Edo Ronchi: " Si sottovaluta la gravità della crisi climatica e ambientale".
Green economy, decarbonizzazione, consumo del suolo, foreste, cambiamento climatico, transizione ecologica: a che punto siamo?
Una fotografia sull'ambiente ‘scattata’ con Edo Ronchi ex ministro e docente universitario, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, insignito del premio per la Sostenibilità dalla fondazione Hans-Carl von Carlowitz di Chemnitz (Germania) che venerdì 26 gennaio 2024 sarà al Parco Tegge per discutere del Green New Deal e sulla situazione attuale della transizione ecologica.
L'intervista.
Come misuriamo lo stato di salute dell’ambiente?
Per conoscere lo stato di salute dell’ambiente facciamo riferimento sia ai rapporti dell’Istituto per la Ricerca e la Protezione ambientale sia dell’Agenzia Europea dell’Ambiente con degli indicatori abbastanza standardizzati che riguardano un po’ tutte le grandi questioni ambientali che cominciano dalla qualità ambientale: la qualità dell’aria, delle acque, dei suoni. E poi c’è il tema della tutela e il consumo di risorse naturali: stato degli ecosistemi, biodiversità e stato della conservazione della natura a cui ora si aggiunge il tema dell’emergenza ambientale globale, del cambiamento climatico e quindi lo stato delle emissioni di gas serra e degli impatti del cambiamento climatico.
L’uomo ha bisogno dell’ambiente... sano
L’ambiente ci fornisce una serie di servizi che si chiamano non a caso ecosistemici e che sono essenziali per il nostro benessere. La qualità dell’aria è fondamentale, così come l’acqua potabile e buona, sono condizioni indispensabili per la nostra salute e il nostro benessere; avere cibo di qualità dipende dall’ambiente, dall’agricoltura, la chimica, l’allevamento, le modalità di lavorazione; influisce poi anche su molte attività economiche che dipendono dalla qualità ecologica.
Pensi la crisi climatica che impatti può avere sull’agricoltura, sul turismo, sulla salute e quindi sulle spese sanitarie o impatti anche economici importanti, ad esempio sulle attività in montagna legate al turismo che sono molto colpite da questo riscaldamento globale. E poi molte risorse, a partire da quelle agroalimentari, derivano proprio dalla natura, dalla terra e se queste vengono consumate, rese aride, la produzione primaria che non a caso si chiama così, ne risente. Noi abbiamo un po’ la mentalità che è legata al processo dello sviluppo economico e tecnologico e che ci rende un po’ più artificiali, ci fa meno percepire questo stretto legame della nostra vita e del nostro progresso anche economico alle condizioni ecologiche ambientali.
Se le compromettiamo, rischiamo in maniera determinante di danneggiare la nostra qualità dalla vita. Avere più oggetti ma respirare aria in più inquinata, non pulita, bere acqua contaminata, mangiare cibo non sano e avere un’economia più precaria, perché dipende dalle risorse naturali, è un alto rischio ormai .
Quali sono i sintomi del cambiamento climatico in Italia e nelle montagne?
I sintomi si misurano negli eventi cosiddetti atmosferici estremi che sono le ondate di calore, ricordo che l’anno scorso anche in Italia è stato l’anno più caldo misurato fino ad ora, e gli altri eventi atmosferici estremi cioè piogge molto intense che generano bombe d’acqua e eventi come uragani, anche in zone dove solitamente non erano conosciuti questi fenomeni.
In montagna è rilevante il fenomeno delle basse precipitazioni nevose con l’innalzamento dello zero termico a quote più alte, la perdita significativa e visibile, chi frequenta la montagna lo sa, dei ghiacciai e anche periodi di siccità o comunque di riduzione di disponibilità dell’acqua in alcuni periodi estivi. In genere l’Italia per la sua collocazione mediterranea è molto esposta al cambiamento climatico, il riscaldamento, sia del Mediterraneo sia a cui è esposto il nostro Paese, è mediamente più alto rispetto alla media europea e anche su scala globale.
Eppure nelle nostre montagne osserviamo le foreste che si riprendono spazio. Significa che stiamo meglio?
Le foreste che riprendono spazio sono dovute soprattutto alla riduzione del pascolo e dell’agricoltura o della pastorizia in montagna, quindi dove il pascolo non è curato la foresta tende a riprendersi e questo è un trend in atto. La foresta si sposta sempre un po’ più in alto a causa di questo innalzamento medio delle temperature. Bisogna però stare attenti anche che aumentano le malattie, aumentano i fenomeni estremi e quindi anche precipitazioni, eventi molto forti che hanno creato danni in molte foreste anche di montagna.
