Marco Picciati: "La castanicoltura rappresenta una ricchezza per tutto l’Appennino".
A che punto è la castanicoltura in montagna? Lo abbiamo chiesto al carpinetano Marco Picciati, che svolge la sua attività di libero professionista nel settore dell’ambiente, dove si occupa di ecologia per la gestione della fauna selvatica, della forestazione e di castanicoltura, dove ricopre l’incarico di Presidente del “Consorzio dei Castanicoltori dell’Appennino Reggiano”, raggruppamento di proprietari e conduttori di castagneti e metati della montagna.
L'intervista.
Da quanto tempo è nel Consorzio dei Castanicoltori?
Il Consorzio è stato fondato nel 2001. Sono uno dei soci fondatori ed assieme ad un gruppo di appassionati lo abbiamo creato, ritenendo l’aggregazione dei castanicoltori un risultato importantissimo per riuscire a dare valore alle nostre attività tipicamente montane e sconosciute ai più. Il Consorzio ha fatto incontrare persone che prima non sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, ha generato la voglia di condividere e riscoprire il piacere di tornare nel bosco per recuperare le piante di famiglia oltre a creare nuovi spazi per la produzione di castagne. Il castagneto è, in sintesi, ritornato ad essere un luogo di aggregazione e di condivisione di alcuni valori che tentiamo appunto di preservare.
E’ proprio in quest’ottica che ancora oggi ci stiamo muovendo. Abbiamo in seguito iniziato a ritenere la castanicoltura come un’opportunità ed una fonte di reddito che, se realizzata, potrebbe indurre le persone a rimanere e godere della montagna, quella vera e più bella, sia dal punto di vista paesaggistico che dei rapporti umani.
Molto sulla soddisfazione dei consorziati, ha inciso il lavoro di formazione realizzato nel corso degli anni, aggiornamenti, convegni e corsi tematici (l’ultimo in ordine di tempo è stato il corso di Bio-Innesti nello scorso marzo, che ha visto un numero di partecipanti importante ed una nutrita presenza di giovani), per non trascurare la consulenza tecnica determinante in questo periodo di pazzia climatica e che, ahimè colpisce anche il castagno.
E’ vero che siete stati i primi ad individuare la vespa cinese?
Sì è vero, si parla del 2008, pochi giorni dopo l’ennesimo aggiornamento, proprio sui rischi di diffusione di alcune malattie e parassiti, un nostro associato ha trovato nel proprio castagneto (in località Marola) le galle della Vespa cinese.
Su questa emergenza abbiamo condotto un lavoro importante. Ci siamo collegati con l’università di Modena e Reggio e con l’università di Torino: abbiamo creato in località Savognatica di Carpineti, una prima biofabbrica di Torymus sinensis, gli insetti che eliminano e contrastano la diffusione della Vespa cinese.
Grazie alla collaborazione di un ulteriore castanicoltore, dopo tre anni, abbiamo creato in località Marola la seconda biofabbrica di Torymus sinensis, raggiungendo così una produzione di insetti tale da soddisfare le esigenze dei laboratori dell’università di Modena e Reggio e la maggior parte di richieste di insetti antagonisti, necessari per realizzare i lanci di propagazione nelle province emiliane ed in parte romagnole.
Per quanto riguarda il nostro territorio, abbiamo stabilito quali erano i punti in cui era più opportuno rilasciare questi insetti, affinché colonizzassero il più rapidamente possibile i castagneti dell’Appennino reggiano, dal 2009 fino al 2012.
Grazie a questo gruppo di lavoro nell’appennino reggiano, siamo stati in grado di ridurre ai minimi termini gli effetti devastanti della Vespa cinese, sulle piante e ancor prima che giungessero i crolli delle produzioni di castagne, cosa che purtroppo è avvenuta in altre aree dell’Appennino italiano. Per fortuna ora la vespa cinese c’è e ogni tanto si vede, ma è diventata una specie che non crea alcun tipo di problema.
