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La vicenda degli ebrei libici internati a Castelnovo

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Cleonice Pignedoli ricorda la vicenda degli ebrei libici internati a Castelnovo. La foto è di Joseph Labi, scattata a Castelnovo.

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“Per un nuovo domani”, il docufilm, andato in onda  venerdì 26 gennaio su Rai tre, narra il dramma di un gruppo di ebrei internati a Castelnuovo Garfagnana nel 1942.

Si basa sul  lavoro, eccezionale per la documentazione d’archivio, le lettere, le testimonianze, di tre storici toscani, Silvia Angelini, Oscar Guidi, Paola Lemmi, pubblicato, quasi vent’anni orsono, dal titolo L’Orizzonte chiuso.

Al di qua del crinale un altro Castelnovo viveva le stesse vicende, ma con un epilogo per fortuna meno drammatico.

L’internamento libero, che di libertà ne prevedeva poche, fu una misura studiata dal regime fascista, per imprigionare e vigilare, in piccoli comuni, gruppi di persone dichiarati nemici della patria. Con l’avvento del Terzo Reich, molti ebrei si rifugiarono in Italia, sperando in un regime più umano. Ma le leggi razziste non lasciarono scampo neppure a loro.

Anche Castelnovo ne’ Monti venne inserito tra i comuni adatti all’internamento e ricevette contemporaneamente una comunità di ebrei inglesi, deportati da Bengasi in Libia e un gruppo di prigionieri croati deportati da Jelenie.

Il 27 giugno del 1942, arrivarono gli ebrei, famiglie e persone sole, senza i capifamiglia, a loro volta internati nei campi, sempre in Italia.

Nei registri dell’ECA comunale sono elencati i  pericolosi nemici dello stato. Si tratta di Benjamin Smeralda, 21 anni; Benjamin Regina Nella, 20 anni;Labi Iusef o Giuseppe , 13 anni; Reginiano Buba, 51 anni; Rubin Giulia, 34 anni con i figli Labi Isacco, 12 anni. Labi Giacomo Giacobbe, 10 anni ,Labi Abramo, 7 anni, Labi Susanna, 2 anni, Labi Musci, 4 mesi.

Serussi Chellula fu Ruben  , vedova Labi di anni 92,  (poi deceduta a Castelnovo ne’ Monti, il 28.8.1942); Rumani Meriem, 1880  62 anni; Gehan Samina, 37 anni ;Labi Meborak , di anni 75 ;Duharon Messuada in Labi, di anni 75; Chennis ( o Ghernis) Zula, 1882, 60 anni.

Vennero alloggiati in case private e ricevevano un sussidio dal comune.

Gli uomini e le donne vivevano appartati, mentre i bambini spesso si trovavano in piazza a condividere i giochi con i bambini castelnovesi.

Il sussidio che percepivano non era sufficiente al mantenimento. Ogni piccola necessità doveva essere vagliata dal podestà e dalla Prefettura.

Smeralda richiede una visita oculistica, ma il permesso arriverà quando la donna è ormai guarita spontaneamente; alcuni di loro verranno ammoniti perché si erano spinti fuori dal paese per cercare qualcosa in più da mangiare.

Si susseguivano richieste di trasferimento in altri comuni della regione, per avvicinarsi a parenti colà internati. Alcune soddisfatte, altre no, senza criteri evidenti. L’angoscia più grande fu sicuramente quella di Giulia Rubin con 5 figli e il marito internato in un luogo sconosciuto che riuscirà a ricongiungersi alla famiglia a gennaio del 1943.

Gli ebrei non sono gli unici internati; un altro gruppo consistente è dato dai croati provenienti da Jelenie, ma questi verranno trasferiti ben presto al ricovero di mendicità di Reggio Emilia.

Il podestà è preoccupato per i posti letto che, con l’arrivo degli sfollati dalle città bombardate, si fanno sempre più scarsi e comincia a richiedere il trasferimento anche degli ebrei, rimanendo del tutto inascoltato.

Il podestà fa notare alle autorità che con l’arrivo degli aiuti da parte della Legazione Svizzera, gli ebrei si trovano a percepire un compenso maggiore rispetto a quanto pagato agli invalidi di guerra. La solita guerra fra poveri insomma.

L’8 settembre porterà una breve speranza di libertà.

La circolare Buffarini Guidi di fine novembre, peggiorerà le loro condizioni, intimando l’arresto immediato di tutti gli ebrei stranieri.

A Castelnovo la cattura viene eseguita l’8 dicembre da militi della GNR. Gli internati  vengono radunati in piazza e caricati su un mezzo fornito dalla ditta Bagnoli e Muzzini.

Il commissario Prefettizio, Pasquale Marconi tenta di opporsi.

L’episodio è così descritto da un anonimo testimone:

“Quando arrivò l’ordine di arrestare una ventina di ebrei libici confinati in quel comune, Marconi, allora Commissario Prefettizio lo seppe per caso. Si precipitò in piazza mentre stavano per caricarli sull’autocorriera: fece una scenata  di protesta al comandante dicendogli di vergognarsi di portare quella divisa e chiedendo perché non lo avevano avvertito, essendo lui il responsabile dell’ordine pubblico e quindi anche dei confinati ebrei. Poi abbracciò tutti gli ebrei e li baciò. Per qualche giorno restammo con il fiato sospeso, temendo l’arresto. Arrivò solo la destituzione dal Commissariato.”

Da Carpi un primo gruppo fu deportato a Bergen Belsen con il convoglio n° 7, in partenza il 19 febbraio.

Il governo inglese non abbandona i suoi sudditi ebrei e avvia le trattative per uno  scambio con prigionieri tedeschi. I libici furono quindi rilasciati prima della fine della guerra e rientrarono nelle loro case, in Libia, il 10 novembre 1944.

Il 21 febbraio Giulia Rubin diede alla luce, nell’ospedale di Carpi, il suo sesto figlio, Aronne Sion Labi. La famiglia Labi fu deportata il 16 maggio 1944, con il trasporto n° 11. Dopo 6 mesi furono trasferiti a Biberach sul Reiss, in un campo sotto la protezione della Croce Rossa Internazionale, ma poterono rientrare in Libia solo il 12 settembre 1945.