Mentre a Cerreto Laghi gli impianti tornano a funzionare ma solo ad alte quote grazie a un intervento massiccio di neve artificiale, il report "Nevediversa 2024" di Legambiente ci ricorda che siamo a un punto di svolta.
I Numeri Parlano Chiaro
Le cifre del report sono un pugno nello stomaco: 177 impianti temporaneamente chiusi, di cui ben 85 sull'Appennino, e 93 aperti a singhiozzo. La realtà è che stiamo assistendo a un'erosione costante del manto nevoso, un fenomeno aggravato dall'aumento delle temperature. Ma c'è di più: 241 impianti sottoposti a quello che Legambiente definisce "accanimento terapeutico", ovvero sopravvivono grazie a iniezioni di denaro pubblico in quantità sempre maggiori, con ben 148 milioni di euro erogati dal Ministero del Turismo per l'innevamento artificiale contro i quattro milioni destinati all'ecoturismo.
In Emilia Romagna la Regione ha messo a disposizione dei gestori privati di impianti di risalita e aree sciabili un finanziamento, per l’anno 2022, un totale di contributi assegnati di € 634.031,00. All’area sciabile di Cerreto Laghi (società privata Turismo Appennino Srl) sono stati finanziati 21 mila euro per miglioramento impianto di innevamento. Perché come si legge sulle pagine online dei comprensori stessi, senza la presenza della neve programmata non ci potrebbe essere una continuità di esercizio.
Il Commento di Francesco Occhipinti
Francesco Occhipinti, direttore di Legambiente Emilia Romagna, mette il dito nella piaga: "Capiamo la necessità di salvaguardare l’economia di questi territori e di evitare l’impoverimento e lo spopolamento del nostro appennino, ma occorre trovare strategie diverse. La neve sugli appennini è sempre meno e non si potrà continuare con la produzione di neve programmata, che comunque richiede acqua come materia prima, risorsa il cui uso può generare conflitti di interesse visti i periodi siccitosi che stiamo attraversando."
La posizione di Legambiente è chiara: è tempo di un cambio di rotta, di abbandonare la pratica dell’innevamento artificiale e di lavorare per una riconversione degli impianti che punti a un turismo invernale più sostenibile. Si tratta di una sfida non solo ambientale ma anche culturale ed economica, che richiede un'azione coordinata a livello politico e territoriale.
Il Commento di Fausto Giovanelli
Al centro del dibattito si inserisce la riflessione di Fausto Giovanelli, presidente del Parco Nazionale Tosco-Emiliano, che offre una prospettiva equilibrata e consapevole: "Ci preoccupiamo del cambiamento climatico e dei suoi effetti sulla neve da molti anni, abbiamo pensato a Neve Natura proprio per mantenere anche nell'innalzamento delle temperature il valore attrattivo della neve al di là del fatto di poter utilizzare le piste di discesa e gli impianti di risalita. Oggi come oggi sulle Alpi si dovrà fare i conti con questo problema semplicemente limitando le stazioni e gli impianti sciistici alle quote più elevate, sull'Appennino è più difficile in un inverno come questo. Ritengo che non solo si debbano sviluppare nuove forme di turismo e fruizione della neve ma anche mantenere, con equilibrio nella spesa delle risorse e nella localizzazione, qualche punto dove almeno per qualche fine settimana sia possibile sciare; senza la pretesa di creare nuovi compressori sciistici, di allargare quelli che ci sono o di pensare di poter compensare con la tecnologia una cosa così forte come il cambiamento climatico. Tuttavia, campi scuola e alcune piste nelle stazioni sciistiche più strutturate credo che sia giusto difenderle, ovviamente in modo non ottuso e con un impiego di risorse proporzionate alle effettive possibilità"
"Non possiamo perdere del tutto la possibilità di andare a sciare in Appennino ma non possiamo certamente ignorare quello che accade e pensare di compensarlo a colpi di spesa pubblica. La neve in Appennino può essere comunque fruita per passeggiate, per ciaspole, per escursioni, forse da qualche parte anche per sci di fondo ed è un grande valore della natura, del paesaggio che ha funzioni ecologiche importantissime. Un conto è la neve e un conto è l'industria dello sci, in una certa misura va tutelata anche l'industria dello sci ma soprattutto dobbiamo considerare il valore della neve e la necessità di adattamento al cambiamento climatico. La neve offre molte possibilità, è un grande richiamo anche al di là del fatto di poter essere usufruita nelle forme del turismo industrializzato."
Concordo stranamente con chi scrive …… spendere tanti soldi pubblici (nostri) per mantenere in piedi stazioni sciistiche in cui non nevica piu’ a sufficienza e’ errato e costoso. Come voler fare del snorkeling nel deserto. Pensare ad un turismo diverso si puo’ e si deve fare. So per certo che gli albergatori del Cerreto e gli appassionati della neve, non apprezzeremmo questa idea. Ps ma i nostri soldi spesi in questi anni per il Palghiaccio del Cerreto che fine hanno fatto visto che mi pare ancora chiuso ed abbondonato ?!
Condivido il commento di G.M.
Di fronte alla significativa cifra di impianti temporaneamente chiusi, o aperti a singhiozzo, qualcuno potrebbe legittimamente ritenere che sia stata a suo tempo un errore la nascita di tale numero di impianti, casomai anche ad altitudini o posizioni non proprio ideali per detti insediamenti, ma non andrebbe in ogni caso dimenticato che all’epoca gli inverni erano per solito abbastanza nevosi (a motivare quelle scelte, o almeno una loro determinata parte).
Se un errore allora semmai vi è stato, lo ravviserei piuttosto nel fatto di aver puntato molto, e anche comprensibilmente, sul turismo, nella fattispecie quello invernale, senza tuttavia avvertire a sufficienza – io perlomeno conservo questa impressione nel ricordare quegli anni – la concomitante importanza di conservare quanto più possibile la rete delle attività tradizionali della montagna, così da avere una economia multiforme (e quindi più duttile).
Seguendo cioè il modello che sembra essere stato messo in pratica in altri analoghi territori del Belpaese, e di Oltralpe, classificabili come Aree Interne, dove, in tal modo e con meccanismi di reciproca compensazione, si riescono ad affrontare forse meglio momenti di difficoltà o crisi dell’uno o altro settore, il che conferisce a detti territori una minore fragilità o “vulnerabilità” economica, ossia maggiore “solidità” (o resilienza come oggi si suole dire)
P.B. 19.03.2024