In Emilia-Romagna, in pianura, è forte il tema del consumo del suolo: un fenomeno inarrestabile? Si può fare bilancio nei comuni senza edilizia?
Il consumo di suolo è uno dei problemi ambientali che abbiamo, soprattutto nelle aree di pianura per via dell’espansione urbana, delle infrastrutture e anche degli insediamenti produttivi e adesso, di questi grandi centri commerciali. E va fermato. Da una parte abbiamo il consumo di nuovo suolo, dall’altra molti capannoni abbandonati, edifici non utilizzati: bisogna recuperare l’edilizia esistente, dare priorità assoluta alle aree già urbanizzate, dove già si è costruito e puntare al consumo netto, cioè di nuovo suolo a zero. I trend si possono invertire, in alcune realtà non in maniera estesa però il fenomeno della riduzione del consumo di nuovo suolo è in atto. Non c’è solo l’aumento del consumo, c’è anche il contenimento.
Cosa si intende per economia verde e quale è lo stato di questa economia in Italia?
La green economy è quell’economia le cui attività o hanno come finalità prioritarie la tutela ambientale, pensi per esempio alle fonti rinnovabili, l’attività di riciclo dei rifiuti o l’attività di manutenzione del territorio ma anche attività, che pur non avendo come finalità principale la tutela ambientale o effetti diretti sulla tutela ambientale, puntano all’elevata qualità ecologica e sono ormai molto significative, per questo l’insieme di queste attività e orientamenti viene chiamata green economy. In sostanza oggi la green economy è un’economia che punta alla decarbonizzazione per affrontare la crisi climatica, punta a cambiare il modello da lineare a circolare per ridurre il prelievo delle risorse, dei materiali dall’ambiente, delle materie prime, delle risorse naturali e invece di essere impattante contro l’ambiente punta ad avere un effetto positivo sull’ambiente, per questo si chiama green.
Quali sono i dati della realizzazione di nuovi impianti per energia solare? La diffusione si è rallentata?
Nel 2023 gli impianti ad energia solare hanno avuto una forte ripresa: 5,2 giga watt che è un po’ un record degli impianti solari, parliamo di diverse centinaia di miliardi, credo circa 200mila in un solo anno. L’eolico invece molto meno, 0 ,5 GW rispetto ai 5, 2 del solare cioè 5 volte in meno anche se la produttività delle pale eoliche è circa il doppio in termini di energia a parità di potenza del pannello solare.
Si può fare di più e si deve fare di più. Adesso siamo intorno al 37 % del fabbisogno elettrico soddisfatto con rinnovabili, dovremmo arrivare al 75-80 % entro il 2030, quindi si tratta di una vera corsa per rispettare i target della tutela del clima, della decarbonizzazione.
Perché l’Italia è in ritardo sulla decarbonizzazione come ha affermato lei?
Alcuni istituti internazionali hanno presentato a Dubai un rapporto ed è stata un’amara sorpresa: dall’accordo di Parigi 2015 alla COP 28 di Dubai nel 2023, siamo scesi dal diciannovesimo posto al quarantaseiesimo fra sessantadue. Queste sono le ragioni: una è, come abbiamo detto, la crescita troppo lenta, anche se c’è ma non è sufficiente, delle fonti energetiche rinnovabili.
Una carenza di stabilità delle politiche climatiche in generale. Per esempio, non c’è in Italia una legge sul clima come c’è in altri paesi europei: nel settore dei trasporti siamo molto lenti e un po’ indietro nelle politiche di decarbonizzazione perché usiamo molto l’auto quelle elettriche sono poche, solo il 3,9 % di immatricolazioni l’anno scorso dove per esempio, la Germania ha immatricolato il 18 %. E poi questi istituti ci rimproverano anche uno scarso impegno internazionale per il clima.
Cosa fare per ottimizzare le produzioni dal punto di vista ambientale?
La produzione ambientale di elevata qualità ecologica è una produzione che emette poca CO2 o tendenzialmente punta ad azzerarla; è una produzione più circolare cioè che fa beni che durano, che possono essere riparati, che sono riciclabili, che impiegano materiale riciclato e che non solo non crea danni ma punta a generare benefici per l’ambiente e per la natura nei territori dove si realizza.
I vantaggi sono per la collettività, per i territori e per noi tutti. L’energia fossile cala, siccome le risorse naturali costano estende l’elevata qualità ecologica, oltre che maggiore appeal sui mercati, tende ad essere anche più efficiente e quindi a generare vantaggi economici proprio nei costi di produzione.
Perché il tema ambientale non è al centro dell’agenda politica?
Questa è una bella domanda. Nella Laudato sii di Papa Francesco rimprovera in generale la politica di avere una visione di breve termine, di essere molto basata sulle ‘prossime elezioni’, la tutela ambientale richiederebbe invece molto più di attenzione: dovrebbe pensare alle politiche ambientali.
