Elda racconta: La Brosella
Questa è una di quelle storie vere che navigano nel passato.
Tempo fa i nostri nonni ce l’avrebbero raccontata, una sera, quando tutti eravamo raccolti vicino al fuoco, ora questi nonni o per forza o per amore, hanno dovuto modernizzarsi usando sto attrezzo che si chiama computer, che alle volte funziona e altre volte fa i capricci, perché le nostre mani non sono più tanto agili e schiacciano un tasto sbagliato.
Torniamo al racconto, che non è mio, l’ha scritto un amico che da un po’ di tempo, legge ciò che scrivo su REDACON.
Vi dirò un amico virtuale, sì, anche se questo nome non mi piace è così, ogni tanto ci scambiamo qualche idea in questo modo che poi è un modo come un altro per chiacchierare un po’ del nostro passato, anche se lui è più giovane di me.
E’ un signore che il destino ha portato molto lontano da qua, ma non ha dimenticato questi posti dove ha trascorso la sua gioventù.
Da come scrive potete intuire quella sottile nostalgia che prende molto spesso gli emigranti, anche se la loro vita trascorsa altrove è stata molto soddisfacente.
Il ricordo dei nonni, della casa dei nonni è una cosa molto dolce che non poteva passare davanti a me inosservata.
Ho messo questo titolo “la brosella” che poi era un biroccio trainato da due mucche, diverso dai nostri, con le sponde in legno, intagliate molto belle.
Ed ora ascoltate, così come lui l’ha raccontato a me, io lo passo a voi, so che questi racconti di una volta vi piacciono, ci ricordano il nostro passato. Non ho cambiato nemmeno una virgola di quel che mi ha scritto questo signore, molto gentile ed educato.
LA BROSELLA
Negli anni 50 il lunedì e forse si farà ancora oggi, a Castelnovo era il giorno del mercato, prevalentemente agricolo, giorno considerato dai contadini come un giorno di festa.
Mio nonno il primo lunedì di ogni mese, se non pioveva, con la “brosella” tirata da due mucche andava a quel mercato per acquistare qualche sacco di crusca, di farina di granturco, di granaglia per le galline o qualche gallina ovaiola e se gli avanzava qualche lira, anche un paio di conigli.
Quel giorno, mio nonno, si vestiva dalla festa, ovvero scarponi, anziché zoccoli o stivali, camicia scozzese dai colori sgargianti e al collo l’immancabile foularino triangolare rosso.
Io in quegli anni non sapevo, perché il foularino fosse rosso, dopo qualche tempo, lui stesso mi spiegò il perché era sempre di quel colore, lui era un seguace sfegatato Nenniano.
Quando lui era pronto, mi chiamava, era di buon ora (la sveglia era stata puntata alle 4 del mattino) e si partiva.
Io tutto contento e orgoglioso, perché il nonno mi portava con se. Mi sedevo sull’asse di legno della “brosella” all’altezza delle due ruote. Durante il viaggio un po’ dormicchiavo e un po’ stavo attento che le mucche non mi scaricassero la loro “bida” o la pipi addosso.
Il viaggio dal Monte Faillo, posto in uno di quei bellissimi terrazzamenti del paese di Vetto, a Castelnovo, era lungo e molto difficoltoso. In quegli anni molte strade erano ancora sterrate e piene di buche e le mucche, la Ronda e la Mora, questi erano i nomi delle due mucche di razza (Bruna Alpina), erano piuttosto lente.
Terminato il lungo viaggio, arrivavo a Castelnovo col sederino rosso e qualche acciaccatura nelle cosce, ma contento di farmi vedere dalla gente col nonno, un uomo dall’aspetto burbero, musone e solitario. Ero contento di vedere tanta gente, tanti animali da fattoria e di non aver lavorato nei campi sotto il sole per una giornata intera. A quell’età quando era l’ora del raccolto, io già legavo covoni di grano nella terra dei miei vecchi.
Il viaggio di ritorno poi, mi ha sempre lasciato un dubbio, era mio nonno che conduceva le mucche? O le mucche conducevano a casa il nonno? Perché questo dubbio? Perché lui qualche bicchierino pagato o offerto da altre persone o vinto alla “mora” se lo beveva.
Alla sera arrivavo a casa stanco cotto, e spesso non avevo la forza di mangiare. Bevevo una tazza di latte caldo e subito a nanna.
Ti dirò ci sono persone che hanno rimosso dalla mente quegli eventi, forse perché da loro considerati una quotidianità? O forse per vergogna?
Io ritengo di non appartenere a quella categoria di persone, anzi mi vanterò sempre di essere venuto dalla stalla, perché proprio la stalla mi ha insegnato la fatica, l’umiltà, il sacrificio, la rinuncia e soprattutto mi ha insegnato ad amare il lavoro e ringraziare chi me lo ha sempre dato.
Tutto questo è stato scritto da questo mio amico e forse un giorno se me lo permetterà, scriverò anche il suo nome, perché ogni tanto mi ricorda un pezzo della sua vita, che è la stessa che facevamo noi in quegli anni e io vorrei farvela conoscere. Ricorda il suo passato con amore, tanto da costruire un plastico in scala 1:100 che riproduce nei minimi particolari la casa del suo nonno e le sue pertinenze e anche la famosa “brosella” e io voglio mostrarvi le tre foto che mi ha mandato.
(Elda Zannini)