Sanità e aree interne. L'argomento, ovviamente, è molto attuale e, nel contesto del nostro territorio, evidenzia le carenze di un approccio centralizzato nella gestione dei servizi socio-sanitari, che ha portato all'aumento della migrazione sanitaria. Alberto Tondelli, Spi Cgil, non nasconde l’amarezza.
Come siamo arrivati a questo punto?
L’attuale governo pare non avere un progetto concreto per rilanciare la sanità pubblica, la quale si trova di fronte a criticità sia organizzative che economiche ma queste problematiche non sono emerse di recente, affondano le loro radici in almeno tre decenni e nei governi precedenti. Il punto di svolta è stato il decreto legislativo 502 del 1992, che ha introdotto la gestione manageriale nella sanità pubblica, trasformando le USL in ASL con autonomia organizzativa, gestionale e amministrativa. Questo decreto ha anche sostituito la figura del Comitato di Gestione con quella monocratica del Direttore Generale, e ha stabilito che i livelli essenziali di assistenza (LEA) debbano essere definiti in base alla compatibilità finanziaria piuttosto che sui reali bisogni della popolazione. Nello stesso periodo, i fondi alle regioni vengono erogati in relazione al numero degli abitanti (quota capitale) un aspetto fortemente legato al neoliberismo e alla affermazione dell’idea che la salute è merce e la sanità una fonte inesauribile di profitto. Da allora seguono diversi tentativi di minare alla base il servizio pubblico e la conseguente minaccia per l’equità del diritto alla salute nelle regioni o territori con medio e scarso reddito o con popolazione residente particolarmente contenuta. Solo nell’ultimo quinquennio si era aperto uno spiraglio, quando la politica si accorge che esistono territori esclusi o quantomeno ai margini dello sviluppo medio del Paese e da qui l’inizio delle riflessioni sulla situazione per il sostegno e lo sviluppo delle aree interne. Ma l’impegno declamato è rimasto una generica promessa che non ha trovato nessun riscontro positivo anzi, direi proprio che pare sia stato abbandonato completamente.
Quali sono state le conseguenze?
Le conseguenze, chiare a tutti, è stata un continuo calo della popolazione residente, di un invecchiamento della stessa e chiaramente una riduzione dei servizi necessari a essa rivolti. Si parla di case della salute, di ospedali di comunità, di una nuova organizzazioni delle funzioni delle strutture di pronto soccorso, ecc. ma continuano a permanere forti dubbi sulle disponibilità delle professionalità necessarie a farli funzionare e delle risposte reali ai bisogni dei cittadini. La popolazione della montagna ha accettato, volenti o nolenti la chiusura del punto nascite mentre, chiaramente in contrasto, si ipotizzavano iniziative e provvedimenti finanziari per rilanciare la permanenza o favorire il ritorno di giovani. Ora, questa stessa popolazione mi pare rassegnata ad accettare altre riduzioni particolarmente pericolose per il nostro prossimo futuro. Molto probabilmente non potremo contare sulla solidarietà di altri territori, magari più ricchi o popolati che saranno impegnati a difendere i loro piccoli privilegi ma che nel prossimo futuro dovranno accettare come propria, la fotografia della montagna oggi.
Qual è il suo messaggio in vista delle prossime consultazioni elettorali?
Spetta a noi, l’onere e l’onore di difendere il nostro bellissimo e fragile territorio, il nostro diritto alla salute, il diritto a un invecchiamento dignitoso, il diritto di nascere e vivere in montagna. Dobbiamo dire con forza a tutti i candidati che la politica non deve essere vista come un posto dove stare, ma come un'opportunità per agire concretamente. La campagna elettorale non è una formalità, ma un impegno serio verso il futuro del nostro paese e la salvaguardia dei diritti fondamentali, come quello alla salute
Queste righe sembrano partire con una sorta di “piove governo ladro”, secondo il vecchio detto popolare, laddove dicono che a livello nazionale mancherebbe un “progetto concreto per rilanciare la sanità pubblica”, ma poi il concetto viene mitigato e attutito quando più avanti leggiamo di scelte locali – vedi gli ospedali di comunità opportunamente menzionati da Tondelli, in una con la nuova organizzazione circa i punti di pronto soccorso – argomenti sui quali non ricordo esservi stato da noi un gran dibattito, sia a livello politico che dei Corpi Sociali intermedi, mentre nel sentire comune più d’uno si va chiedendo perché mai non concentrare invece il personale sanitario presso l’Ospedale Sant’Anna.
