Riceviamo e pubblichiamo
***
Un recente servizio di TGNEMONTI, in data 12 aprile, ha riferito che sarebbe a rischio di chiusura una percentuale alquanto elevata delle aziende agricole emiliane, trovandosi ad essere senza successori, e la notizia, ossia l’ipotesi di una tale “perdita”, può essere variamente percepita, indurre cioè una pluralità di riflessioni, anche riguardo al nostro territorio se detta prospettiva dovesse interessarlo (come non possiamo escludere).
Parto col dire che siffatta previsione desta in taluni di noi molteplici preoccupazioni, per una intravedibile sommatoria di negatività, con effetti a cascata, vedi possibili “colpi” ad un importante comparto primario come quello agro-zootecnico-caseario, e relativo indotto, con eventuali e significative ricadute occupazionali, unitamente al timore che possa risentirne anche il tessuto sociale a causa di un ulteriore spopolamento della montagna.
A questo punto di vista si oppone tuttavia, e per così dire, la tesi di quanti hanno invece una diversa visione delle cose, giacché ritengono che la dismissione di campi coltivati, casomai dovesse verificarsi, si tradurrebbe di fatto in una maggiore rinaturalizzazione dei nostri luoghi, con verosimile aumento delle superfici boscate, cui corrisponderebbero in buona sostanza rilevanti benefici sul piano ambientale, sempre secondo il loro “sentire”.
Il ricambio generazionale cui eravamo abituati
Nel campo delle aziende agricole, noi eravamo poi abituati ad una transizione o ricambio generazionale che avveniva all’interno dello stesso nucleo parentale, ma se questa consuetudine dovesse interrompersi perché figli e nipoti dei titolari si orientano verso altre occupazioni, c’è chi minimizza il problema reputando che i “successori” potranno venire da fuori, semmai convertendo la tipologia delle attività agricole qui esercitate sino ad ora.
Tra questi “esterni”, provenienti giustappunto da fuori, si includono anche quanti scelgono di trasferirsi in campagna, disposti a cambiare il proprio mestiere, e a compensare con la passione il difetto di esperienza, cui potrebbero aggiungersi pure addetti stranieri già ferrati in pratiche agricole per la loro origine da Paesi dove le stavano esercitando, pur se d’altro genere rispetto alla nostra tradizionale produzione del Parmigiano-Reggiano.
La filiera di questo pregiato ed apprezzato formaggio, oltre a generare sostanziosa economia, si configura da tempi lontani come segno distintivo del nostro territorio, in una con pastorizia e pascolamento nelle sue zone più alte, e anche tra i non addetti ai lavori c’è fra noi chi è molto legato a questa tipica “eccellenza”, mentre altri vi sono viceversa abbastanza indifferenti perché ormai proiettati verso una società poco o nulla identitaria.
(P.B.)
Di fronte alle sopraggiunte ed avverse condizioni meteo di questi giorni, che ci hanno portato neve e basse temperature dopo un periodo di “clementi” condizioni climatiche, che avevano dato una forte spinta vegetativa alla nostra campagna, piante da frutto incluse, abbiamo sentito esprimere un’ovvia, e più che comprensibile, preoccupazione, tra operatori e addetti del settore agricolo.
Ma non sono nel contempo mancati quanti hanno dato l’idea di una certa qual noncuranza riguardo ai danni che potrebbe aver subito la nostra agricoltura, forse pure loro dispiaciuti per le perturbazioni, ma con altre e diverse ragioni, e forse perché pensano che sulla nostra tavola arriveranno comunque frutti ed ortaggi, semmai prodotti in zone risparmiate dal maltempo, o anche da più lontano.
Non si può pretendere una generale attenzione e premura per le sorti della nostra agricoltura, ma c’è nondimeno da augurarsi che un apparente “disinteresse” in proposito sia abbastanza contenuto, pena lo scoraggiare i giovani nel succedere ai genitori nella conduzione delle aziende agricole, col rischio di rammaricarci poi troppo tardi di loro eventuali chiusure.
P.B. 24.04.2024