Pietra di inciampo per Giansoldati Mario Domenico.
Un ricordino con la sua immagine pieno di scarabocchi è la prima cosa che viene in mente alla signora Lorella Giansoldati nel pensare allo zio Mario Domenico che sarà ricordato con la posa di una pietra d'inciampo, davanti a quella che fu la sua abitazione, a Rosano di Vetto il 31 gennaio 2024 alle ore 10.
Alla cerimonia interverranno l’Istituto Storico Istoreco di Reggio Emilia, l’amministrazione Comunale e gli studenti dell’Istituto Nelson Mandela di Castelnovo ne’ Monti.
“Avevo cinque anni – racconta Lorella – quando mio padre ci raccontò della tragedia che aveva colpito la famiglia. Nel portafoglio aveva questo ricordino che io presi e ci feci dei disegni”.
Mario Domenico Giansoldati è deceduto, come raccontarono ai parenti i deportati tornati dal campo tedesco, perchè un soldato tedesco, dopo aver fumato, gettò la cicca a terra e Mario ruppe ‘le righe’ dei prigionieri per raccogliere quella cicca: gli spararono. Sul certificato di morte invece è indica che la morte è avvenuta per malattia.
“Non dobbiamo perdere la memoria del passato – aggiunge Lorella - e dobbiamo ricordarlo soprattutto ai giovani. Non lasciamoli soli in questo mondo virtuale. Il ricordo non deve andare perso. Vorrei anche ringraziare Istoreco, l’amministrazione comunale e tutti quelli che partecipano a questo ricordo”.
CHI ERA GIANSOLDATI
Giansoldati Mario Domenico, nato a Rosano di Vetto il 16/12/1923 da Alfredo e Nobili Doralice, era il 5° di 6 fratelli abitava a Rosano in un’abitazione al centro del paese denominata “l’Osteria”.
Dal foglio matricolare risulta che fosse “allievo carabiniere a piedi volontario della Legione allievi per la ferma di anni 3.”
Giunto in territorio dichiarato in stato di guerra ha concorso alla leva con la classe 1923 fu catturato il 3 agosto 1944 e deportato in campo di concentramento in Germania a Kahla in Turinga dove è deceduto il 22 dicembre 1944.
PIETRE DI INCIAMPO
Ideate dall’artista berlinese Gunter Demnig, sono ormai diffuse in buona parte d’Europa.
Sono piccoli monumenti collettivi, cubi d’ottone incastrati nell’asfalto, sistemati davanti alle case dove le vittime del nazismo hanno vissuto libere per l’ultima volta. Sistemate all’altezza del terreno, le piete sono pensate per far simbolicamente inciampare il passante, per fargli porgere lo sguardo al suolo, dove si troveranno i dettagli anagrafici del ricordato.
Reggio è stata la prima città emiliana a posare pietre, partendo nel 2015 con le prime dieci dedicate a ebrei deportati a Birkenau o morti mentre cercavano di fuggire. Ogni attività è affiancata da mesi di ricerche e lavoro che coinvolgono le classi delle scuole che a seguire parteciperanno al Viaggio della Memoria Istoreco, spesso dialogando anche con i famigliari e con altri testimoni.
Sembra impossibile che si possa morire per una “cicca”, ma questo angosciante episodio è un’ulteriore testimonianza dell’atroce drammaticità che segnò quei tormentati anni, e quando li penso mi domando spesso se, dopo l’8 settembre 1943, potevano essere impartite direttive e sviluppate azioni in grado di risparmiare al nostro Paese l’occupazione, deportazioni e rappresaglie, e altri tragici e luttuosi fatti, nonché una divisiva guerra civile i cui effetti sono arrivati fino ai giorni nostri, traducendosi in contrasti e spaccature che paiono essere insanabili.
P.B. 27.01.2024