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Elda racconta: le dieci piaghe d’Egitto

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Elda racconta: le dieci piaghe d’Egitto

Mosè, Aronne e alcuni anziani di Israele, andarono a parlare al Faraone, che era un re crudele e malvagio e Aronne gli disse:

“Il Nostro Signore Iddio, vuole che tu lasci liberi di partire i figlioli di Israele”.

“Chi è questo Signore, perché io obbedisca ai suoi ordini? Io non lo conosco, perciò il popolo d’Israele resterà qui”.

Poi diventò molto più esigente con questi schiavi lavoratori.

Allora Mosè tornò dal Faraone, buttò in terra il suo bastone e questo si trasformò in serpente e il Faraone rise:

“Sarebbero questi i miracoli che sai fare? Qualsiasi mio mago sa farlo”.

Difatti questi, convocati da lui, buttarono i loro bastoni che si trasformarono in serpenti, ma quello di Mosè ingoiò tutti gli altri.

Nonostante questo, avvenuto sotto i suoi occhi, il Faraone negò la libertà agli Israeliti.

Mosè parlò ancora a Dio e il mattino dopo si fece trovare sulla sponda del Nilo, quando passava il Faraone, stese il suo bastone sull’acqua e quella si colorò di rosso e con quella del fiume anche qualsiasi sorgente e anche dentro i secchi e le pentole, morirono tutti i pesci e dal fiume usciva un odore fetido. Gli Egiziani per poter bere cominciarono a scavare pozzi.

Il Faraone restò irremovibile, allora Mosè comandato da Dio, stese nuovamente il suo bastone e dal fiume e da ogni stagno uscirono migliaia di rane che invasero tutto il paese.

Allora il Faraone chiamò Mosè gli chiese di liberare il paese e lui avrebbe liberato gli schiavi. Ancora una volta però questo re cocciuto non mantenne la parola e gli Israeliti continuarono a fare il lavoro da schiavi.

Allora il Signore disse a Mosè:

“Percuoti la polvere che calpesti questa si muterà in zanzare”.

Così fece e l’Egitto fu invaso da milioni di grosse zanzare, il faraone convocò nuovamente i suoi maghi, ma anche stavolta non poterono fare niente e dissero.

“Questo è il dito di Dio”

Ma lui non li ascoltò, allora Dio ordinò a Mosè di andare dal Faraone e dirgli che se non liberava gli schiavi, l’Egitto sarebbe stato invaso anche da grossi mosconi, avrebbe salvato solo il paese di Gosen dove abitavano gli Israeliti.

Questo avvenne, allora il Faraone chiamò Mosè ed Aronne e li pregò di liberare il paese da questo nuovo flagello e avrebbe lasciato liberi gli schiavi. Ma anche stavolta non mantenne la promessa.

Allora il Signore disse a Mosè, che stavolta avrebbe colpito tutti gli animali degli Egizi, mucche, cavalli, pecore, ma avrebbe lasciato illesi quelli appartenenti agli Israeliani.

Così successe anche questo, ma il Faraone era irremovibile.

Allora Dio disse a Mosè di procurarsi una manciata di fuliggine di fornace e di buttarla per aria davanti al Faraone. Così fece e divenne un pulviscolo su tutto il paese provocando pustole, ulcere ed eruzioni sulla popolazione e gli animali. Il Faraone però restò ostinato e non li fece partire.

Allora Dio mandò Mosè ad avvisare questo re, che avrebbe scatenato la grandine, di mettere al riparo uomini e animali, altrimenti sarebbero tutti morti. Certi ministri ascoltarono Mosè, ma il Faraone no e la grandine precepitò sull’Egitto, crollarono alberi, frantumò raccolti, e morirono tanti Egiziani che non si trovavano al riparo.

Allora il Faraone fece chiamare Mosè ed Aronne e disse loro:

“Questa volta ho peccato, ha ragione il vostro Signore, vi lascerò partire non resterete più qui”.

Rispose Mosè:

“Quando saremo usciti dalla città, stenderò le mani verso il Signore, i tuoni cesseranno e non ci sarà più grandine, perché tu sappia che la terra è del Signore, ma io so che tu e i tuoi ministri ancora non temerete il Signore Nostro Dio”.

