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POLITICHE GIOVANILI IN APPENNINO

Claudia Martinelli: “Dobbiamo lavorare per i giovani e con i giovani”

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Claudia Martinelli: "Dobbiamo lavorare per i giovani e con i giovani"

Il tema giovani è sempre di più al centro della discussione pubblica. Si tratta di un’area di lavoro delle amministrazioni pubbliche e dei servizi molto delicata e in continuo movimento, specialmente dopo gli anni della pandemia. Con la chiusura del mandato amministrativo è tempo di bilanci e lo facciamo con Claudia Martinelli, che negli ultimi 5 anni ha lavorato come consigliera del Comune di Castelnovo e dell’Unione alle politiche giovanili del territorio.

L'intervista

Che bilancio possiamo fare sulle politiche giovanili?

Mi sono confrontata con un ambito nuovo per me nonostante l’esperienza di insegnamento nelle scuole. Ho imparato molto dallo staff di tecnici messi a disposizione dal Comune e dall’Unione e ho scoperto quanto si tratti di un mondo estremamente articolato. Spesso si pensa che con i giovani sia semplice costruire proposte o rispondere ai problemi che li riguardano mentre siamo di fronte ad un’area in continua trasformazione come del resto sono in continua trasformazione i giovani stessi. Pensate solo ai cambiamenti legati alla pandemia, quanto hanno inciso e stanno ancora incidendo sulle nuove generazioni. Oppure all’impatto della tecnologia.

Credo che il lavoro svolto da tutta la squadra sia stato molto positivo da diversi punti di vista.

Per quanto riguarda quello economico: abbiamo portato in montagna in 5 anni quasi 250.000 euro dalla Regione per i progetti unionali e 120.000 dal Ministero per un progetto su Castelnovo per il bando Giovani in Biblioteca in partenza in queste settimane. Sono cifre consistenti, ricavate da bandi in cui ci siamo piazzati spesso ai primi posti nonostante una consistente concorrenza.

Dal punto di vista organizzativo abbiamo costruito un nuovo assetto all’interno dei servizi che permette una maggiore connessione tra i 7 Comuni, l’Unione, il Servizio Sociale Educativo Associato, l’Ausl e Asc Appennino Reggiano. Abbiamo dato alle politiche giovanili quindi una collocazione più forte e integrata tra promozione dell’agio e prevenzione del disagio grazie ad un unico progetto a livello unionale. Spesso si trascurano questi aspetti organizzativi ma rappresentano molto di più di una cornice o un dietro le quinte, bensì sono il motore di quello che poi si riesce a realizzare.

E dal punto di vista delle azioni fatte a favore dei giovani?        

Anche qui il bilancio è ottimo. Se prendiamo il dato del numero di contatti solo nel 2023 abbiamo toccato quota 4000 ragazzi e ragazze dai 14 anni in su, un dato altissimo frutto di una grande quantità di azioni che vanno dall’educativa di strada, alle attività nelle scuole, alla gestione degli spazi aggregativi, l’organizzazione di eventi culturali, il presidio dei luoghi del divertimento notturno, le proposte laboratoriali. Poi i numeri non dicono tutto e i professionisti delle politiche giovanili ci dicono sempre che bisogna fare attenzione anche agli aspetti qualitativi, a quanto gruppi di giovani si stanno attivando sul territorio, alle reti e collaborazioni che si sono formate o rinforzate con associazioni e commercianti, alla presenza più diffusa su tutta la montagna di iniziative giovanili. Sono elementi più difficile da cogliere ma che soprattutto negli ultimi tempi stanno emergendo con più forza e che dobbiamo essere capaci di vedere e apprezzare.

In particolare sono particolarmente legata al Bismantova Cos&play, un evento del 2019 che ha cambiato il nostro modo di vedere le proposte dei giovani tanto è stato il successo di pubblico e la leva economica raggiunta (per ogni euro speso ne sono entrati 10 sul territorio); oppure la sperimentazione del Tavolo di Comunità fatta a Casina con un movimento di giovani veramente insperato e tutto in connessione con le associazioni locali. Oppure, ancora più recente, il bellissimo percorso con il Parco Tegge di Felina per la realizzazione del Tegge Festival 23 sui temi della sostenibilità che ha poi portato ad attivare gruppi di giovani per tutto l’inverno e la primavera e ad aggiudicarsi il Bando Partecipazione della Regione per progettare la nuova edizione 2024.

Nonostante questi risultati la sensazione che i cittadini solitamente hanno è che i giovani siano un problema e che non si faccia abbastanza per loro. Si amplia il divario tra le generazioni e risulta difficile riaprire un dialogo tra i giovani e i meno giovani. Cosa ne pensa?

Penso che serva molto pazienza e costanza per avere risultati significativi, ma ancora di più perché questi vengano percepiti. Io stessa che ho potuto stare nelle stanze dei bottoni, dove si progetta, si valuta e si prendono decisioni ho avuto bisogno di molto tempo per capire questo mondo. C’è tanto da studiare e sperimentare per non cadere nelle semplificazioni. Stiamo lavorando con una materia delicata e non governabile completamente, sono persone che crescono e che si confrontano con un mondo pieno di sfide nuove e per certi versi con un futuro minaccioso. Dobbiamo come amministratori uscire da logiche emergenziali e interventi “spot” e darci delle visioni più lunghe e coraggiose.

