L'Appennino è terra di storie e legami, un luogo dove la memoria personale si fonde con lo spirito comunitario. È in questo contesto che Giovanna Caroli, mossa dal ricordo della madre, ha organizzato oggi alle 15 nella Sala dei Principi a Casina "un piccolo convegno sul commercio nella nostra montagna", un evento che celebra le radici e le prospettive del commercio locale.
Giovanna, come nasce l'idea di trasformare il ricordo di sua madre in un convegno?
Questi giorni sono stati un viaggio emotivo profondo, un ritorno alle radici della vita di mia madre, e quindi della mia. Era un'esistenza molto diversa da quella attuale, ma in cui imparavi presto il valore della fatica. I miei genitori, all'epoca contadini, vivevano in un luogo isolato, attraversato dalla strada che collega Pantano a Casina. Quando qualcuno passava, chiedevano di portare loro il giornale, offrendo i soldi necessari per l'acquisto. Nonostante fossero circondati solo dai campi, si preoccupavano di restare connessi col mondo esterno, privi com'erano di luce, acqua e quindi di radio o televisione. A sei anni, aiutavo già mia madre in negozio, facendo quello che potevo. Forse allora c'erano leggi contro il lavoro minorile, ma per me era un modo per partecipare alla vita di famiglia e alla società con le sue regole, trovando immediatamente un senso di appartenenza.
Oggi, desidero valorizzare la memoria di mia madre nel centenario della sua nascita, non tanto focalizzandomi su di lei personalmente, ma piuttosto creando un'occasione di incontro per la comunità. Inviterò i vecchi e i nuovi bottegai a raccontare le loro esperienze in un dialogo che guardi al passato per interpretare il presente e immaginare il futuro, sperando che questo scambio generazionale possa essere di ispirazione anche per i nostri amministratori.
Questo incontro vuole essere un momento di riflessione sulla continuità e l'evoluzione del commercio e dell'artigianato locali, in un contesto in cui la trasmissione dei saperi e delle competenze manuali rischia di essere interrotta. La chiusura dei negozi e la perdita dell'artigianato rappresentano non solo una crisi economica, ma anche culturale, evidenziando le lacune delle politiche scolastiche e generali nel proteggere e valorizzare queste abilità. Recentemente, abbiamo perso a Casina una figura emblematica come Anzio, l'ultimo grande meccanico capace di riparare trattori e appartenente a una generazione che i pezzi di ricambio addirittura se li costruiva, simbolo di un sapere tecnico e manuale che rischia di andare perduto.
Si parlerà del come eravamo e del come siamo, chiedo a lei come saremo o come si augura che saremo.
Spero ardentemente che saremo capaci di navigare verso il futuro valorizzando le eredità del passato. Non vorrei che perdessimo il patrimonio, sia materiale che spirituale, lasciatoci da quella generazione che ha plasmato l'Italia moderna. Questi uomini e donne, emergendo dalle difficoltà della guerra, ci hanno elevato dalla povertà, conducendoci verso una forma di benessere, variabile ma significativa. Ci hanno insegnato a vivere meglio.
Vedo quella generazione come profondamente aperta, dotata di una fervente voglia di costruire, di avanzare collettivamente senza esclusioni, mirando al miglioramento di tutti. Questo desiderio di costruire insieme, di progredire in maniera inclusiva, è il tesoro che desidero venga preservato e valorizzato come nostro patrimonio per il futuro.
Se domani al convegno ci fosse anche sua madre cosa direbbe?
Era di poche parole, ma sono convinta che, se potesse, esprimerebbe prima di tutto la sua gratitudine. Direbbe quanto sia stato bello gestire un negozio e incoraggerebbe tutti a perseverare in questa attività, sottolineando la bellezza e la soddisfazione che ne derivano. Ricorderebbe con affetto il suo negozio, luogo di felicità e di socialità, confessando magari il desiderio di aver potuto incontrare ancora più persone durante la sua vita. La dimensione sociale del negozio le era particolarmente cara.
Ha amato profondamente il suo lavoro, trovando bellezza in ogni attività che ha intrapreso. Per lei, il lavoro non era solo un dovere, ma una fonte di gioia, un mezzo per conquistare e mantenere l'indipendenza. Mia madre vedeva l'autonomia finanziaria non solo come un obiettivo, ma come una necessità vitale. "L'importante è avere uno stipendio, perché è quello che ti permette di difenderti nel mondo," mi ripeteva spesso. Questa lezione, insieme al valore del lavoro e all'amore per la socialità, costituisce l'eredità che ha voluto trasmettere.
Trovo molto apprezzabile, se non doveroso, il ricordare la “generazione che ha plasmato l’Italia moderna”, verrebbe da dire senza risparmio, ossia con tanti sacrifici, e spesso anche parecchia fatica, e a quegli uomini e donne dobbiamo grande riconoscenza, e ascolto sempre con piacere le “storie” che ci riportano a rivivere quei giorni – capitando pure a me di farvi talora cenno, anche per il ragguardevole patrimonio valoriale che ci vedo – ma sono meno ottimista riguardo alla “trasmissione dei saperi e delle competenze manuali”, perché temo siano stati irrimediabilmente recisi i legami col nostro passato.
All’epoca avveniva abbastanza di frequente che i ragazzi o ragazzini aiutassero genitori e parenti nella gestione di un negozio, per solito a conduzione familiare, o in altre attività, e visto che molti di noi avevano origini contadine, succedeva non di rado che chi si era casomai trasferito in città, mentre altri congiunti erano rimasti sulla terra, dava una mano a questi ultimi nel momento della raccolta, o dei lavori agricoli (penso che allora le norme lo permettessero, mentre quelle successive forse non più, almeno da quanto ne so).
Visto che qui si parla di commercio, capitava altresì che chi gestiva un negozio potesse “capitalizzare” l’impegno ivi dedicato, col richiedere la cosiddetta “buona uscita” nel momento in cui, per motivi anagrafici o altre ragioni, si fosse trovato a dover “passare la mano”, riuscendo per solito a trovare un subentrante, mentre oggi tale ricambio è molto più improbabile, vuoi per la liberalizzazione delle licenze, vuoi perché gli esercizi di comunità hanno visto una continua contrazione numerica (che sembra inarrestabile).
Succedeva anche che il titolare di un negozio investisse i propri risparmi nel “mattone”, col cui affitto rafforzare la propria pensione, mentre oggi questa strada o eventualità è divenuta molto più “impervia”, per una pluralità di cause, nel senso che sono venute meno molte delle condizioni che caratterizzavano quei tempi, sia perché sono oggettivamente cambiate parecchie nostre abitudini, dobbiamo dircelo, ma anche perché ci siamo dati un impianto normativo che rende di fatto impossibile “trasferire” all’oggi quelle esperienze.
Nel ricordare amorevolmente la propria madre, l’Autrice ci consegna l’immagine di una donna dalla personalità piuttosto spiccata, e credo che all’epoca fossero abbastanza numerose le “madri di famiglia” dal carattere “forte”, vuoi perché temprate dalla durezza della vita, vuoi per l’importanza e insostituibilità del loro ruolo, specie laddove un’attività veniva condotta col concorso di tutti o quasi i componenti della famiglia (e in quella realtà ciò avveniva in modo del tutto naturale, senza dover cioè ricorrere alle “quote rosa”).
P.B. 17.02.2024