Uscito Mosè dalla città tornò il sereno e il Faraone naturalmente si rimangiò la parola.

Allora il Signore disse a Mosè:

“Vai dal Faraone, perché ho reso irremovibile il suo cuore, per operare i miei prodigi in mezzo a loro e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e di tuo nipote, come Io ho trattato gli Egizi e i segni che ho compiuto in mezzo a loro, così tutti capirete che Io sono il Signore”.

Mosè ed Aronne tornarono dal Faraone, lo pregarono un’altra volta di liberare il loro popolo, se non lo avesse fatto l’Egitto sarebbe stato invaso dalle cavallette.

Difatti quella notte arrivò un forte vento da oriente e la mattina il paese fu invaso da migliaia di cavallette () che assalirono   ciò che era rimasto dalla grandine, erano così numerose che oscurarono il cielo.

Allora ancora una volta il faraone fece chiamare Mosè facendo la solita promessa, se li liberava da quel flagello li avrebbe liberati subito. Solita solfa liberato che fu l’Egitto il Faraone non li lasciò partire.

Allora Dio mandò sul paese le tenebre, ma così dense che per tre giorni e tre notti nessuno riuscì a muoversi. Allora Mosè tornò dal Faraone che promise e non mantenne come al solito.

Il Signore disse a Mosè:

“Manderò ancora una piaga, allora lui vi farà partire, ciascun Israeliano si prepari per partire raccolga oggetti d’oro, oggetti d’argento e tutto ciò che gli appartiene, questa piaga sarà così grave che vi caccerà immediatamente”.

Il Signore disse ancora:

“Questo per voi sarà il primo mese dell’anno, il dieci di questo mese ogni famiglia si procuri un agnello maschio e senza difetti, lo serberete fino al giorno quattordici lo s’immolerà al tramonto, col suo sangue sporcherete lo stipite della porta, dove quella notte lo mangerete arrostito con delle erbe non dovrete lasciarne in giro neanche un pizzico, quello che avanzerà lo brucerete nel fuoco.

Lo mangerete coi fianchi cinti, i sandali nei piedi e il bastone in mano, lo mangerete in fretta. E’ la Pasqua del Signore!

In quella notte io passerò per l’Egitto e colpirò ogni primogenito del paese, uomo o bestia. Farò giustizia! Io sono il Signore, il sangue sulle porte sarà un segno, Io passerò oltre non ci sarà per voi flagello e sterminio quando colpirò l’Egitto”.

Mosè spiegò tutto agli Israeliani dicendo.

“Ogni anno ricorderete questo stesso giorno, sarà la vostra Pasqua”.

Quella notte a mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito d’Egitto, cominciando dal figlio del Faraone fino all’ultimo servo.

Quella stessa notte il re chiamò Mosè ed Aronne, loro non videro la sua faccia, ma ordinò loro di partire con la loro gente e tutti i loro averi.

Così Dio guidò il suo popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso.

Gli Israeliti ben armati uscirono dal paese d’Egitto, erano passati esattamente 430 anni da quando Giuseppe li aveva fatti entrare.

Il Signore marciava alla loro testa, di giorno con una colonna di nubi per guidarli sulla via da percorrere e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così potevano viaggiare giorno e notte per allontanarsi il più possibile dal Faraone.

Quando la colonna di fuoco si fermava, Mosè comandava al popolo di alzare le tende, quando la nuvola si muoveva, il popolo ripiegava le tende e continuava il viaggio.

Ben presto i figli d’Israele arrivarono sulla sponda del Mar rosso si erano accampati da poco quando sentirono rumore di ruote e di cavalli, era il Faraone con l’esercito al suo seguito, pentito di essersi lasciato sfuggire una manovalanza così a buon mercato voleva riportarli indietro.

Ma Mosè guidato da Dio alzò il suo bastone e lo stese sulle acque del mare che si divisero formando due muri altissimi di acqua dalle parti e nel mezzo restò una strada asciutta, dove loro passarono tranquillamente coi loro cammelli e i loro asini arrivando sani e salvi sull’altra sponda.

Anche il Faraone prese quella strada, ma Mosè si girò stese il suo bastone e il mare si richiuse travolgendo il Faraone e i suoi soldati così fecero tutti la fine che si meritavano.