Poi, l’accelerazione della crisi climatica e di quella ecologica è stata molto rapida e noi cittadini stentiamo a cogliere che c’è la crisi. Abbiamo una sottovalutazione e non mancata percezione della gravità di questa crisi climatica ed ambientale in corso: questo porta a dare priorità diverse alla politica che tende a mettere l’ambiente in seconda o terza posizione.
Oltre alla politica, cosa può fare il singolo che vive in città o in montagna per lasciare un segno?
Dovremmo cercare di lasciare il meno segno possibile ambientale, cosiddetta impronta, pensando che il nostro impatto è significativo, basta avere un approccio un po’ più razionale.
Le faccio degli esempi: fare attenzione al consumo di energia in casa ricorrendo ad elettrodomestici efficienti, lampade da risparmio energetico, non lasciare luci accese; fare con cura la raccolta differenziata per sprecare meno energia: quando differenziamo, avviamo il recupero dei materiali riducendo l’impatto di tutto il processo. Poi ci sono poi i consumi e gli scarti: la tendenza al consumismo è una tendenza di elevato impatto ambientale; la gestione intelligente del frigorifero che non è una stupidaggine; c’è il tema della mobilità che è un tema molto ampio. In città, molti minimizzano gli spostamenti con l’auto, questa è già una buona pratica che si può fare il più possibile a piedi e chi può vada in bicicletta, e poi ci sono i mezzi pubblici. Nella mobilità si può risparmiare emissioni, traffico e inquinamento in modo importante. Chi può spingere verso le rinnovabili lo faccia, sono anche molto convenienti e lo so anche per esperienza personale.
Esistono molte guide, siti dedicati agli stili di vita ecosostenibili che vanno dalla dieta ai comportamenti, molti suggerimenti. Una partecipazione alla minor impatto ambientale e alla sostenibilità ci può essere.
Mi verrebbe anche da aggiungere che con l’attuale governo in carica, le prospettive per l’Italia sono tutt’altro che rosee.
Con la scusa di un “ambientalismo conservatore”, da contrapporre a quello “ideologico”, siamo allo scempio: il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici” (Pnacc) e al “contrasto al dissesto idrogeologico” è stato approvato a dicembre, ma non sono state stanziate le risorse economiche nella legge di bilancio, e circa 1,3 miliardi di euro che il Governo ha definanziato dal Pnrr, sono stati tolti alla lotta contro il rischio idrogeologico. Tutte le iniziative comunitarie pensate per favorire l’addio ai veicoli alimentati dai combustibili fossili, per l’efficienza energetica degli edifici e per il ripristino della natura, sono state boicottate dal governo italiano. Il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) proposto dal Governo Meloni è stato bocciato all’unanimità da tutte le principali forze ambientaliste del Paese, presenta target di riduzione alle emissioni inferiori a quelli medi richiesti dall’Ue, e gli obiettivi di penetrazione delle energie rinnovabili sono più bassi rispetto a quelli avanzati non solo dagli ambientalisti ma anche da Elettricità futura (Confindustria). Nel 2023 sono entrati in esercizio solo 3,9 GW di nuovi impianti contro i circa 12 necessari per traguardare gli obiettivi europei. In definitiva, sul primo anno di lavoro del Governo Meloni resta il giudizio espresso dall’Alleanza per lo sviluppo sostenibile (ASviS): «La mancanza di un impegno esplicito, corale e coerente da parte della società, delle imprese e delle forze politiche ci ha condotto su un sentiero di sviluppo insostenibile che è sotto gli occhi di tutti».
Fonte: greenreport.it
Errata corrige: il Pnacc è stato approvato a dicembre, ma non sono state stanziate le risorse economiche nella legge di bilancio.
Io non credo che manchi o difetti la consapevolezza della “questione climatica”, o ne sia sottovaluta la gravità, vuoi nel sentire comune vuoi in quella parte politica che guarda ad un “ambientalismo conservatore”, mutuando l’espressione impiegata da Andrea, ma ci si divide semmai sul modo col quale adoperarsi per porvi rimedio, essendovi chi vorrebbe farlo in tempi molto rapidi e ristretti, e chi invece con cadenze più graduali, onde non pregiudicare il nostro sistema produttivo, e non solo, e tenendo altresì conto che le nostre azioni ottengono alla fine effetti e riuscite sostanzialmente parziali se rimangono isolate in un contesto planetario tuttora a macchia di leopardo circa la sensibilità ambientale (e i crono programmi per intervenire nei confronti del riscaldamento globale).
