Nella poesia ‘Ricordi’ Alda Merini dice che Quello che è passato/è come se non ci fosse mai stato e che Il passato è solo fumo/di chi non ha vissuto. Tuttavia, le memorie ci chiamano di continuo, cantando o piangendo, tingendo il presente:
The Bells, 1971
Le Campanelle
Today the circus poster
Oggi il cartellone del circo
is scabbing off the concrete wall
si scrosta dal muro di cemento
and the children have forgotten
e i bambini hanno dimenticato
if they knew at all.
se mai l’hanno saputo.
Father, do you remember?
Padre, ti ricordi?
Only the sound remains,
Resta solo il suono,
the distant thump of the good elephants,
il rumore sordo distante dei buoni elefanti,
the voice of the ancient lions
la voce di leoni vetusti
and how the bells
e come le campanelle
trembled for the flying man.
vibravano per l’uomo volante.
I, laughing,
Io, ridendo,
lifted to your high shoulder
portata in alto sulla tua spalla
or small at the rough legs of strangers,
o piccola tra le gambe ruvide di estranei,
was not afraid.
non avevo paura.
You held my hand
Mi tenevi la mano
and were instant to explain
ed eri pronto a spiegare
the three rings of danger.
i tre anelli del pericolo.
Oh see the naughty clown
Oh guarda il pagliaccio dispettoso
and the wild parade
e la parata animata
while love love
mentre amore amore
love grew rings around me.
amore stringeva anelli attorno a me.
This was the sound where it began;
questo era il suono dove cominciò;
our breath pounding up to see
il nostro respiro pulsava vedendo lassù
the flying man breast out
l’uomo volante a petto disteso
across the boarded sky
attraverso il cielo rinchiuso
and climb the air
e salire l’aria.
I remember the color of music
Ricordo il colore della musica
and how forever
e come per sempre
all the trembling bells of you
tutte le campanelle vibranti di te
were mine.
furono le mie.
Il cartellone colorato che cade a brandelli dal muro, come pelle morta che si stacca, può non ricordare niente agli altri bambini, indifferenti, ma la poetessa, Anne Sexton (1928-1974) ricorda e lo rammenta al padre. Dapprima arrivano i suoni: il battere delle possenti zampe dei pacifici elefanti, il ruggire quasi umano di vecchissimi leoni, quei leoni stanchi e rassegnati sempre presenti nei piccoli circhi, e poi le campanelle richiamano l’attenzione alla prova dell’uomo volante.
E allora Sexton si rivede, bambina, ridente, osservare lo spettacolo dall’alto sulle spalle del padre, tolta alla confusione delle gambe della folla che la faceva sentire piccola. Ma, comunque, quella bimba non aveva paura, e anche i cerchi pericolosi delle acrobazie non spaventavano perché il padre era pronto a spiegare, a tranquillizzare. I cerchi acrobatici dello spettacolo si trasformano in cerchi d’amore che proteggono la piccola, nell’inizio di un sentire all’unisono tra padre e figlia, nel battere insieme del loro respiro rivolto all’insù a osservare l’uomo volante offrire, senza alcun timore, il petto all’aria del cielo circoscritto dal tendone del circo. Nel ricordo i sensi si mescolano: la musica ha un colore che resterà per sempre, come per sempre la bimba sentirà di possedere le campanelle di quell’emozione che era tanto del padre quanto sua.
Nell’atmosfera apparentemente felice di un legame rafforzato tra figlia e padre, ci sono elementi di disturbo: i bambini che hanno dimenticato la gioia di un momento nel passato, il cartellone che si stacca come pelle malata, il pericolo nei cerchi delle acrobazie, il cielo prigioniero, la folla che attornia la piccola, gli animali decrepiti. Forse il circo non è solo la rappresentazione del divertimento, ma anche quella di un microcosmo caotico, preoccupante e temporaneo, una felicità illusoria che non ci ripara da un pervasivo sentore di perdita. In un’altra poesia, Sexton usa lo stesso richiamo delle campanelle per descrivere un periodo in ospedale psichiatrico, in una giornata dove, insieme ad altre pazze signore, è obbligata a suonare le campanelle come diversivo alla follia.
Anche in My Papa’s Waltz di Theodore Roethke (1908-1963), il divertimento del ballo ha toni oscuri:
My Papa’s Waltz, 1942
Il Valzer di mio Papà
The whiskey on your breath
Il whiskey sul tuo alito
Could make a small boy dizzy;
Potrebbe stordire un bambino
But I hung on like death:
Ma io tenevo duro, a costo di restarci:
Such waltzing was not easy.
Ballare il valzer così non era facile.
We romped until the pans
Abbiamo fatto un gran chiasso tanto che
Slid from the kitchen shelf;
Le padelle in cucina sono cadute dal ripiano
My mother’s countenance
L’espressione di mia madre
Could not unfrown itself.
Non perdeva il suo cipiglio.
The hand that held my wrist
La mano che mi teneva il polso
Was battered on one knuckle;
Aveva segni su una nocca
At every step you missed
A ogni passo che sbagliavi
My right ear scraped a buckle.
Il mio orecchio destro strisciava una fibbia.
You beat time on my head
Tenevi il tempo sul mio capo
With a palm caked hard by dirt,
Col palmo tutto incrostato di terra,
Then waltzed me off to bed
Poi mi portavi a letto al tempo del valzer
Still clinging to your shirt.
Mentre io ancora mi avvinghiavo alla tua camicia.
Cos’è questo valzer? Una metafora per descrivere il divertimento chiassoso tra papà e figlio? O il valzer con questo padre che ha bevuto troppo è il racconto di un altro genere di contatto fisico? Quello che ci rimandano l’immagine della mano ferita sulle nocche (è venuto alle mani in un bar?), del polso del bambino tenuto dall’uomo, delle pentole che cadono, dell’orecchio del piccolo che struscia la fibbia della cintura, della mano callosa che tiene il ritmo sul capo del bimbo non ha forse chiare connotazioni di violenza? Negli anni quaranta del secolo scorso, il tempo in cui la poesia fu scritta, queste immagini, suggerisce qualcuno, non erano affatto insolite: in effetti il verbo ‘romp’ ha connotati gioiosi, il bambino striscia la fibbia della cintura semplicemente perché è piccolo, il padre porta a letto il figlio, in un gesto affettuoso, che ancora si aggrappa alla sua camicia.
Eppure non si riesce a non percepire un senso di inquietudine, la sensazione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato, sia allora che adesso, in queste raffigurazioni: una violenza tanto abituale da aver assunto riti e ritmi suoi, riti ripetitivi che la rendono ineluttabile, che il bambino attende perché sa che verrà, che ne sarà protagonista, e in questo ruolo fondamentale nasce l’attaccamento malato, l’amore sbagliato a legare il bambino al padre violento, rendendo gli atti della violenza quotidiana simili, assurdamente e tragicamente, ai movimenti di una danza d’amore. E se questo sarà l'unico genere di amore conosciuto dal bambino, nascerà la convinzione fatale che l’amore sia possesso e controllo.