Questo me l’ha scritto quell’amico “virtuale” che già vi ho fatto conoscere:
Per conoscere il significato letterale della parola “rispetto” è molto semplice, basta consultare un dizionario o chiedere a Google.
Ma per sapere veramente cos’è il rispetto, bisogna purtroppo andare indietro con la memoria di parecchi anni.
Non dico di tornare al tempo che le persone si trattavano col voi “vueter”, ma almeno tornare a quando si dava del “lei” a qualsiasi autorità: alle forze dell’ordine, al parroco, alle suore, al medico, al farmacista, alle maestre, a tutti gli insegnanti e a tutte le persone anziane.
Oggi tanti giovani chiamano i genitori per nome, non esistono più i bei nomi di mamma e papà.
Tornare a quando le persone si potevano guardare negli occhi. Oggi volti bassi, occhi sul cellulare o sul tablet, orecchie otturate da auricolari, occhiali neri anche se piove.
Tornare a quando gli anziani si salutavano con un gesto sulla tesa del cappello, a quando si aiutava ad attraversare la strada a una persona che vedevi in difficoltà.
Tornare a quando si aiutava una persona a portare un “basel” con due secchi pieni di latte o di acqua.
Quando ci si faceva il segno della croce, passando davanti al portone di una chiesa o davanti a una postazione della Via Crucis oppure davanti al cancello del Camposanto e se passava un funerale ti fermavi un attimo levandoti il cappello al passaggio del feretro in segno di rispetto verso il morto.
Oppure ti trovavi su un autobus o in treno o su qualsiasi mezzo di trasporto pubblico e ti alzavi e lasciavi il posto a una persona, anziana, a una persona con in braccio un bambino, a una donna in gravidanza, o vedevi una persona in difficoltà.
Oggi tutte queste azioni, certamente senza colpa di nessuno, non rientrano nei comportamenti quotidiani della gente.
A mio avviso quelle usanze, andrebbero rivalutate, naturalmente corrette e adeguate ai tempi odierni, ma non sottovalutate, trascurate o dimenticate.
Certo che riprendendo certi atteggiamenti, non sarà una formula per la felicità, ma forse saremmo tutti meno stressati e più vicini agli altri “solo con un cenno del capo o mezzo sorriso” più sereni verso noi stessi, fare un po’ di bene agli altri, non mi risulta che abbia mai fatto male a qualcuno.
A tutte le persone piacerebbe essere rispettate, ma tanti non sanno che per esserlo, bisogna farlo per primi.
I miei genitori e i miei nonni mi raccomandavano sempre “rispetta e sarai rispettato” e io non l’ho dimenticato mai.
Cara Elda tu cosa ne pensi?
Ecco cosa ne penso, sarò molto più esplicita e mi riferirò ai nuovi genitori, perché adesso tocca a loro insegnare ai figli il rispetto verso gli altri.
In che modo?
Molto semplice, per prima cosa devono essere loro, cominciando la mattina presto, quando preparano in fretta il bambino per parcheggiarlo da qualche parte, perché purtroppo devono recarsi al lavoro.
Bastano pochi minuti, svegliarlo con un sorriso, un abbraccio e dirgli “buongiorno” anche se è molto piccolo, se lo farete sempre, sarà poi lui il primo a dirvi questa parola e quando sarete vecchi metterà il naso nella fessura della porta per dirvi:
“Buongiorno, ti serve qualcosa?”
Tocca sempre a voi quando lo portate in passeggino e qualche conoscente vi fermerà a ripetergli: “Saluta la signora dille buongiorno” così si abituerà e non farà più lo scontroso girandosi dall’altra parte.
E adesso una breve lezioncina alle maestrine, perché permettete ai vostri scolari di trattarvi col tu e chiamarvi per nome? Certo che io non ho studiato pedagogia, ma ricordatevi, dopo i genitori siete voi le prime responsabili della loro educazione, io personalmente non condivido questa usanza.
Imparare a usare il lei verso i superiori è molto importante, e voi sempre col sorriso, cercate di mantenere quel minimo di distanza che serve:
“Non sono tua mamma, non sono tua sorella, ma la tua insegnante, sono cresciuta ho studiato, non sono tua pari, ho faticato a diplomarmi, sono quella che oltre a insegnarti a leggere e a scrivere, ti deve educare e questa e una cosa che devi imparare subito”.
Se poi qualcuno pensa che io sbagli, libero di farlo, ma io la penso così. Quando qualche anno fa andavo nelle scuole elementari a leggere i miei racconti che parlavano del passato, mai nessun bambino mi ha dato del tu, e ancora adesso che sono cresciuti quando mi incontrano mi salutano facendo un bel sorriso.
Certo che vedo e leggo di certi ragazzini, ma forse la colpa non è loro, ma di chi li ha educati pensando che crescere in libertà fosse una cosa buona da insegnare.
Mi raccomando anche in oratorio orecchie ben aperte, dal momento che anche lì gira qualche bestemmia, non è assolutamente educativo permettere tutto indistintamente, le prime regole dell’educazione, devono essere rispettate. Certo che sarà molto difficile recuperare certi quindicenni che pensano di essere i padroni del mondo, poi arriverà il momento che qualcuno li farà ricredere, specialmente quando dovranno affrontare il primo lavoro. Allora si chiuderanno sopra a un telefonino o a un computer e quando ti incontreranno non alzeranno gli occhi e non sprecheranno neanche un cenno di sorriso, ma certamente non si sentiranno felici.
(Elda Zannini)
La mia generazione ha conosciuto bene il rispetto di cui parla Elda Zannini, cui eravamo indirizzati fin dalla giovane età, tanto che era per noi impensabile il dar del “tu” ad un insegnante, e penso che tale “lezione” ci abbia aiutato più di una volta nel corso della vita.