Nel corso degli anni le nostre città, in una coi rispettivi circondari produttivi, si sono per solito espanse concependo una mobilità affidata ai mezzi privati, e il rientrare da un tale modello richiede verosimilmente tempo e progressività, senza accelerazioni destinate di fatto a tradursi in direttive o regole non sempre facili da rispettare, e che vanno casomai a penalizzare ingiustamente quanti sono adusi ad osservare norme e prescrizioni, riguardo al cui inasprimento mi preoccuperei anche di capire se si può poi esercitare un’efficace opera di vigilanza perché diversamente si rischia di mancare il risultato, oltre ad alimentare l’anzidetta penalizzazione (prima ad es. di abbassare ulteriormente i limiti di velocità cercherei di rendere più stringenti i controlli riguardo a quelli già in vigore)
A me sembra che chi propende per un “ambientalismo conservatore” non si opponga affatto alla cosiddetta “transizione verde”, ma cerchi piuttosto di attuarla “passo dopo passo”, mediando tra l’esistente e quanto ci si propone di ottenere, e rimodulando pragmaticamente il tragitto in base ai risultati via via raggiunti, così da non commettere “passi falsi”, poi di difficile rettifica, e su questo percorso trovo senz’altro condivisibile il puntare sugli “impianti solari” e l’energia rinnovabile o pulita, e in merito a quest’ultima si dovrebbe allora optare per una Diga sull’Enza di dimensione tale da sfruttarne il potenziale idroelettrico, ma sappiamo che sul fronte ambientalista esistono in proposito dubbi e riserve, a comprova che il “cammino” in causa non manca di complessità.
P.B. 26.01.2024
Io penso che chi vive a stretto contatto con la natura e pratica anche solo un minimo di agricoltura o allevamento, professionale o famigliare che sia, non possa non rendersi conto che parlare oggi di “cadenze più graduali” o di “tempo e progressività” sia completamente fuori luogo. Soprattutto se, come urlano i leghisti, “accelerazione” significa smettere di commercializzare (e non smettere di usare) auto benzina e diesel tra BEN 10 ANNI!
Se non siamo capaci di rinunciare oggi (ed è già troppo tardi) a parte delle nostre “comodità”, saremo costretti a farlo molto presto e molto più drasticamente per cause naturali (disastri ambientali, carenza di cibo ecc.).
Ma è abbastanza ovvio che chiedere rinunce oggi costa voti, quindi meglio tapparsi naso e occhi, e soprassedere. Ecco cosa significa populismo.
Salvo miei malintesi, nel leggere il secondo commento di Andrea si ricava l’idea che il Governo in carica dovrebbe imprimere una forte accelerazione alle misure volte a fronteggiare la “crisi climatica e ambientale”, e il soprassedervi – ovvero procedendo invece con gradualità, cioè col criterio del passo dopo passo – significherebbe agire in maniera populista, come se tale crisi fosse sorta improvvisamente adesso, e non già iniziata da diverso tempo a questa parte, con possibilità dunque di ricorrere nel corso degli anni ad interventi e rimedi progressivi, così da verificarne e seguirne mano a mano l’efficacia e la rispondenza.
Credo altresì che quando si invocano e adottano provvedimenti “emergenziali” possa corrersi il rischio che non siano di facile e semplice attuazione, al punto da comprometterne in certo qual modo il risultato, e visto poi che Andrea chiama in causa l’agricoltura, mi sembra che detto settore abbia segnalato da decenni, o quasi, il problema del fabbisogno idrico, e se tale criticità ed esigenza fosse stata ascoltata ci troveremmo verosimilmente già con invasi fluviali realizzati, mentre in questo caso, al contrario, la gradualità è di casa (al di là di cosa si pensa delle Dighe mi parrebbe di essere davanti ad una sorta di “doppiopesismo”).
P.B. 28.01.2024
Con tutto il dovuto rispetto, a differenza di P.B. io non scrivo e commento sulla base della contrapposizione politica e con toni divisivi, descrivendo un mondo dove una parte politica ha sempre e comunque ragione a prescindere, mentre l’altra ha sempre torto. Tant’è che il mio commento non parlava del passato e di quanto siano stati bravi i precedenti governi (che di sicuro non hanno accelerato), ma semplicemente di quanto sia critica la situazione attuale per via delle posizioni del governo in carica (questo governo non solo non accelera, ma addirittura frena).
Giustificare le posizioni folli di questo governo semplicemente parlando della diga di Vetto (un goccia nel mare) e puntando come al solito il dito contro gli altri (che io peraltro non avevo nemmeno menzionato ne tantomeno elogiato) mi pare un’argomentazione piuttosto debole.
Cordiali saluti.
Diga di Vetto, ovviamente 🙂