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Elda racconta: l’Esodo

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L’importanza storica e religiosa dell’esodo è fondamentale: Israele diventa il popolo testimone del “Dio Unico”, il titolo greco del libro significa “uscita”.

Si, importanza religiosa, per noi cristiani che crediamo in Dio, ma anche storica, qui si racconta la “storia antica” delle nostre origini, con la testimonianza delle scritture tramandate nei secoli. Questo tanto per rinfrescare la memoria di molte persone che pensano che ciò che scrivo, siano favole. Anzi vi dirò, che fra tutte le centinaia di libri che ho letto nella mia lunga vita, la “Bibbia” è stato quello che più di tutti è riuscito a interessarmi e col passare degli anni l’ho riletto e ora lo sto rifacendo.

Se poi qualcuno fra voi preferisce avere la discendenza fra le scimmie, niente da obbiettare, io personalmente non ci tengo affatto.

E ora andiamo avanti e sappiate che questi racconti sono solo un breve riassunto di una ventina di pagine.

Mosè salvato dalle acque

Intanto era passato molto tempo, era morto Giacobbe, era morto Giuseppe e tutti i suoi fratelli e purtroppo anche il Faraone buono non c’era più.

Il successore di questo era cattivo e pensava che gli Israeliti   fossero diventati troppo numerosi e diceva:

“Guardate in quanti sono diventati, se non stiamo attenti, si uniranno ai nostri nemici e ci schiacceranno”.

Così decise di farli tutti schiavi e li oppresse con lavori faticosi, rendendo la loro vita, molto dura, ma gli Ebrei benedetti da Dio, continuarono a crescere e a moltiplicarsi.

Gli Egiziani allora ebbero paura e il Faraone ordinò che ogni bambino Ebreo maschio che nasceva, doveva essere affogato nel Nilo.

(Io penso che questa fu la prima strage degli innocenti, poi ce ne sarà una seconda, alla nascita di Gesù e la terza la ricordiamo tutti durante l’ultima guerra del secolo scorso. E oggi? Domandatevi un po’ cosa sta succedendo molto vicino a noi con queste guerre che ci circondano, “l’uomo è di indole cattiva”.

Una donna Ebrea della tribù di Levi, ebbe un bambino molto bello e lei fece tutto il possibile per tenerlo nascosto, ma questo bambino cresceva e strillava a gran voce, poteva sentirlo qualsiasi Egiziano.

Allora lei costruì una cesta di vimini, la impiastricciò per bene dentro e fuori con della pece, poi vi adagiò il bambino avvolto in una copertina e lo nascose fra i giunchi in riva al fiume e pregò Dio che lo salvasse. Poi disse alla sorella di dieci anni di stare lì vicino e vedere cosa succedeva.

Quel giorno Dio volle che la figlia del Faraone andasse al fiume con le sue ancelle per bagnarsi, vide la cesta la fece recuperare e scoprì questo bambino che dormiva beatamente e con l’istinto materno che è in ogni donna, subito pensò:

“E’ un bambino Ebreo, il destino l’ha messo sulla mia strada, lo terrò con me e dirò che è mio figlio”.

Intanto il bambino si era svegliato e reclamava il cibo, aveva fame, allora lei disse alle ancelle:

“Mi serve una balia che lo allatti”.

A quel punto la sorellina del piccolo, si fece avanti dicendo:

“Vuoi che vada a chiamare una donna ebrea che lo allatti?”

“Và!”

Rispose la principessa.

Così quel bimbo fu allattato dalla sua stessa madre fino all’età di tre anni. Dopo la principessa lo tenne con se, presentandolo come suo figlio e lo chiamò Mosè, che vuol dire “salvato dalle acque”.

Mosè crebbe alto e bello fra gli agi della corte, ebbe bei vestiti, cibi prelibati, e fu istruito da maestri sapienti. In quel palazzo si adoravano gli idoli, ma Mosè no, la vera madre fin da piccolo gli aveva parlato del suo unico Dio e lui ogni tanto andava a trovare colei che l’aveva allattato.

Diventato uomo, volle andare a vedere cosa facevano fare gli egiziani, agli israeliti e capì che questi erano diventati schiavi degli Egizi. Lavoravano come bestie a cuocere mattoni al sole per le loro piramidi e a trasportarli in spalla su per delle scale lunghissime.

Un giorno vide un sorvegliante di questi, prendere a bastonate un lavoratore molto vecchio e molto stanco, allora reagì d’istinto e uccise quell’egiziano poi lo seppellì dentro la sabbia sulla riva del fiume.

Credeva che nessuno l’avesse visto, quando si accorse che non era stato così, fuggì lontano per non essere arrestato e condannato dallo stesso Faraone che ne era venuto a conoscenza.

Dopo giorni di cammino, arrivò in Madian, luogo ricco di pascoli e molto stanco si mise a sedere vicino a un pozzo, dove i mandriani di quel paese portavano ad abbeverare le loro bestie.

