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L’etá di tre salici nani dell’Appennino settentrionale supera i 2.000 anni

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L’ etá di tre salici nani dell'Appennino settentrionale supera i 2.000 anni

I salici nani (Salix herbacea) del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano sono più antichi di quanto si pensasse. Una ricerca condotta dalla dottoranda dell'Università di Lleida (UdL) e membro del gruppo di ricerca sulla produzione forestale Agrotecnio-CERCA Giada Centenaro determina che hanno un'età compresa tra 2.000 e 7.000 anni.

Lo studio, pubblicato sull'American Journal of Botany, afferma che si tratta degli esemplari più antichi di tale specie. Anche considerando la stima dell’età più conservativa, queste piante erano già presenti sul Monte Prado durante il periodo dell’Impero Romano.

Il salice nano è una delle piante legnose più piccole al mondo, alta tra 1 e 6 centimetri, che si trova nelle zone artiche e montuose come le Alpi, i Pirenei o gli Appennini, sempre a più di 1.500 metri sul livello del mare. Per sopravvivere, o addirittura colonizzare nuove aree, utilizza prevalentemente la propagazione clonale, creando dei rizomi da cui si dipartono nuovi fusti e radici. Ogni pianta clonale (o clone) può avere una moltitudine di subunità (o rametti) che non riflettono l'età del clone. "Calcolare l'età di questo tipo di piante è complesso perché non si possono semplicemente contare gli anelli legnosi del fusto di un rametto", spiega Giada Centenaro.

Il team formato da ricercatori dell'Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Firenze e delle Università di Parma e Torino (Italia), di Cambridge e Lancaster (Regno Unito) e Suceava (Romania), ha analizzato la variabilità del tasso di crescita annuale dei rametti di tre grandi cloni di Salix herbacea e ha scoperto che misurare l’accrescimento alla base del fusto fornisce una stima più accurata dell'età della pianta. Si è inoltre accertato che i rametti crescono per lo più orizzontalmente, in tutte le direzioni, dando origine a forme arrotondate che possono raggiungere fino a 60 metri di diametro. "La combinazione di strumenti molecolari e dendrocronologici rappresenta un approccio promettente per affinare le nostre conoscenze sull'età dei cloni di grandi dimensioni", spiega la ricercatrice Giada Centenaro.

La longevità e le enormi dimensioni degli esemplari di salice nano studiati nell’Appennino settentrionale forniscono alcuni indizi su come questa specie, molto vulnerabile al riscaldamento globale alle latitudini dell’Appennino, si sia adattata e sia stata in grado di sopravvivere fino ai giorni nostri, ma resta da risolvere l’incognita su cosa accadrà in uno scenario climatico futuro più estremo.