Resta che si è trattato di un grande gesto di altruismo, di cui poco si parla e di cui andiamo particolarmente orgogliosi poiché i castanicoltori, senza alcuna ricompensa e per puro spirito di altruismo, hanno tagliato i rami dei loro castagni, raccolto le galle, e rinunciato in questo modo a parte della produzione.
La castanicoltura nell’Appennino reggiano può diventare una vera impresa, una opportunità imprenditoriale?
Purtroppo la castanicoltura, per parecchi anni ed in parte tutt’oggi, è considerata un’attività marginale, svolta per lo più da pensionati per diletto e a livello ‘hobbistico’. Oltre a queste realtà troviamo nuove aziende agricole che stanno investendo nelle produzioni castanicole e che già ci fanno intravedere un futuro più articolato. Fin dalla nascita del Consorzio (esistevano ancora le Comunità Montane) iniziammo a capire che l’hobbista o comunque la persona che faceva castanicoltura non come attività principale, veniva praticamente esclusa dai meccanismi di finanziamento.
Sono ancora troppo poche le aziende castanicole e questo è uno dei punti deboli del settore non solo dell’Appennino reggiano, ma in generale nella maggior parte della Regione Emilia Romagna. Fa eccezione Castel del Rio, dove ci sono aziende che hanno dimensioni importanti; ci sono inoltre altri consorzi, tutti romagnoli, da Bologna in direzione sud in cui fare castanicoltura nell’ambito dell’impresa, anche se non in via esclusiva, è una consuetudine. Questo dovrebbe essere anche il nostro traguardo che ci auspichiamo di raggiungere lavorando su due importanti progetti.
Quali sono questi progetti?
Il Piano Castanicolo regionale: grazie al Tavolo castanicolo regionale, istituito oramai un paio di anni fa in seguito all’interessamento dell’Assessore all’Agricoltura Alessio Mammi, stiamo costruendo un pacchetto di misure che dovrebbe consentire lo sviluppo della castanicoltura, secondo una serie di obiettivi e tempistiche che noi auspichiamo ristrette in pochi anni. Si tratta del Piano Castanicolo regionale che nelle aspettative non si occuperà solo degli aspetti forestali o di gestione dei castagneti, ma anche di aiutare con opportune semplificazioni i castanicoltori a sviluppare le proprie aziende, affinché diventino sostenibili anche dal punto di vista economico e non solo ambientale. I settori che meritano particolare attenzione sono certamente: il recupero dei vecchi castagneti, la conversione dei cedui di castagno in castagneti da frutto, le tecniche di conservazione delle castagne, la prima trasformazione (vedi il recupero e la riqualificazione dei metati), le filiere di vendita, la formazione professionale, il vivaismo e le tecniche di coltivazione adeguate al cambiamento climatico. Ci auguriamo inoltre che il Piano castanicolo regionale preveda la possibilità di realizzare le attività sopra indicate tramite gli adeguati finanziamenti.
Il Distretto del cibo: Grazie a normative nazionali e regionali sarà possibile costituire un consorzio del cibo, qualora almeno il 30% dei produttori di marroni e castagne (intendo a livello regionale) formeranno un gruppo con altri operatori (le imprese che a vario titolo sono coinvolte nella trasformazione, vendita e valorizzazione dei prodotti) per realizzare progetti comuni e condivisi, evitando la dispersione di risorse, sviluppando i vari settori della filiera in modo coordinato e funzionale agli obiettivi ed ottenere così gli auspicati risultati economici necessari affinché le imprese stiano sul mercato.
