Home Cultura Atlante Appennino: un viaggio alla scoperta di un territorio “imprendibile”
Intervista

Atlante Appennino: un viaggio alla scoperta di un territorio “imprendibile”

2615
0
Elisa Veronesi

Appennino terra di confine, luogo sfuggente, avvolto nella nebbia delle generalizzazioni o, peggio ancora, dell'oblio. Ma è proprio da questa terra, tessuta di storie non raccontate e paesaggi inesplorati, che Elisa Veronesi attinge ispirazione per "Atlante Appennino", un'opera che mira a esplorare il territorio appenninico attraverso un prisma diverso, quello dell'ecobiografia. Questo approccio, che intreccia l'intimo con l'universale, ci offre una prospettiva innovativa su come possiamo connetterci con il paesaggio che ci circonda, svelando le complesse relazioni tra uomo e natura.

Elisa Veronesi, nata e cresciuta nell'Appennino Reggiano, ha portato con sé questa profonda connessione con il territorio anche oltre i confini italiani, fino in Francia, dove oggi vive. Lettrice di italiano all’Université Côte d’Azur, formatrice per la Società Dante Alighieri e traduttrice, Veronesi non si è mai distaccata dal suo legame con l'Appennino.

Nell'intervista che segue, Veronesi ci guida attraverso i sentieri meno battuti dell'Appennino, rivelando le sfaccettature di un territorio che è allo stesso tempo intimo e selvaggio, familiare e misterioso. Attraverso il suo racconto, scopriamo un Appennino di memorie e cammini, ma anche di rovine, un luogo che vive e respira attraverso le storie di chi lo abita quotidianamente e di chi, come Veronesi, cerca di preservarne l'unicità ecologica e culturale.

Da quale bisogno nasce Atlante Appennino? 

Nasce da un'idea profondamente radicata nel tempo, emergendo da pensieri e concezioni che affondano le loro origini in un passato lontano. La scrittura è stata per me un'attività costante, un processo in cui le idee, sempre in movimento, alla fine trovano una loro forma definitiva. Questo momento di cristallizzazione si è concretizzato intorno al 2019, segnando un periodo di transizione personale caratterizzato dal mio trasferimento in Francia e dall'inizio di studi incentrati sull'ecologia e il cambiamento climatico.

La scintilla che ha dato vita a questo progetto è scaturita dalla lettura di un articolo di Matteo Meschiari sul blog "Doppiozero". Meschiari, antropologo e scrittore italiano, parlava dell'Appennino come di un territorio "imprendibile", un luogo scarsamente raccontato per vari motivi. Questa riflessione ha acceso un motore di curiosità nella mia mente, stimolando una profonda riflessione personale.

Il punto di svolta è avvenuto durante una mostra a Cannes sull'emigrazione italiana in Francia. Lì, una domanda postami in un'intervista – riguardante il luogo da cui provengo – ha innescato un processo di introspezione. Nonostante potesse sembrare semplice, mi sono trovata impreparata a rispondere, non tanto per l'abbondanza di ciò che avrei potuto dire, ma per la realizzazione improvvisa che era una domanda a cui non avevo mai pensato prima. In quel momento, mi resi conto che la mia difficoltà stava nel non sapere da dove iniziare: il luogo da cui provengo era rimasto fino a quel momento un "non raccontato".

Questa esperienza, unita alla riflessione stimolata dall'articolo di Meschiari, ha creato un connubio di pensieri e motivazioni che mi hanno spinto a iniziare la scrittura di questo libro. È stato il desiderio di esplorare e raccontare quel "non raccontato", di dare voce a un luogo e a un'identità fino ad allora rimasti in ombra, a guidare il mio percorso di autrice.

Quali sfaccettature dell'Appennino emergono in questo viaggio narrativo?

In una recente recensione è stato sottolineato che ho optato per un approccio deliberatamente complesso nel raccontare l'Appennino, riflettendo la mia convinzione nella complessità intrinseca di questo territorio. In un'epoca caratterizzata da cambiamenti radicali e confusione, ritengo che la complessità sia una risposta necessaria contro la tendenza alla semplificazione.

