Quando vengono a trovarmi due o tre amiche per stare un po’ in compagnia e fare quattro chiacchiere, secondo voi di cosa parliamo? Naturalmente del passato, una dice:
“Sapete, mi si è scucita la tomaia di una scarpa, ma a Castelnovo non esiste più uno “scarpolino”, dovrò buttarla, peccato perché quelle scarpe me le godevo tanto”.
Qui abbiamo cominciato ad elencare tutti gli “scarpolini” che c’erano una volta, cominciando da Bagnolo.
Il primo era Tullio Longagnani che si spostava appoggiato a un bastone, perché zoppicava, abitava di fianco al Polivalente, la stessa strada che ora porta alle “Camere Ardenti”. Lui era molto bravo ad aggiustare gli stivali o i gambali dei cacciatori
Poi sempre a Bagnolo, in cima alla scaletta della casa ora abitata dalla signora Monica Giovanelli, ci trovavi Mario Saccaggi, bravissimo a fare scarpe nuove e qui mi soffermo, voglio raccontarvi un episodio capitatomi nel dopo guerra, avevo sei o sette anni.
Mia madre mi aveva fatto fare da questo Mario un paio di scarpe “ma tutte di stoffa” il cuoio era troppo caro, scarpette di grossa tela bianca coi suoi bei lacci incrociati negli occhielli che luccicavano che a me sembravano d’argento e leggerissime, perché anche la suola era stata fatta con tanti strati di stoffa ben pressata, rifinita da una leggera suoletta di gomma.
Così me le metto e mentre i miei vanno a lavorare la terra nel campo che avevamo a “Cà Giarino”, io arrivo fino a Carnola dove avevo i miei cugini e tante amichette.
A Carnola in quel periodo avevano eretto un grande palco di legno esagonale con copertura, credo che fosse rimasto lì dopo una festa, o forse dovevano farla questo non lo ricordo bene, ma c’entrava la liberazione.
Questo palco era gremito di bambini scalzi che cantavano, ballavano e si rincorrevano felici.
Una mia “amica”, una delle più furbette del paese mi invita ad andare su, poi guarda le mie scarpe nuove e fa:
“Levati le scarpe che ti diverti di più, lo vedi noi non le abbiamo”.
Difatti in un angolo c’era un mucchio di zoccoli e ciabatte buttati alla rinfusa, io mi lascio convincere, mi levo le mie e le metto ben allineate lontane dalle altre. Ricordo che ogni tanto ci davo un’occhiata, ma poi presa nel vortice del gioco fra salti e balli fino allo sfinimento, me le sono scordate.
Le mie scarpe nuove non le trovo più, come non trovo più l’amica che aveva insistito per farmele togliere e dovetti tornare a casa a piedi scalzi, piangente delusa e mortificata.
E mia madre:
“Ti fidi di tutti!... Sei come tua sorella anche lei si fidava delle amiche, che alla fine l’hanno fregata, ma loro ci sono ancora e lei non c’è più”.
Era ancora quel periodo che lei cercava una risposta al suo dolore.
Dopo una ramanzina del genere potete immaginarvi come mi sentivo, perciò mi rimisi i miei vecchi scarponi invernali con una fila di borchie sotto e me li allacciai belli stretti, ma non riuscivo a smettere di piangere e tirare su col naso. Allora mio fratello Nilo mi metteva un braccio sulle spalle e per tirarmi su di morale imitava la mamma:
“Non ti devi fidare di nessuno, neanche del tuo (cu…) sedere alle volte credi che sia una trombetta, invece ti caghi addosso”.
Questo proverbio pronunciato in dialetto mi fece ridere.
Le scarpe nuove bianche di pelle me le hanno ricomprate, ma due o tre anni dopo quando ho fatto la prima comunione (avete capito perché ora facciamo buon uso di tutto e ce lo facciamo durare una vita?)
Bene torniamo a parlare degli “scarpolini”, nella Sarzassa vi trovavi Elettrico, poi più avanti non scordiamoci il famoso Nando che troviamo ancora sotto al grattacelo dove assieme al figlio ha aperto un bel negozio di scarpe lui però ha cominciato aggiustando scarpe, ricordo ancora con piacere un paio di scarponcini invernali con la suola di para che mi aveva fatto quando ero ancora ragazzina. Ciao Nando ti abbraccio di cuore.