Cosa possiamo fare allora?

Credo che la prima cosa sia convincerci e quindi convincere i cittadini che lavorare per i giovani e con i giovani, investire importanti risorse non è un gesto di buonismo ma è un gesto strategico per il futuro del nostro territorio, che ci conviene farlo, anche economicamente. In questi 5 anni abbiamo tutti provato a connettere maggiormente le politiche di coesione della Snai e della Stami con le politiche giovanili perché non ha senso progettare la montagna senza la voce, la testa, le gambe e il cuore dei giovani. Spesso è difficile ingaggiarli, coinvolgerli e nella fretta, nelle scadenze finiamo per fare senza di loro, progettiamo il loro futuro senza che loro abbiano potuto dare un contributo. Ecco, questo credo che sia la cosa più importante che dobbiamo assolutamente evitare. Dobbiamo fare di tutto per ridare fiducia, spazio e potere alle nuove generazioni. E’ un movimento estremamente difficile specie in contesti dove i giovani sono una minoranza sempre più esigua della popolazione.

Siamo ancora lontani dal cogliere questo obiettivo. Posso però vedere come alcuni movimenti che abbiamo avviato con la squadra di professionisti che si occupano di giovani (comprese diverse cooperative sociali) ci hanno fatto vedere le potenzialità di questa visione. In alcuni territori si sono generati impensabili connessioni tra giovani e associazioni, sbocciano desiderio di intraprendere, funzionano meglio eventi e organizzazioni locali. Per farlo credo che la parola d’ordine sia partecipazione: non dobbiamo fare le politiche per i giovani, dobbiamo costruire le condizioni perché queste politiche siano costruite da chi i territori li abita, dai cittadini di tutte le età. Perché i giovani non sono di competenza dei servizi e degli esperti, sono di tutti.

Oggi si parla molto di approcci di sistema: per affrontare le enormi sfide del nostro tempo non possiamo più avere uno sguardo solo al proprio cortile di casa, servono logiche e impegni più ampi. Come la vede?

Concordo. Si dice che bisogna pensare globale e agire localmente. Credo che occorra quantomeno pensarsi come territorio vasto, uscire dai campanilismi, vedere che nella collaborazione ci sono più vantaggi che svantaggi. Stiamo sperimentando alcuni interessanti gruppi di lavoro che operano in questa direzione: in particolare il Tavolo Sviluppo Appennino che ho avuto l’onore di coordinare è un’esperienza che molti ci invidiano, un modo di fare politiche giovanili direttamente con gli amministratori under 30. E’ un modo di affrontare alcune sfide in modo diverso. Anche qui niente di perfetto ma alcuni segnali sono incoraggianti. Servono tanti tavoli di questo tipo, tanti gruppi che possano coltivare un approccio di sistema ai problemi. Questo è forse il contributo più importante che siamo riusciti a dare al territorio in questi 5 anni di lavoro.

1 COMMENT

  1. Riguardo al non fare abbastanza per i giovani, secondo il concetto che ritroviamo nella terza domanda dell’intervista, bisognerebbe innanzitutto chiedersi quali sono le loro aspettative, e giusto in proposito è proprio chi si trova ad essere a loro contatto (vedi ad esempio lo “staff di tecnici” di cui si parla in queste righe, unitamente ad altre figure) che può aver raccolto o percepito un tale “dato”, il quale a me pare configurarsi quale importante, se non imprescindibile, fattore propedeutico e preliminare verso il concepire ed intraprendere azioni ed iniziative in favore del mondo giovanile.

    Una volta acquisita una “fotografia” di questo genere, si può valutare se ci sono effettivamente forze e risorse commisurate a soddisfare dette finalità o “aspirazioni”, o quantomeno andarvi incontro, onde non incorrere nel rischio di alimentare illusioni destinate casomai a trasformarsi in cocenti e scoraggianti delusioni, e quanto al trovarci di fronte ad “un’area in continua trasformazione”, ci si potrebbe anche chiedere se le trasformazioni vadano sempre assecondate o invece accompagnate in modo da guidarle, e se del caso mitigarle (e altrettanto dicasi per le eventuali intemperanze).

    Capita abbastanza spesso che le nuove generazioni esprimano disappunto rispetto all’operato di quelle trascorse, e non sempre senza ragione, e le critiche possono altresì servire a migliorarsi, ma il “lavorare per i giovani e con i giovani” potrebbe o dovrebbe pure includere, perlomeno a mio modesto vedere, lo spiegare loro con la necessaria franchezza le “buone cose” fatte da chi li ha preceduti, e che il disagio che ognuno di noi può provare in determinati momenti della vita va superato sia chiedendo legittimamente aiuto, quando ne sentiamo il bisogno, ma anche “mettendoci del nostro” come si usa dire.

    P.B. 30.03.2024

    • Firma - P.B.