Vide arrivare un gregge di pecore custodite da sette fanciulle, erano sette sorelle figlie di Fetro sacerdote di Madian che pascolavano il gregge appartenente al loro padre.

Loro attinsero acqua e riempirono gli abbeveratoi per far dissetare le loro bestie, ma giunsero dei pastori che scacciavano quelle pecore per far bere le loro. Erano maschi e si sentivano forti nei confronti delle sette fanciulle un po’ impaurite.

Mosè non tollerava i soprusi, questo non gli piacque e essedo un uomo forte, cresciuto nella dimora di un re, dove gli avevano insegnato anche a combattere, si mise a difendere le ragazze, impedì ai maschi di approfittare del lavoro fatto da queste.

Tornate a casa raccontarono ciò che era successo al padre, questo le rimandò a cercare questo straniero, per invitarlo al loro desco.

Così Mosè fu accolto in quella famiglia, pascolava le pecore e infine sposò anche una delle sorelle, Zippora e il primo figlio lo chiamò Gherson, che significa fui pellegrino sulla terra.

Mosè però era spesso rattristato dal pensiero che i figli di Israele vivessero schiavi degli egiziani gemendo sotto il peso del lavoro.

Intanto anche quel faraone era morto, ma naturalmente quello arrivato dopo di lui era peggiore.

Un giorno Mosè arrivò col suo gregge sul monte Horeb, alzò gli occhi e vide un roveto che ardeva, ma non si consumava, rimase sorpreso e gli si avvicinò e sentì una voce che usciva dai rovi:

“Mosè…Mosè”.

“Eccomi!”

“Non avvicinarti, ma togliti i calzari, perché la terra che calpesti è sacra sono il tuo Dio, ho udito i lamenti dei figli di Israele, ho promesso ad Abramo e ai suoi discendenti che avrebbero abitato la terra di Canaan dove scorre latte e miele e voglio che avvenga ciò. Tu andrai dal faraone e gli chiederai di lasciarli liberi”.

Rispose Mosè:

“Come posso fare questo? Chi sono io per andare dal Faraone e chiedergli questo? Non mi ascolteranno, né lui, né gli ebrei che forse non vorranno lasciare l’Egitto”.

Dio disse a Mosè:

“Non temere, io sarò con te, quando ti chiederanno chi ti ha mandato, risponderai (Colui che E’) mi ha mandato a voi poi aggiunse che gli avrebbe permesso di fare dei prodigi, Mosè però titubava:

“Io non ho la parola facile, non so parlare bene e non so cosa dire”

“Vai parla a tuo fratello Aronne, lui ha una bella parlantina, è buono e ama Dio, lui parlerà per te, tu gli suggerirai cosa dire, prendi questo bastone ti servirà per fare miracoli”.

Mosè si mise in viaggio con la sua famiglia e incontrò suo fratello Aronne che a sua volta lo stava cercando, andarono in Egitto e trovarono gli Israeliti al lavoro fra gemiti sospiri e frustate sulla schiena, continuavano a impastare il fango del Nilo misto a canne tritate pressato in stampi, fatti cuocere al sole e continuavano a costruire Piramidi.

Aronne riunì gli anziani e spiegò loro che Dio avrebbe liberato il loro popolo dalla schiavitù. Mosè perché credessero fece dei prodigi davanti a loro.

Mi fermo, ma la storia di Mosè è molto lunga, alla prossima puntata.   

Elda Zannini

Ora in dialetto:

L’Esodo: Musè salvà sa l'acqua

Questa l’è na storia impurtanta antiga cumi al chùcc, ma vera perché i l’an lasàda scréta in ti lèbre ed la Bibbia, as cunta cumi la genta d’Israele la sa insignà, cà a gh’è “sultant un  Dèo”.

Intant l’era pasà tant temp, l’èra mòrt Giacobbe, l’èra mòrt Giuseppe e anch qul Faraun bun an gh’èra peò.

Quel cl’èra gnù dop l’era catìv e l’aiva paeùra chi la generasiùn d’Israele l’era achsè tanta cl’arè pudù fagh la guèra, achsè là decis ed faià teùcc seò schiav.

Lùr però i cuntinuèvne a cresre alùra cul delinquènt dal Faraùn l’ha urdnà ed far masàr teùcc i ragasèt masc ca nasiva da Iebrei, i duvivne esre teùcc afugà in t’al fieùm.

Na dòna Ebrea la gh’aiva aeù un ragasèt e a l’ha tgnù scus per tri mès pr’an li far mèa masàr, ma adèsa quand al piansiva i la pudivne sentìr.

Alura ste dòna l’ha fat na panèra da strupèt, po’ la l’ha impeglada ben a meòd dentre e feòra la gh’ha mess dentre al pin quercià cun un pàn, po’ a l’ha scus in mèsa ai strupètt dal fieùm, po’ l’ha mess la surela pu granda a guardàr cusa asrè sucèss.