Qui viene poi citato il Decreto legislativo 502, del 30 dicembre 1992, che ha portato alla cosiddetta aziendalizzazione della sanità pubblica, con la figura monocratica . del Direttore Generale, in sostituzione del Comitato di Gestione, che era espressione dei vari partiti, ma non possiamo non inquadrare tale scelta nel clima dell’antipolitica al tempo già in atto, se non dominante, e che sfociò poi nel crollo della Prima Repubblica, preceduto dal Referendum dell’aprile 1993 che aprì la strada al sistema maggioritario, ed è del marzo 1993 la legge che ha introdotto l’elezione diretta dei Sindaci e Presidenti di Provincia, orientando l’impianto sociale a virare verso figure dotate di ampia autonomia decisionale.
Né può dimenticarsi il Referendum costituzionale del 2001, che ha ridefinito la potestà legislativa in capo a Stato e Regioni, introducendo il principio delle competenze concorrenti, col rafforzamento di quelle afferenti alle seconde pure in materia sanitaria, e io credo occorra aver presente la cornice normativa – che non è nata a caso – per sapere a quale “porta bussare” quanto ad erogazione di servizi, dopo di che è piuttosto nota la scarsità o l’insufficienza di risorse ad ogni livello istituzionale, nel senso che la “coperta è corta”, e qui il discorso mi porta indietro nel tempo, allorché sorsero mutue di categoria, che si autofinanziavano, coi relativi bilanci destinati pertanto a chiudersi in pareggio.
Mutue assorbite in seguito dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) del 1978, che ci ha portato l’assistenza universalistica, ossia un notevole passo in avanti, ma i cui costi hanno avuto un progressivo crescendo, di certo non ingiustificato ma che potrebbe divenire via via insostenibile, con le annesse conseguenze, e mi chiedo allora se tra le cause della continua lievitazione della spesa siano da includere pure nostre eccessive pretese verso il SSN, tradottesi in una moltiplicazione di prestazioni “non essenziali”, anche a scapito delle “essenziali”, qualora le prime sottraggano risorse alle seconde (sono probabilmente impropri i termini “non essenziali” ed “essenziali”, ma ne ho fatto uso per semplificazione)
Penso in buona sostanza che la tematica meriterebbe una comune riflessione, che possa dirci il da farsi, possibilmente senza creare ulteriori motori di spesa, e se la salute non è di sicuro una “merce”, il parlare anche dei suoi risvolti economici non mi pare trattarsi di “neoliberismo”, bensì di realismo, posto che molto della nostra vita sociale dipende dalla “copertura finanziaria”, e dal come sono indirizzate ed impiegate le risorse pubbliche, e se una loro parte viene casomai assorbita nei termini che dicevo da quei comprensori che sono molto popolati, rischia poi di mancare alle Aree Interne, giustamente evocate da Tondelli anche per la loro importanza, ma il cui peso elettorale è abbastanza debole in ragione del minor numero di residenti-votanti, e il darvi voce spetta dunque ai loro Amministratori
P.B. 07.02.2024
Carissimo P.B.
Lei ed io siamo sicuramente simili, tutti e due incontriamo difficoltà a comprendere quanto l’altro scrive o quantomeno io non ho compreso quale relazione abbia il Suo commento con quanto da me espresso. Comunque alcune Sue affermazioni credo meritino una rapida riflessione.
