La Vittoria
La Vittoria ci ha lasciato alla bella età di novantasei anni.
Come si fa a non ricordare questa donna che ha passato buona parte della sua vita dietro un bancone a rifornire il latte ai Castelnovini.
Io l’ho conosciuta quando ancora bambina con un bidone forse mezzo pieno, di latte appena munto, a mo’ di zaino sulle spalle, salivo sulla biciclettona di mio padre, ogni mattina abbastanza presto e lo portavo al suo negozio.
La trovavo dietro al banco con sopra i vari misurini da un litro, da mezzo o da un quarto, di alluminio, lucidi splendenti, come il ripiano di marmo dove stavano appoggiati.
Il pavimento lindo e le pareti verde acqua davano luce a questo bugigattolo.
Si era una stanza sola in quella fila di casupole che sorgevano dove ora c’è il grattacelo.
Una fila di casupole basse che costeggiavano via Roma in quel periodo, una fila di negozietti:
Appio ed Bigarell che faceva il barbiere all’inizio, alla sua destra, un triangolino di terra che fungeva da giardinetto adombrata da un grande ippocastano.
Poi alla sinistra di questo, andando avanti verso il centro del paese, il “cementeùr” che scolpiva lapidi di marmo per il cimitero, aveva un bambino che si chiamava Ivan.
Poi trovavi Nando lo “scarpulìn”, col suo sorriso aperto, anche lui ci ha lasciato pochi giorni fa.
Vicino a questo la cara Vittoria con la sua linda latteria.
Poi l’appartamentino dove abitava la Fanny coi suoi due bambini.
Alla fine Otello, un altro barbiere, proprio vicino all’arco che immetteva in una scaletta che scendeva alla famosa “Maestà”.
Come posso non ricordare a voi la Vittoria, questa signora, che quando arrivavo diceva a suo marito:
“Aieùta clà ragaseta lè cavghe al bidun (aiuta quella bambina levale il bidone dalle spalle)”.
Come posso non ricordare queste premure che mi riservava, come posso scordarmi il suo sorriso che non era un sorriso “stampato” ma vero come lo era lei che continuava a servire i clienti che si presentavano col “burghin dal latt”, allora le bottiglie non le usava nessuno erano cosa preziosa perché si rompevano facilmente.
Il mio latte veniva pesato poi annotato nel mio quaderno e nel suo, a fine mese, mio padre si recava per il ricavato.
Ecco la Vittoria la ricordo così, sempre col camice bianco lo straccio da tenere pulito il bancone in mano e un sorriso per tutti quelli che entravano in questo negozietto, che era più nitido di una camera operatoria.
(Elda Zannini)