Il Museum of Modern Art, o MoMA, di New York è il custode di un famosissimo dipinto ad olio di Van Gogh, ‘La notte stellata’. A seguito del crollo mentale del dicembre del 1888, il pittore si tagliò l’orecchio sinistro, e decise poi di farsi ricoverare presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole. Proprio guardando dalle finestre dell’ospedale, Van Gogh trovò ispirazione per diverse opere, tra cui, appunto, questo notturno, che è certamente una delle più famose. La poetessa americana Anne Sexton (1928-1974), che combattè con la malattia mentale come il pittore olandese e, come lui, morì suicida, scrisse nel 1962 una poesia dedicata a Van Gogh e al celebre dipinto:
The Starry Night
La Notte Stellata
That does not keep me from having a terrible need of—shall I say the word—religion. Then I go out at night to paint the stars. Vincent Van Gogh in a letter to his brother
Ciò non mi impedisce di avere un tremendo bisogno di - devo pronunciare la parola - religione. Allora esco di notte a dipingere le stelle. Vincent Van Gogh in una lettera al fratello
The town does not exist
Il paese non esiste
except where one black-haired tree slips
eccetto dove un albero dai capelli neri si distende
up like a drowned woman into the hot sky.
come una donna annegata nel cielo infuocato.
The town is silent. The night boils with eleven stars.
Il paese è silenzioso. La notte ribolle con undici stelle.
Oh starry starry night! This is how
Oh notte stellata, così stellata! Ecco come
I want to die.
voglio morire.
It moves. They are all alive.
Si muove. Sono vive.
Even the moon bulges in its orange irons
Persino la luna è gravida pur nelle sue catene arancioni
to push children, like a god, from its eye.
e fa nascere bambini, come un dio, dal suo occhio.
The old unseen serpent swallows up the stars.
Il vecchio serpente, non visto, ingoia le stelle .
Oh starry starry night! This is how
Oh notte stellata, così stellata! Ecco come
I want to die:
voglio morire:
into that rushing beast of the night,
dentro quella precipitosa bestia della notte,
sucked up by that great dragon, to split
risucchiata da quel gran dragone, strappata
from my life with no flag,
dalla mia vita senza bandiere,
no belly,
senza pancia,
no cry.
senza un grido.
Il paese del quadro, con l’alto, esile campanile, “non esiste”, dice Sexton, forse perché non è ciò che la poetessa trova rilevante nel quadro, o forse anche perché nel panorama reale il paese non c’è, essendo un’invenzione di Van Gogh. Comunque il gruppo di case silenziose non è importante, quello che conta sono gli altri elementi del dipinto, a cominciare dal cipresso sulla destra che diventa, nei versi, i capelli di una donna affogata, trasportati nella corrente, che qui si identifica col cielo. Entra così l’idea della morte, suggerita anche dal cipresso che, in molti paesi, è considerato albero dei defunti. Il vero protagonista è però certamente il cielo che ribolle di astri e nuvole: sono undici le stelle, come sono undici quelle che, nella Bibbia, si inchinano a Giuseppe in un sogno premonitore del suo ruolo di guida sulle tribù di Israele, un episodio della Genesi certo noto a Van Gogh, che aveva lavorato come missionario protestante nel sud del Belgio. Nonostante il pittore avesse perso la fede nella religione istituzionale, il desiderio del sacro è presente in queste stelle che sembrano inghiottire chi le guarda per un viaggio verso un’altra realtà. E anche per la poetessa l’invocazione è per le stelle, in un desiderio di annullamento e morte: è così che vuole morire.
Le pennellate nei toni del giallo si inseguono in un moto circolare e ipnotico che rende il quadro vivo, mentre le stelle paiono figlie della luna che le ha create dal suo orbe, pur essendo incatenata al cielo. Ma questi vortici di stelle rimandano anche l’immagine mitologica, presente in molte culture, del serpente che si morde la coda, l'ouroboros, che rappresenta, allo stesso tempo, la forza che distrugge e rigenera sè stessa, il ciclo eterno e perfetto di morte e rinascita. Così il morire in queste spirali sarebbe un rinascere in un’altra dimensione, una dimensione raggiunta attraverso il serpente mitico che ingoia la poetessa come ingoia le stelle, concedendo alla donna di andarsene, come nel quadro di Van Gogh, in un mulinello di pennellate gialle e arancioni che pare risucchino all'interno di una realtà misteriosa.
Sarebbe così un morire senza bandiere, senza gli orpelli di una qualsivoglia ideologia o religione, senza la pancia, senza i timori legati al nostro corpo, alla paura della perdita della nostra parte fisica, e anche, infine, senza un grido, in silenzio.
La morte è una presenza quasi costante nella poesia di Anne Sexton, tanto da farle dire: ”One thing I know about death is that it touches my psyche and mumbles in her magnificent unknown words; it floats within me and wanders through my bones every day.”, “Una cosa che so della morte è che tocca la mia psiche e borbotta le sue magnifiche parole sconosciute; galleggia dentro di me e si muove nelle mie ossa ogni giorno.” L’Amleto di Shakespeare parla della morte come di un paese ignoto, da cui nessun viaggiatore è mai tornato: la consapevolezza di non sapere cosa ci aspetta nell’aldilà rende noi tutti vigliacchi, perché non abbiamo il coraggio di porre fine alle pene della nostra vita col suicidio. Invece per Sexton la morte ha “magnifiche parole”, è una compagna quotidiana che attrae come un incantesimo. La malattia mentale diede certamente vita a questa visione della morte e, tuttavia, questa è veramente sempre con noi, poiché quello che ci sostiene ora, il nostro corpo, è anche ciò che causerà la nostra fine. Vita e morte sono così indissolubilmente legate da non poter concepire l’una senza l’altra; nonostante ciò, facciamo di tutto per dimenticarcene, e, grazie ai successi della medicina, la morte non è più una presenza così costante come era in passato, consentendoci, così, di poterla ignorare ancor di più, di metterla in una stanza della nostra mente che teniamo ben chiusa. Neanche la fede in un promesso aldilà aiuta più tanti di noi, perché il dubbio, compagno difficile ma indispensabile, che nasce dal non accettare ciò che pare vada contro la ragione, è diventato un'altra presenza costante. O forse, semplicemente, preferiamo allontanare il pensiero della morte perché siamo costantemente impegnati a comprendere la vita: a volte ci si sente talmente alla mercé di un destino capriccioso che avvicinarsi all'idea della morte renderebbe la vita insopportabile. E forse sono ancora talmente tante le verità che ci sfuggono, ma che determinano il nostro vivere, che morire diventa davvero incomprensibile: com'è possibile pensare che ci sia una fine ai sentimenti, alle emozioni che fanno di noi creature straordinarie? Ma naturalmente una fine c'è. Indipendentemente dal fatto che crediamo o no in un'eternità non terrena, possiamo solo cercare di migliorare la nostra comprensione della vita: allora forse la morte non sembrerà così buia.