I passi erano sorrisi veri e schietti, le parole calde ed avvolgenti, mai vuote, ed era in questo contesto di paese che cresceva bene un bambino di 10 anni.
Tra le lezioni di quinta elementare, i compiti a casa, un pezzo di focaccia e i giochi all’aria aperta, cominciava a farsi sentire il desiderio di scoprire l’altro sesso attraverso l’esplorazione del proprio corpo. L’indagine fantasticava il pensiero che diventava sempre più frequente, mentre le gambe si allungavano nella crescita e i pantaloni si accorciavano giorno dopo giorno.
Il dente del giudizio non era ancora spuntato, ma le piccole malefatte non turbavano la buona coscienza della famiglia, poiché erano segno di salute virtuosa e vitalità crescente. Respirare l’aria pura dei monti significava ossigenare non solo il sangue, ma gli incontri, le amicizie, le relazioni con la gente del paese, fino a che il respiro non si faceva corto sulla soglia del confessionale la domenica mattina prima della santa messa.
Sotto il grande Crocifisso, appeso sotto la cupola del perdono, penitenze mortificanti del parroco che tuonavano nel silenzio dell’anima demolendo il patrimonio unico ed inestimabile del bambino: la ricchezza della fantasia!
Inginocchiato sulla panca delle “tre Ave Maria” le promesse del “non lo faccio più…!” venivano costantemente disattese con un senso di ribellione.
Dall’ultima casa dell’abitato di Ligonchio il sentiero di sassi e sterpi confluiva sulla via maestra del paese ed io correvo, correvo verso la latteria del borgo di sopra con il pentolino di latta in mano per farlo riempire di latte fresco ed ogni volta le mie parole erano le stesse: “Paga la mamma a fine mese, quando papà ‘tira’ la busta…” e la risposta gentile e comprensiva di donna Alda era sempre quella: “Dì alla mamma di non preoccuparsi e portale i miei saluti…”.
Il paese come una grande famiglia! I soldi non appartenevano ai bambini, erano “cose” da grandi, come grandi erano la fiducia e la certezza della bottegaia di poterli riscuotere.
La vecchiezza trasuda ricordi, irresistibile la voce del richiamo, profumi d’infanzia e adolescenza, volti ammaliatori bizzarramente carezzevoli nella mente come fantasmi di sogni perduti.
Alberto Bottazzi