Allora gli Israeliti ringraziarono Dio intonando un inno di lode.

Elda Zannini

 

ORA LA TRADUZIONE IN DIALETTO

AL DES PIAGHI D’EGETT

Musé Aronne e suquanc ansiàn d’Israele iandén a parlàr cul Faraun, chi po’ l’era sul un re ed chi catìv e Aronne al g’ha dètt:

“Nostre Sgnur Déo, al veòl ch’it las subét lébre la genta d’Israele”.

“Ma chi el po’ ste Dèo, perché me igh ubdesa, me in la cgnoss mea, i ste fresch chi me i gh’ubdésa”.

Po’ l’ha cumincià a faia lavuràr di peù.

Alura Musè l’è artutnà dal Faraun e l’ha butà in tèra al su bastùn c’al s’è trasfurmà in t’un serpènt. Al Faraun al s’è mèss a rèdre:

“Sreni quisc i miracle ch’it se far? Anch i me Magh i la san far.

Difati a ià ciamà e i seo bastun ierne dventà teùcc serpènt, ma quel ed Musè a iingugneva teucc.

Anch se al Faraun l’aiva vést quest l’ha cuntinuà a negàr la libertà ai Israelian.

Alura Musè l’è arturnà a parlàr cun Déo e la matina dop al s’è fatt truvàr inséma àla sponda dal fieum mentre a paseva al Faraùn e l’ha stes al su bastùn inséma a l’acqua cl’è dventada teùta ròssa e anch dal funtani la gniva fòra ròssa e anch in ti sècc e al beòrghi, achsè Iegisian per bevre i duvivne scavàr di peòss.

Ma al Faraùn an cediva méa, alura Musè al stendiva ancòra al su bastùn e dal fieùm e dai pantàn agniva feòra na meùcia ed rani c’al se sparpagnevne anch in teùti al cà.

Alura al Faraùn là fat ciamàr Musè e al g’hà pruméss chi si a li libereva dai ranòcc a iarè lasà andar. Ma anch stavòlta al s’è mangià la paròla e la genta d’Israele l’ha cuntinuà a far da schiav.

Alura Nostre Sgnur l’ha dèt a Musè ed meòvre la puvra cui pe chi la se srè cambiada in zanzarùni.

Acsè l’Egétt al sé impì ed miliun ed zanzari, al faraun al ciamè i seò magh , ma in ghe la cavèn a far gnent.

Alura Dèo l’ha urdnà a Musè d’andàr dal Faraùn e digh chi s’an libereva méa i schiav l’Egétt a srè sta invas anch da di gross muschùn e achsè l’è sta.

Dop a quest al Faraùn l’ha fatt ciamàr Musè e Aronne e a ià pregà ed liberàr al paès ca iarè lasà lebre. Però a nà méa mantgnu la su prumésa cumi sempre.

Alura nostre Sgnur l’ha détt a Musè chi stavòltal ‘arè culpì teùti al besti ed Iegisian, ma l’arè salvà qui d’Israelian.

Ma al Faraùn an se muviva Mea da l’idea fésa d’an lasàr méa andàr véa i seò schiav.

Alura Dèo l’ha dètt a Musè ed truvar na brancada ed sendra ed la furnasa e da sparpagnala sòta iocc dal faraùn.

La sendra l’è dventada fésa e la feva marsir la pèla ed Iegisiàn chi s’impivne ed berseòli marsi, ma al Faraùn an lasèva mèa lèbre Israelian.

Alura Dèo là mandà Musè a avisàl cl’arè scatena na grandinada cl’arè masà besti e omi, dunca ed metia a quert, ma al faraun an gh’ha mèa da rèta mentre i seò minèstre ian ascultà Musè.

Dop cl’era sucèss quest al Faraun l’ha fatt ciamàr Musè e Aronne:

“Sta volta iò fat pcà an ve dar mèa rèta, a gh’ha ragiùn al vostre Sgnùr, stavòlta iv las andar”.

E Musè al gh’à rispost:

“quand i srèma ed feòra dàla cità, me i stendarò al mani e la gragnla la fnirà ed cascàr, ma me i so già che te e i teò minestre in gh’ari mèa ancòra paura ed Dèo”.

Difàti apèna rturnà al bel temp al farùn al s’è rmangià la parola natra vòlta.

