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Elda racconta: 22 dicembre

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Mi sono svegliata con questo 22 che mi ronzava per la testa.

Ormai sono passati 22 anni, ecco che il numero si ripete, non ho una gran voglia di distrarmi lavorando, passo da una finestra all’altra e guardo fuori, la giornata è splendida, ma molto fredda, si fredda come quella di ventidue anni fa.

Sento il campanello che suona per avvisarmi che arriva qualcuno, ma la chiave è sulla porta e lui entra spingendo queste due ruote che da allora sono le sue gambe.

Gabriele

Si lo conoscete tutti è Gabriele il mio terzo figlio, bello con quei lineamenti da uomo maturo, ma regolari e fini allo stesso tempo, con gli occhi scuri a forma di gatto, che luccicano pieni di vita adombrati dalle lunghe ciglia girate all’insù in modo naturale, mi fa un mezzo sorriso fra baffi e barba nera che lo illumina tutto. Le spalle dritte robuste come le braccia.

“Mamma mi fai un te?”

“Ma ben volentieri”.

Anche se so che il te è una scusa per venire a vedere come sto, non parlo mai del suo passato con nessuno e tanto meno con lui, ma stavolta è lui che me ne parla:

“Mamma, oggi è il 22 ed è successo 22 anni fa”.

Ho un grosso nodo in gola, ma lo ricaccio come sempre e faccio riaffiorare qualche ricordo, ma roba da poco. 

Cambiamo discorso e il pomeriggio scorre tranquillamente, parlando dei fratelli e soprattutto degli adorati nipoti.

Prima che tornasse via gli dico:

“Io ringrazio Dio 50 volte al giorno, perché non ti ha portato via allora, ci sei ancora con le tue braccia forti e robuste, con la tua testa e la tua intelligenza unica”.

Forse si commuove, ma essendo duro come me, infila velocemente la porta e se ne va, torna in casa sua. Quella casa progettata e mezzo costruita da lui con tutti i confort che gli servono per vivere nella sua indipendenza. Coi garage officina dove tiene la macchina, la moto a tre ruote, la bicicletta, lo stendingh, dove ci sono sbarre messe nel posto giusto per tenersi in allenamento. Dove può lavorare e inventare cose di ferro tagliarlo arrotolarlo appiattirlo tirandoci fuori qualsiasi cosa o utile o artistica, oppure fare ritratti a mano libera alla donna che ama, si poliedrico come tutti gli artisti.

Ora vi voglio raccontare un po’ di prima di tutto questo. Non aveva scelto la scuola giusta, sono scelte sbagliate è facile sbagliare quando si è molto giovani, ricordo che gli avevo proposto una scuola d’arte a Parma, però doveva adattarsi a vivere in un collegio, quando sentì quella parola l’arte non gli interessava più perciò I.P.S.I.A  a indirizzo elettronico, ma a Castelnovo in mezzo ai suoi amici. Alla fine del terzo anno ottenuta la qualifica arrivò a casa e dalla finestra dalla camera gettò uno per uno i libri giù per il bosco.

Io naturalmente li raccolsi e dissi:

“Molto bene, non vuoi studiare, andrai a lavorare”.

Così fu, ogni lavoro che sceglieva puntualmente lo faceva per un anno e mezzo, poi cambiava, ma non è mai rimasto senza lavoro neanche per un giorno.

Alla fine fu assunto dall’A.G.A.C (gas e acqua) a Reggio Emilia, quando gli chiedevo come si trovava mi rispondeva “Azienda Paradiso”.

Ogni venerdì sera però, a meno che non fosse di turno, partiva con lo zaino in spalla e lo rivedevo la domenica sera.

Era un appassionato di montagna, partiva per scalare, aveva cominciato da piccolo sulle pareti della Pietra.

Non vi sto a raccontare quanti “Pater e Avemarie” mandavo lassù quando tardava a rientrare.

Ormai aveva 32 anni ed era padrone della sua vita, la settimana prima era stato sul monte bianco con un tempo da lupi e il mio pensiero era sempre là “per noi non esisteva il telefonino” poi quando è tornato mi ha detto che non avevano scalato, ma avevano fatto le “rapide” in canoa.

La settimana dopo partirono in quattro tutti amici e conoscitori di vie sulle rocce, andavano in Val Daone la c’erano delle belle pareti da scalare, sì ma anche tanti pericoli nascosti “cenge” pezzi di lastre di ghiaccio in inverno perché c’erano anche molte sorgenti nascoste.

Lui quelle pareti le ha appena toccate, forse appunto una lastra di ghiaccio l’ha tradito ed è volato giù, ha fatto di tutto frenando con la piccozza per evitare il peggio, ma non è stato così, la caduta è stata fermata dopo circa un centinaio di metri da un grosso masso, questo gli ha evitato sì il peggio, ma la spina dorsale si era spezzata.

Gabriele dopo l'incidente

Subito portato in elicottero all’ospedale di Brescia in “rianimazione” dove siamo stati, si perché io l’ho raggiunto subito e non l’ho più lasciato per 35 giorni fin che non è stato in grado di subire l’intervento, gli hanno fissato delle placche al titanio, ma purtroppo il midollo si era spezzato, perciò le sue gambe non avrebbero più ripreso a camminare.

Poi sei mesi a Montecatone, dove ha imparato a gestirsi da solo senza l’aiuto di nessuno. Sono stata con lui non so più quanto tempo, una cosa è certa fin che lui non mi ha mandata via nel vero senso della parola.

E tornato a casa con le ruote, è tornato a lavorare all’A.G.A.C in ufficio fin che non ha raggiunto la pensione.

Vive nel suo appartamento e a forza di cercare, ha incontrato una compagna molto brava e altrettanto bella e intelligente che vive e sa come comportarsi con lui, questi io li chiamo “i miracoli moderni” e nonostante tutto continuo a ringraziare Dio, non so se proprio sono 50 volte al giorno, ma ogni volta che mi sfiora il pensiero di questo mio figlio.   

Elda Zannini

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