quella occasione e per partorire: figure sospese più dei mariti, tra due continenti ancora troppo distanti.
Ma il Dottore sapeva come rispettarle, capirle e curarle.
Per ogni caso, il Dottore raccontava aneddoti di precedenti molto più gravi che gli erano capitati che si erano comunque risolti bene: il “già visto” che comunicava, scioglieva subito la solitudine della paziente, che spesso era, nella sua mente, anche “imputata” di chissà quale reato morale… unico ed imperdonabile.
E la Patrizia a fianco, amanuense paziente e costante, scriveva e cercava di tradurre su carta, nella pratica di documenti e richieste, questa cura che spesso aveva una quota intraducibile.
A volte alzava la voce, specie dopo tante ore, sbottava: quando trovava un ostacolo, la burocrazia, un’ostilità preconcetta… allora vedevi lo sguardo accendersi ed accalcarsi, pronte ad uscire, parole ed imprecazioni di almeno due Paesi interi… ma poi il tono si calmava e solo il sorriso si velava per l’ennesima frustrazione da gestire.
Lo trovavi sempre, accoglieva chiunque e sempre, affannandosi a trovare una soluzione e convincere se stesso insieme alla paziente che fosse quella giusta: coraggioso, mai pavido come tanti di noi ora… spesso nascosti dietro una carta velina di istruzioni operative, a costruirci alibi legali per quelle che rimangono solo, tristemente, omissioni.
L’accoglienza, il sostegno sorridente e benevolo che era già perdono preliminare per qualsiasi cosa, era la prima magnifica cura del Dottore. Il resto è stato uno sbalorditivo percorso di presa di coscienza medica e sociale dei problemi femminili e maschili da parte delle donne e delle famiglie della montagna, un discorso che ha poi reso fertile il terreno per una sistematica rete di diagnosi precoce di tanti drammi femminili.
Con le poche risorse che aveva: effettive, o sognate soltanto, con passione, il Dottore ha intercettato, consolato e salvato molte donne.
Riposa in pace, Georges, in qualunque cielo tu abbia sognato nella tua generosa vita, e grazie.
(Raffaella)
Belle parole, che raccontano una storia vera durata molti anni e delineano il profilo di una persona dal cuore immenso ed una preparazione nel suo ambito medico, che pochi potevano vantare. Per la ns famiglia Georges e’ stao piu’ che un medico, perche’ nel tempo era diventato un amico, oltre ad averci aiutato ad avere due splendide figlie che oggi hanno rispettivamente 32 e 22 anni. Grazie di tutto caro amico di tutta la montagna, alla quale hai dato tanto, sia professionalmente, sia umanamente.
Un caro abbraccio a Franca ed a tutta la tua bella famiglia.
RIP
Ho lavorato per 6 anni come Ostetrica con il dottore ed era molto gentile e professionalmente molto preparato ha aiutato molte donne…Sentite condoglianze alla signora Franca e ai figli.
Ruffini Antonella