Dèo l’ha vreù chi la fieòla dal Faraun l’andèsa al fieùm per bagnàs cul su servèti e l’ha vèst ste panèra a l’ha fàta purtàr a riva e l’ha truvà ste bel ragasèt.

Cun l’istint ed la màma cl’è in teùti al dòni l’ha det.

“ Al destìn am l’ha fàt truvàr, fa gnent sl’è n’Ebreo, im la tegn e i dègh cl’è mi fieòl”.

Ste ragasèt però l’aiva fam e al ragnèva, alura la principèsa la dis al servèti ed sercàr na balia.

A cul punt l’è a sé fat avanti la surèla e l’ha dèt:

“Veòt ch’it tròva me na balia ebrea, chi gh’an masà al fieol da pògh?”

La principèsa l’ha acètà ste pruposta anch perché al ragasèt al sbraieva dàla fàm.

Achsè fin a tri an ste pìn l’è sta alatà dala su vera mama, dop la principèsa a l’ha presentà al re su padre e la fat vevre e steudiàr in ste bel palàs.

Lè però iadurèvne iidoli, ma lu nò la su vera mama la gh’aiva insignà a aduràr sul Dèo e lu ogni tant l’andèva a truvala e i parlèvne ed quest.

Dventà un om l’ha vrù andàr a vedre cusa a fèva Israèliàn e l’ha vèst ch’ierne tratà cumi besti da soma, po’ l’ha vèst un survegliant c’al bastunèva un vecc ca ne stèva peò in pè dàla fadiga, alura an gh’ha peù vest, l’ha masà l’Egisiàn e a l’ha suplì int la sabbia.

As cherdiva d’avela fàta franca, invèci i l’aivne vést e l’hè duvù scapàr chi al Faraun a li vriva far masàr.

Dop a tant caminàr l’è arivà in t’un paès c’as ciamèva Madian, un post duva a gh’era tant’erba pr’al besti e al sé méss a sedre vsìn a un pòss.

L’ha vèst arivàr un branch ed pegre cun adrè sett ragasini, c’al tirèvne seò l’acqua dal pòss per bevrar ste besti, ma po’ l’arivèva d’iatre pastur masch, arugànt, chi mandevne vèa c’al pegre lè per far bevre al seò.

Ste suvnutini, chi po’ agl’ièrne fieoli ed Fetro un persunàgg impurtant ed cul post lè, al s’érne impaeùridi.

Alura Musè, cl’èra fòrt e l’èra chersù àla scheòla in cà d’un re  duva a s’imparèva a cumbatre al s’è fàt avanti e a ià mandà véa, in duvivne mèa aprufitàr dal dòni.

Arivadi a cà ste zuvnutini a gl’ian cuntà teùtt a su pà, lu l’ha mandà a ciamàr Musè ca gnèsa a mangiàr a cà seòa, achsè Musè lè armas lè andèva fòra al pegre e po’ l’ha anch spusà euna ed c’al surèll lè cl’as ciamèva Zippora.

Intant cul Faraun l’è l’era mort, ma quel arivà dop l’era ancòr pès.

Un dè Musè l’è arivà cul seò pegre inséma a na muntagna cl’as ciameva Horeb, al guardèva ca gh’era un rasài c’al breùsèva, ma an se scunseùmèva mèa e l’ha sercà da vsinàsghe, ma l’ha sentì na vus ca li ciaméva:

“Musè…Musè”

“I sun chè”

“Agnir méa vsìn, cavte al scarpi cla tèra che l’è sacra, i sun che i sun al tu Dèo, io sentì i lamènt dal mi pople, iò prumèss a Abram e a qui chi sr’en arivà dop a lu ch’iarè fat arivàr in tla tèra ed Canaan e adèsa i voi fal. It dev andàr dal Faraun e digh ca i làsa andàr”.

“Ma cumi pòsi far quest, chi suni me pr’andàr dal Faraun a digh quest a m’ascultarà gnan Iebrei”.

Alura Dèo al gh’ à dètt:

“A n’avèr méa paura, me i srò sempre cun te, quand i ta smandaràn chi a tà mandà te rispond “Quel ca gh’è e al gh’è sempre sta”.

“Ma me in so mèa parlàr it se chi m’incuncògn”.

“Va a sercàr tu fradèl Aronne lu al gh’hà na bela parlantina, te t’egh dirè quel c’al dev dir”.

Alura Musè al s’è méss in vias cun teuta la su famèa e l’ha truvà Aronne chi a su vòlta l’éra dré sercàl.

Aronne l’ha fat na riuniun ed teuc i pu ansiàn e al gh’ha spiegà chi Dèo l’arè liberà la su genta dàl schiavisme, Musè po’ tant ch’igh cherdésne al féva di miracle cul su bastùn.

Pr’in cò im ferme i cuntinuarò la stmana quen.

Elda Zannini