Il mio racconto dell'Appennino non si focalizza su un unico aspetto; piuttosto, esplora diverse dimensioni che spaziano dal personale all'universale. Da un lato, ci sono narrazioni intime e biografiche, radicate nelle mie esperienze personali e nelle sensazioni profondamente legate al luogo di mia nascita e crescita. Questo aspetto si manifesta attraverso l'ecobiografia, un tentativo di riscoprire e rievocare le emozioni sensoriali della nostra infanzia, spesso messe da parte nel corso degli anni.

Dall'altro, il libro si avventura in un Appennino più selvaggio e naturale, percorrendo boschi e sentieri, attraversando fiumi e valicando passi. Ogni capitolo si concentra su un elemento distintivo del paesaggio appenninico - il bosco, il fiume, la strada, la casa - elementi che considero fondamentali, pur consapevole che ce ne siano altri degni di nota.

La diversità dell'Appennino che cerco di ritrarre si estende anche allo stile narrativo, rendendo questo libro un tessuto di generi volutamente eterogenei. La narrazione si intreccia tra racconti, saggi, descrizioni e riflessioni biografiche, con l'obiettivo di offrire una visione quanto più ampia e sfaccettata possibile. In questo modo, il libro aspira a essere un'esplorazione complessa, una celebrazione della biodiversità non solo ambientale ma anche culturale e stilistica dell'Appennino.

Viene raccontato un Appennino di memorie e cammini ma anche di rovine, cosa intende?

La mia attenzione si concentra non tanto sull'Appennino dei parchi e del turismo, benché queste realtà abbiano il loro legittimo spazio, quanto piuttosto su un Appennino vissuto e respirato quotidianamente. Prendendo come esempio il luogo dove sono cresciuta, che oggi conta un solo abitante, emerge una realtà complessa: queste aree, popolate dagli anni '70, presentano sfide significative per chi vi risiede stabilmente. Le difficoltà di vivere in Appennino vanno oltre la distanza dai luoghi di lavoro o le carenze infrastrutturali, come quelle sanitarie. La mia preoccupazione è che l'enfasi sullo sviluppo turistico non debba oscurare le esigenze di chi l'Appennino lo abita ogni giorno.

Il periodo post-Covid ha visto un rinnovato interesse per il ritorno alle seconde case o per soggiorni temporanei, ma questo non si traduce necessariamente in un aumento dei residenti permanenti. Coloro che scelgono di trasferirsi in Appennino, spesso profondamente legati al territorio, assumono un ruolo attivo nella cura e nella conoscenza del luogo. Questa scelta di vita richiede un impegno consapevole verso l'ambiente e la comunità, diverso dalla semplice fruizione stagionale.

In conclusione, quando parlo dell'Appennino come luogo di rovine, mi riferisco a una dimensione che va oltre la fisicità delle strutture abbandonate, toccando la complessità delle dinamiche sociali e ambientali. È fondamentale riconoscere e valorizzare la vita quotidiana di queste aree montane, promuovendo un approccio che tenga conto tanto dell'attrattiva turistica quanto delle reali necessità dei suoi abitanti permanenti.

È possibile un modello di sviluppo sostenibile che preservi l'unicità ecologica e culturale?

Ammetto di non avere una risposta, la questione è complessa e sfugge a soluzioni semplicistiche. Nel mio campo, che è principalmente quello della letteratura e dell'immaginario, credo che incentrare l'attenzione su questi aspetti sia oggi più che mai fondamentale. Lavorare sull'immaginario e sul potere del racconto è cruciale perché abbiamo assistito a un declino nella capacità di trasmettere storie, una competenza umana essenziale che sembra essersi affievolita negli ultimi decenni.

Dal punto di vista culturale, esistono molteplici vie attraverso cui potremmo agire, e ritengo che un impegno attivo da parte di coloro che vivono l'Appennino - sia coloro che sono fisicamente presenti sul territorio sia chi, come me, lo vive a distanza - sia un punto di partenza promettente. Vivere un luogo non implica necessariamente la presenza fisica, ma può anche significare un legame emotivo o culturale profondo.

La chiave, a mio avviso, sta nello sviluppare una maggiore consapevolezza tra le persone, un processo che può incrementare le possibilità di raggiungere un equilibrio sostenibile tra conservazione e sviluppo. L'equilibrio di cui parli richiede un approccio olistico che valorizzi tanto l'aspetto ambientale quanto quello culturale, sottolineando l'importanza di un impegno condiviso e di una responsabilità collettiva verso il territorio dell'Appennino.