“ Piove Governo ladro” non è e non sarà mai una mia espressione. Se piove cerco di procurarmi un riparo.
“ Concentrare il personale sanitario presso l’ospedale Sant’Anna” Su dichiarazioni della stessa ASL non ci sono figure professionali disponibili ed è pure per tale motivo che nutro dubbi su nuove strutture per la mancata chiarezza sulla gestione.
“ la coperta corta e come sono indirizzate ed impiegate le risorse pubbliche” qualcuno sta tirando tanto questa piccola coperta ed a mio parere dalla parte sbagliata e la sanità pubblica ne sta pagando le conseguenze. Per chiarezza l’Italia è una delle nazioni che investe meno sulla sanità pubblica come percentuale su PIL.
“ Darvi voce spetta dunque agli Amministratori “ verissimo ed è per tale ragione che chiedo fortemente che i programmi elettorali non si limitino a promesse di comodo.
“ Moltiplicazioni di Prestazioni non essenziali “ non è mai stata mia abitudine ricorrere ai professionisti ai quali dovrebbe essere riconosciuta concretamente l’importante lavoro che svolgono ed il cui tempo considero prezioso Confido che tale pensiero sia condiviso dalla maggior parte della popolazione.
” Crollo della prima Repubblica “ per dirla con Gaber, “perché alcuni politici non erano brave persone” e Tangentopoli ed i nove miliardi di tangenti presi dai fondi per la sanità ne sono conferma.
Grazie comunque di aver letto.
Cordiali Saluti
Alberto Tondelli
Se, come scrive Tondelli nel suo commento, non ci sarebbero figure professionali disponibili – a detta della stessa ASL, immagino con riferimento al Sant’Anna – viene spontaneo chiedersi con quali operatori sanitari potranno funzionare gli Ospedali di Comunità, vista tale carenza, e dal momento che pure Tondelli sembra nutrire dubbi al riguardo, mi sarei aspettato di sentire come la si pensa a tal proposito anche a livello politico, e pure da parte dei Corpi Sociali intermedi (mentre, salvo mie sviste, nulla o quasi mi pare di aver letto in merito).
Circa l’investire di meno “sulla sanità pubblica come percentuale su PIL”, rispetto ad altre Nazioni, a me sembra innanzitutto che i dati messi a confronto in materia riguardino la spesa sanitaria pubblica nel suo complesso, talché andrebbe anche considerato come altrove viene poi indirizzata, insieme ai rispettivi modelli organizzativi, risultandomi ad esempio che in più di uno Stato vige il sistema assicurativo, il che mi fa supporre che si tratti di assistenza indiretta, ovvero rimborsata, anche nel caso l’utente dovesse rivolgersi a quella sanità privata.
Posso naturalmente sbagliarmi, ma penso che il principio ispiratore della nostra Riforma sanitaria, oltre quattro decenni orsono, fosse la cosiddetta “universalità”, ossia il garantire a ciascuno di noi eguali condizioni di assistenza e copertura sanitaria, principio attuabile sia attraverso le strutture pubbliche che private convenzionate, almeno io credo, il che porta di riflesso a trovar giusto che, sul piano gestionale, le risorse provenienti dalla fiscalità generale vengano destinate anche alle seconde (visto che erogano le prestazioni a pari condizioni di quelle pubbliche).
La questione del poter governare spesa e domanda sanitaria si è comunque posta da tempo, e l’introduzione del “ticket” a me pare configurabile come uno degli strumenti volti a perseguire un tale obiettivo, a comprova dunque che il problema esiste, né può ignorarsi la cosiddetta “medicina difensiva”, i cui costi non sono affatto insignificanti stando a quanto si può conoscere, e se la “coperta è corta” rischiano di uscirne penalizzati i territori periferici, quali le Aree Interne, mentre un contenimento della spesa complessiva potrebbe liberare risorse a loro favore.
Ricambio i saluti
P.B. 10.02.2024