La promotrice di questo progetto, o meglio la capofila, è la Coldiretti Regionale che si è presa l’impegno di organizzare e creare questo nuovo tipo di aggregazione di imprese. Come consorzio dell’Appennino reggiano, in collaborazione con altri 8 consorzi di castanicoltori regionali, stiamo attivamente collaborando a questa che è già più di una idea; nello specifico ci stiamo occupando di ricostruire la rete dei produttori e dello statuto. Nostro obiettivo sarebbe di riuscire entro 10 anni a raddoppiare le superfici di produzione, incentivare la produzione delle farine e di altri prodotti trasformati. Crediamo che grazie ad una organizzazione commerciale più efficiente sarà possibile spuntare prezzi migliori per i produttori ed inoltre si potrà finalmente fare chiarezza sulla qualità dei nostri prodotti.
Stiamo verificando in primis che tra i consumatori sono pochissime le persone che distinguono le varietà delle castagne e riconoscono il marrone. Chi acquista è quindi soggetto a possibili truffe. E purtroppo riceviamo sistematicamente delle segnalazioni e delle proteste per la scarsa qualità dei prodotti spesso pagati come frutti di pregio. L’errore più frequente è credere che il marrone sia il frutto di maggiori dimensioni rispetto alla castagna, quando invece nella realtà non è così, anzi ci sono castagne di dimensioni maggiori che guarda caso sono le più vendute e che ahimè le qualità del marrone non le raggiungeranno mai.
Ci sono risorse in arrivo?
Negli ultimi anni non siamo mai riusciti ad avere dei piani di sviluppo rurale dove ci fossero delle misure specifiche per i castanicoltori, è quindi questo il grande obiettivo, noi confidiamo da quest’anno di avere queste opportunità.
Da poco tempo la Regione ha pubblicato un bando nel piano di sviluppo rurale che riconosce ai coltivatori dei castagneti da frutto un contributo per la qualità ambientale. Si tratta di un grande risultato poiché riconosce una cosa nota ai castanicoltori, ma sconosciuta ai più e cioè che recuperare il castagneto da frutto, significa anche ripristinare il prato molto importante per la biodiversità, dove si vanno ad insediare un’elevata quantità di specie ed insetti protetti. Si tratta di contributo a superficie, che andremo a proporre ai nostri soci.
Bene ha fatto Marco Picciati ad evidenziare una delle tante ricchezze della montagna, ricchezze naturali che bastava mantenerle e svilupparle, ma ciò avrebbe mantenuto il montanaro su queste terre.
Ma mantenere il montanaro su queste terre andava in contrasto con le industrie a valle che necessitavano delle braccia e delle menti dei giovani montanari e dalla loro voglia di lavorare, pertanto si doveva trovare il modo che i giovani lasciassero queste terre per andare a valle e impedire qualsiasi opera strutturale che gli avrebbe permesso di un pendolarismo accettabile.
Questo ha impedito ai giovani di restare a vivere su queste terre e qui formare le loro famiglie e contemporaneamente avrebbe obbligato le attività imprenditoriali a trasferirsi a Valle per le difficoltà, per i costi e i tempi dei trasporti; solo alcuni Imprenditori, che definisco dei “Santi” cercano di restare ancorati a queste terre.
Oltre alle castagne, come dice Marco Picciati, il nostro Appennino, al pari del Trentino Alto Adige, avrebbe potuto sviluppare cereali, patate, ortaggi, viti e soprattutto alberi da frutto: ciliegie, susine e, più di ogni altro, mele e pere, ma questo andava in contrasto con chi aveva bisogno dei giovani a valle e con chi voleva che il nostro Appennino diventasse terra di lupi e cinghiali.
Il risultato lo vediamo, paesi spopolati e abbandonati, pubblici servizi che non possono più essere garantiti, frazioni completamente abbandonate, popolazione di pensionati; questa è la realtà, si è illuso i montanari con tante belle parole, facendogli credere che il paesaggio, l’aria pulita, il bosco, il silenzio, le acque limpide che vanno a mare e la tranquillità di questi luoghi avrebbero assicurato un futuro a questi paesi, nella realtà costoro sono i veri responsabili del dissesto e dell’abbandono di queste terre, spero che un giorno i montanari comprenderanno tutto ciò, peccato che sarà troppo tardi.