Ci ha fatto prendere l’abitudine a controllarci, anche sul piano delle emozioni, pur se può sembrare un’imposizione in un mondo che non vuole limitazioni di comportamenti e linguaggi, ma per noi non era vissuta quale coercizione quanto piuttosto come normalità.
Era il modello che si erano date allora le nostre comunità, non per obblighi legislativi ma come risultato del sovrapporsi di usanze e consuetudini, e seppur non esente da una qualche ipocrisia quel modello ha cresciuto generazioni che non credo abbiano “sfigurato”.
P.B. 15.05.024
Grazie , speriamo lo leggano in tanti
Il rispetto va innanzitutto esercitato verso i nostri simili, ma pure, io credo, nei confronti dei luoghi – nonché delle tradizioni e consuetudini mi viene di aggiungere – e proprio riguardo ai luoghi Elsa Zannini cita opportunamente Oratori, Chiese e Camposanti, il che mi fa ricordare quando ci si recava alla Messa, e funzioni religiose in genere, con abbigliamento sempre consono, anche molto semplice ma comunque dignitoso (l’abito della domenica o festa come si usava dire), mentre oggi capita non di rado di notarvi modi di vestire alquanto più disinvolti (e mi pare talvolta poco rispettosi della sacralità del luogo).
Nell’oratorio noi ragazzi potevamo giocare e divertirci anche ad alta voce, ma le bestemmie erano severamente bandite, e se poi succedeva di entrare in chiesa diventavamo silenziosi e composti, a significare che i nostri atteggiamenti si conformavano alle differenti circostanze, pena il venir redarguiti con decisa fermezza, mentre oggi tali “adeguamenti” sembrano talora non venir osservati, e fors’anche neppure percepiti, in una sorta di “indistinto” che tende a metter tutto sullo stesso piano, con un livellamento che rischia di rivelarsi poco educativo (per usare il concetto ritrovabile nell’articolo).
Quanto al camposanto, si era soliti andare periodicamente a fa visita ai propri defunti, accompagnando genitori (che erano mamma e papà, e non genitore 1 e 2) o zii e nonni, abitudine che oggi sembra andare via via perdendosi perché ritenuta casomai superflua, così come sono spesso dimenticate le ricorrenze di vario tipo, vedi la sagra del proprio paese, tanto da avere l’impressione che siano tutte usanze ormai considerate “minuzie”, o suppergiù, e pur se potevano anche concernere il nostro “piccolo mondo”, erano nel loro insieme un patrimonio valoriale che ci dava identità, in una col senso di appartenenza.
Ritornando infine sugli adolescenti e ragazzi avezzi a dare dei “tu” abbastanza inopportuni, ci si potrebbe anche chiedere se i destinatari del “tu” potessero o dovessero se del caso ricusarlo, ovviamente con ogni tatto e buona maniera avendosi a che fare con dei giovani, anziché far loro “buon viso” e semmai fors’anche incoraggiarli in nome di un malinteso senso di “democraticità”, e il fare adesso marcia indietro non sarà impresa facile, seppur più d’uno ne avverta il bisogno, anche perché chi volesse tentarvi potrebbe venir eventualmente tacciato di “autoritarismo” (il che in questi tempi non è simpatico).
P.B. 16.05.2024
Tutto ciò, cari anonimi, è divertente se si pensa che ho lasciato il lavoro col pubblico per gli atteggiamenti denigratori e offensivi di chi pretende il rispetto solo per questioni anagrafiche. Documenti lanciati, urla, minacce.. Una vita di pretese in cambio di “adesso mi risolvi tu il problema”.
Gentile Signora, dal momento che l’unica non anonima sono io le dirò,
mi spiace molto per la sua delusione, non pensi che una volta non fosse così
Io ho sempre fatto un lavoro manuale che richiedeva testa. Anch’io all’inizio ho sbagliato
“6 salopette di Armani” allora non urlavano, ma se non rimediavi te le addebitavano.
Ho lavorato giorno e notte per scucirle e rifarle, ma non mi sono licenziata, mi è servito
per imparare. Non era stata colpa dei datori di lavoro, se poi uno ha perso le “staffe”
può succedere, ma non facciamo di ogni erba un fascio. Elda
Mi rivolgo a Valentina da “non anonimo” qual sono – posto che il nome di chi invia commenti a Redacon è ben noto alla Redazione – per dire che “chi pretende il rispetto solo per questioni anagrafiche”, semmai appartenesse alla mia generazione, ha verosimilmente dimenticato la “lezione” impartitaci all’epoca della nostra gioventù.
Oppure, potrebbe casomai esser successo che coloro cui fa riferimento Valentina si siano lasciati trascinare e “contagiare” dal clima di permissivismo, e di “pretese”, intervenuto negli anni successivi, allorché si è guardato sempre più ai diritti e sempre meno ai doveri, mentre, io credo, dovrebbero andare di pari passo, pena il creare squilibri e scompensi.
Poi i maleducati, arroganti, e pretenziosi, ci sono sempre stati, ma si tratta di proporzioni e io penso in ogni caso che i comportamenti singoli non facciano granché testo, quanto piuttosto gli indirizzi educativi verso i giovani che si danno la società, e le famiglie, corroborandoli con gli esempi, riguardo a condotta e modi di fare, e anche di esprimersi.
Un tempo, che io ricordi, se da ragazzi venivamo ripresi da qualche adulto del quartiere per una o altra “marachella”, eravamo imbarazzati e ne provavamo casomai vergogna, proprio in virtù della educazione ricevuta, mentre oggi non mi pare essere proprio così, e se quell’adulto lo segnalasse ai rispettivi genitori potrebbe non venir ringraziato, anzi.
P.B. 21.05.2024