Alura Déo l’ha dét a Musè:

“Va dal Faraun, perché iò fat dventar al su còr ed sass, tant chi te it pòss cuntàr ai teò fieo e ai nuud quel ch’iò fat a Iegisiàn tant chi capiì chi i sun Me.

Musè e su fradèl Aronne ien arturnà dal Faraùn, ma lu an gh’à mèa da rèta achsè la nòta l’è arivà un vent fòrt e la matina al paes l’era invàs dal cavalèti che al rusghèvne teùt quel ca gh’era rmas do la gragnla. Alura al Faraun al feva arciamàr Musè e al Feva la solita sulfa al prumetiva e an mantgiva mèa, alura Nostre Sgnur al gh’à mandà al tenebre acsè fési Chi per tri dèe tre nòti Iegisiàn in pudivne mèa movse. Alura Musè l’è arturnà dal Faraùn che cumi al solite l’ha prumèss e mèa mantgnù.

Alura Nostre Sgnur l’ha dètt:

“I mandarò ancòra na piaga, alura lu af farà partìr, arcuì teutt quel chi gh’aì or e argent e teutt quel chl’è vostre sta piaga la srà talmènt pesa chi iv mandaràn subèt vèa”.

Quest per vuatre a srà al prèm mes ed l’an, al des da st’mes ogni famèa l’as prucura un agnel masc e sensa difett i la masàrì ai quatordse quand a tramunta al sul, cul su sangue arcurdev da spurcar l’architrav ed la porta, dova cla nota lè i la mangiarì arustì cun dagh’ierbi an nin dèv avansàr gnan un tuclìn sa av n’avansa i la brusè in t’al feògh.

I mangiarì in pè e vesti cul bastùn in man prunt per partir i farì prest a mangial perché l’è la Pasqua ed Nostre Sgnur!

Clà nòta lè i pasarò per teutt l’Egètt e i culpirò teucc i primogeniti dal paes omi u besti. I farò giustèsia. Me i sun Dèo, al sangue insèma al pòrti l’è un segn, me i negl’ià tucarò méa a vuatre an sucedrà gnent quand i culpirò l’Egètt.”

Musè l’ha spiegà ben a teucc cusa i duvivne far e po’ al g’ha détt:

“Ogni ann iarcurdarì cul dè che a srà la vostra Pasqua”.

La stessa nòta a mesanòta Dèo l’ha culpì teùcc i prém fieo ed l’Egètt cuminciand dal fieòl dal Faraun a quel ed l’utme servitùr.

L’era ancòra nòta quand al re la fàt ciamàr Musè e Aronne e al gh’à urdna ed lasàr l’Egètt, achsè Dèo la pudù guidar la su genta per la  véa dal desert vers al Mar Ròss.

Finalmént la genta d’Israele la pudiva gnir feòra da cul paes l’è ierne pasà 430 ann da quand Giuseppe a iaiva fàt andàr là.

Nostre Sgnur al gh’andeva davanti, ed dè cun na fila ed neùvle bianchi chi la nòta adventèvne ed feògh per fagh leùm.

Ben prest la caruvana l’era arivada insèma la sponda dal Mar Ross e i s’erne acampà da pògh quand iàn sentì un gran rumur ed reòdi e ed cavài, l’era al Faraun c’al s’era pentì natra vòlta e l’arivéva cun 600 càr e teucc ch’iatre càrr ed l’Egétt cun suvra i suldà da cumbatimènt. Al s’era pentì natra vòlta d’avèr lasà andàr véa ed iuperai achsè a bun mercà, avriva arpurtaia indré.

Ma Musè guidà da Dèo, l’ha stes al su bastun suvra l’acqua dal mar clà sé averta e l’ha fàt du mur d’acqua dal part e na bela véa seùta duva l’è pasà teuta la genta d’Israele e ien arivà san e salve da cl’atra parta.

Anch Iegisiàn is gh’erne infilà adrè, ma Musè l’ha alsà al su bastun e l’acqua l’è arturnada a post e l’ha fat afugàr al Faraun e teucc i suldà ch’iérne cun lu, achsè ian fat teucc la fin ch’is meritévne.

Alura i fieò d’Israele ian cantà teucc insèm la lode a Nostre Sgnur.

(Elda Zannini)