Caramaschi: “Serve un nuovo patto per lo sviluppo”.
Il reggiano Matteo Caramaschi, imprenditore agricolo reggiolese, guiderà anche per il prossimo quadriennio Confcooperative Terre d’Emilia, una centrale cui fanno capo 620 cooperative con 139.000 soci, oltre 46.500 dipendenti e 8,5 miliardi di fatturato.
“Una realtà in crescita – ha detto Caramaschi – che punta a nuovi obiettivi di sviluppo improntati a innovazione e sostenibilità e ha tre specifiche da affrontare con gli altri soggetti dello sviluppo territoriale: il lavoro, la dignità del socio-lavoratore e la tenuta del sistema di welfare”.
Proprio sul tema del lavoro uno degli affondi di Caramaschi: “servono urgentemente revisioni dei prezzi negli appalti pubblici e privati e servono azioni pubbliche su una committenza privata che formalmente si richiama a principi di responsabilità sociale e, nei fatti, negli affidamenti di servizi non è rispettosa neppure dei contratti nazionali di lavoro”.
E ancora, a proposito di socio-lavoratore: “l’assunzione di un rischio d’impresa deve essere sostenuta, favorita e incentivata laddove la proprietà è collettiva e laddove i profitti vanno a riserva indivisibile, puntando a far sì che le differenze tra lavoratore dipendente e socio-lavoratore non giochino a sfavore di quest’ultimo”.
“Siamo in presenza – ha detto il presidente di Confcooperative Terre d’Emilia - di ingiustizie sociali, fenomeni speculativi, lacerazioni tra categorie, comunità e persone che renderebbero indispensabile un rilancio dell’esperienza e dell’agire cooperativo, ma in realtà scontiamo culture e azioni che tendono ad appiattirne l’originalità in materia di lavoro, di relazioni con le comunità locali, di ruolo del socio e del socio-lavoratore, negando, nei fatti, la funzione sociale della cooperazione ed insidiando, in diversi casi, la sua tenuta imprenditoriale”.
Ecco perché, secondo Caramaschi, “occorre un nuovo patto con il pubblico, con le altre organizzazioni d’impresa, con i sindacati dei lavoratori (con i quali “si scontano fatiche anche quando la crisi di aziende potrebbe trovare risposta nei workers buyout”), ma anche con il mondo della formazione per tornare a parlare di competizione equilibrata, di equità e giustizia sociale, di servizi alla persona inclusivi e sostenibili, di competenze adeguate ai contesti produttivi e di servizio, di regolarità e inclusione lavorativa, di autoimprenditorialità e, in sostanza, di uno sviluppo che non si traduca in crescita per alcuni e in arretramento per altri”.
Fra i passaggi centrali della relazione di Caramaschi, un ampio capitolo ha riguardato il comparto agroalimentare, oggi segnato da manifestazioni di protesta in diversi parti d’Europa e in Italia.
“Abbiamo bisogno – ha detto il presidente di Confcooperative Terre d’Emilia - di politiche nazionali ed europee che ci aiutino ad affrontare in modo del tutto nuovo le sfide che vive un settore agricolo ed agroalimentare che non può continuare ad oscillare tra buone prospettive che alimentano gli investimenti e profonde crisi che, oggi, ci debbono anche interrogare sul valore di un modello che ha privilegiato quelle specializzazioni che sono sì distintive per il nostro Paese, ma espongono le imprese ai rischi connessi alle monocolture senza che vi siano meccanismi efficaci di tutela nelle situazioni di crisi”.
L’assemblea di Confcooperative Terre d’Emilia – cui ha partecipato il presidente nazionale di Confcooperative, Maurizio Gardini – si è conclusa con l’elezione del Consiglio generale dell’organizzazione.
Ci tenevo a ringraziare il Presidente Caramaschi per quanto sollecita, ma temo che il suo sollecito e il suo impegno sia vanificato dalla attuale classe politica e dirigenziale di gran parte di questa Regione.
Rispetto ad alcune decine di anni fa è cambiata completamente questa classe politica, un tempo c’erano i Politici e gli Amministratori del fare, ora abbiamo politici e amministratori del “NO a tutto”, semplicemente perchè dicendo di NO a tutto attirano voti da parte di certe frange ideologiche a cui il bene comune di un territorio, penso non importa proprio nulla; inoltre condividendo il no a tutto, questi politici e questi amministratori non hanno neppure l’impegno mentale di dover elaborare ciò che serve per garantire un futuro, specie ai paesi montani, e mi riferisco alle infrastrutture e non certo al sopravvivere quotidiano.
Ma non è cambiata la sola classe politica, la cosa peggiore è che sono cambiati anche i cittadini, accettano di buon grado ciò che i mass media gli dicono, convinti che ciò che gli dice il “partito” sia detto per il loro bene.
Recentemente mi sono cadute le braccia nell’apprendere che vengono concessi contributi alle aziende che dismettono la terra, quando da parte mia penso che i contributi andavano dati a chi lavora la terra e non a chi la dismette, questo dimostra la mia lontananza da questa politica. Pazienza sarò io a non comprendere certe logiche di partito, ma per le nostre terre montane quale futuro avremo?; ma si sappia che la colpa sarà solo nostra.