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Elda racconta: Bezzecca

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Ecco si avvicina il Natale e io dovrei ricordare questo, invece chissà perché nella mia testa gira il ricordo di una estate bellissima, forse il periodo più bello e spensierato della mia vita.

Per raccontarvi questo però, devo ancora nominare una volta Don Dino Carretti, pensare che non molto tempo fa trovandomi in mezzo a certe persone ho detto:

“Perché poi nessuno parla mai di questo prete che era sceso giù dalla Pieve per stare in mezzo a voi, ha fatto fare una chiesa al centro del paese, con quell’enorme Cristo (opera di un grande artista castelnovese Giorgio Benevelli) che pare che da un momento all’altro si deva staccare dalla parete e scendere e girare in mezzo a voi.

Si oggi mi ritrovo a parlare di lui.

Avevo finito l’anno di dottrina che mi aveva assegnato e mi trovavo in quel periodo che uno deve pur decidere di cosa fare della sua vita, andavo a imparare a cucire, ma non ne ero molto convinta.

Un giorno questo Arciprete, mi fece sapere, per mezzo di mio fratello che voleva parlarmi.

Andai subito e con mia grande sorpresa mi chiese se volevo andare per tutto il mese di luglio in montagna sulle Alpi.

Una specie di ritiro per ragazze della mia età organizzato dalla Diocesi di Reggio, una rappresentante per ogni parrocchia. Mi disse anche che c’era una somma irrisoria da spendere, ma qui vedendo la mia perplessità (i soldi in casa mia non abbondavano, ogni mese arrivava la retta “salata” del seminario dove studiava mio fratello ci pensava lui a ripulirci le tasche). Don Dino mi guardò 

poi si mise a scrivere e mi disse che avrebbe pensato lui alla spesa

e aggiunse :

“Tu pensa a portare un chilo di zucchero e uno di farina”.

Santo prete, Lui non sapeva il bene che mi faceva, ogni volta che passo vicino alla sua tomba chiedo a Dio di ricompensarlo.

Mi apprestai a partire per questa nuova avventura con in tasca solo i soldi per il biglietto della corriera che doveva portarmi a Reggio e quelli per il ritorno. 

 Intanto mi avevano detto che dovevo prendermi cura di una ragazzina di Garfagnolo una certa Mariarosa più giovane di me e credo che fosse il primo viaggio che faceva da sola, i genitori me l’affidarono fiduciosi.

Partimmo al mattino presto col primo pullman di linea, dovevamo trovarci a Reggio in via Ferrari Bonini prima delle nove, ero abbastanza pratica della città, ma un po’di ansia ce l’avevo.

Arrivammo giusto in tempo per salire su un altro pullman, naturalmente più nuovo e più veloce del primo.

Ci trovammo in mezzo a una trentina di ragazzine sconosciute, poi tre signorine più anziane e un prete “Don Sereno Grassi” che stavano tribolando per organizzare tutto nel miglior modo possibile ascoltando le raccomandazioni dei parenti che avevano accompagnato ste ragazzine.

Il viaggio non mi sembrò poi così lungo, arrivammo a destinazione nel primo pomeriggio.

Eravamo a Bezzecca, bellissimo e ridente paese vicino al lago di Ledro e contornato da montagne altissime, il Cadria e il Picchea che potevano benissimo fare invidia al nostro Ventasso e alla Nuda del Cerreto, non parlo della Pietra, perché lei e un esemplare unico.

Ci divisero in due camerate, in ognuna un quindicina di ragazzine senza nessun problema, allegre spensierate, subito feci amicizia con tutte ma in special modo con Rosangela mia vicina di letto, lei arrivava da San Polo, e Mirka di San Martino in Rio, poi Egle di Ligonchio, poi una di Santonio di Villaminozzo un’altra che arrivava da un paesino vicino alla Gatta, Lusignana e altre che mi chiedevano, volevano sapere e io non ricordo più i loro nomi

L’assistente del nostro gruppo era una professoressa, Amaini Raffaella di Fosdondo di Correggio, ragazza meravigliosa cercava di essere severa, ma poi le scappava da ridere.

Le giornate scorrevano serene, messa al mattino con relativo sermone, poi colazione e lunghissime passeggiate in montagna, nelle abetaie o al lago, con tappe e relativi insegnamenti riguardanti la Bibbia e il Vangelo.

Sempre tutte e trenta insieme, naturalmente c’erano anche due cittadine “di Reggio centro” che si tenevano un po’ in disparte, una faceva parte degli “scout” e si dava arie di gran conoscitrice della montagna (voleva insegnare ai gatti a rampare).

Se io mi arrampicavo su per una “riva” per cogliere qualche Stella Alpina (allora si poteva fare) lei subito mi superava e andava più in alto, così l’accompagnatrice ci richiamava e ci faceva scendere.

Se io facevo una corsa attorno al lago lei subito mi superava in velocità, allora io non accettavo la sfida e facevo dietro front, non mi sembrava una provocazione, erano cose da persone immature.

Insomma un po’ di rivalità fra montanara e cittadina, ma niente di che.

Al ritorno da queste passeggiate trovavamo ad aspettarci Don Sereno, pronto per le confessioni o i vari consigli che poteva dare e il prete di lassù, che alle volte teneva nascosto dietro la schiena un mazzo di ortiche, che poi velocemente le usava per fare una carezza sulle gambe di quelle che avevano sfoggiato i pantaloncini, allora era tutto un fuggi, fuggi.

Come non ricordare i cori a più voci, di queste ragazze, musiche con parole cambiate, recite fatte nel cortile di sera dove arrivava tutta la gente del paese ad ascoltarci. Spirito di adattamento, io mi rifiutavo di cantare da sola sapevo di essere stonata e loro che introducevano una parte parlata per me, per non tenermi fuori.

Dopo un mese tornai a casa cambiata, riposata, serena avevo anche preso tre chili che mi mancavano, così anche il mio fisico aveva beneficiato da questa vacanza. Continuai per un po’ a recarmi in Via Ferrari Bonini sede dell’Azione Cattolica, dove continuavamo ad incontrarci e ad apprendere, ma poi durante uno dei miei viaggi in città fui colpita da un fulmine, macchè, quella era stata una saetta che mi aveva annientata e mi aveva fatto capire cosa dovevo fare da grande “LA MAMMA” e vi dirò non mi sono mai pentita di questa bellissima scelta.

Don Dino volle conoscere il fautore di questa saetta, celebrò il nostro matrimonio e battezzò i nostri tre figli, quando venne a mancare io piansi, come se ne fosse andato uno della mia famiglia.  

Elda Zannini

Mando tre foto, chissà che qualcuna non si riconosca.