Continuiamo a parlare di Castelnovo di una volta, perciò i fratelli Merli e mi dicono un certo Mauro sempre in via Della Scimmia, poi Pinna un sardo che vendeva costruiva e aggiustava zoccoli, Silvi Learco all’inizio di via del Castello e Dario Bacchi e forse ne abbiamo dimenticato qualcuno.
Ora vi voglio accennare anche gli ultimi arrivati, ma anche loro hanno già smesso, di fronte alle poste c’era un calzolaio, ora non so, ma penso che non ci sia più vendono solo scarpe. Poi uno che è venuto a mancare da poco Boni Giuseppe che ha esercitato il suo mestiere per parecchi anni sotto al grattacelo anche lui molto bravo e gentilissimo coi clienti.
Adesso che vi ho parlato degli “scarpolini” vi voglio dire due parole sui sarti e le sartine del paese, naturalmente del paese che ho conosciuto io che partiva da Bagnolo e arrivava fino al Buio.
Non erano le sarte che ci sono adesso e fanno soltanto aggiustature, ma vere e proprie sarte che confezionavano vestiti su misura copiati dai vari “figurini” che si compravano dal giornalaio.
Anche di quelle ce n’erano tantissime vi racconto solo di quelle di Bagnolo e del centro tralascio le altre.
La prima, perché all’inizio del paese, era la Nella Rubini lei abitava alla Montadella, voglio ricordare che è venuta a mancare poco tempo fa alla bella età di 100 anni forse uno in più, poi a Bagnolo le sorelle Violi, la Miranda e la Marina, anche queste molto brave e precise, ma appartenevano all’ultima generazione di sartine le ultime due, erano andate a perfezionarsi a Reggio. Verso Monte Bagnolo l’Odette e la Ghinoi, alla Sarzassa la Noemi moglie di Barbieri poi sua sorella l’Evangelina che con le figlie Marta e Ida facevano le camiciaie. La Nina Mareggini che era stata anche una maestra, prima che uscissero le diplomate, molto brava, tante ragazze della nostra campagna hanno imparato nel suo laboratorio che poi era passato in mano a sua nipote Luisa. Non scordiamoci la famosa sartoria appartenente ai fratelli Giovanelli, dove ho trovato lavoro anch’io ero scesa solo da due rampe di scale perché prima per imparare ero stata dalla Graziella Rocchi che abitava al piano di sopra con una clientela molto elegante, da lei arrivavano le laureate e le diplomate del paese e per me è stata un’ottima insegnante, paziente, buona, gentile, allegra, da lei ho passato tre bellissimi anni. Poi sapete com’è i Giovanelli mi avevano messo in regola con tanto di stipendio. La loro sartoria era diretta da Emilio Sironi, bravissimo sarto e con lui non si scherzava, molto severo con quelle sei o sette sartine che lavoravano sotto la sua sorveglianza, ma quando sorrideva gli si accendeva sul viso una luce che lo cambiava completamente. Era nato con una malformazione all’anca perciò zoppicava ma un busto e un viso maschio molto bello.
Torniamo alle sartine, alla Paola mamma della Teresa Arlotti, la Concetta poi diventata signora Goldoni, non posso scordarmi la Carla Monelli camiciaia, queste che confezionavano camice da uomo, facevano un lavoro raffinato diciamo che era come ricamassero con tutte quelle asole fatte a mano con ago e filo.
Non so dirvi quante ne ho scordate di queste sarte che vestivano il paese e dintorni quando ancora non esistevano le confezioni.
Una parola anche sulle sartorie da uomo, non c’era solo quella di Emilio Sironi, ma Giovanelli Nello, Arlotti, Reggioni, Vincenzo Ferrari e mi va di ricordare anche Vittorio Micheli che poi ha trovato lavoro in Svizzera.
Poi voglio parlare anche di una rammendatrice favolosa per i suoi rattoppi invisibili non li trovavi neanche se usavi la lente d’ingrandimento da lei affluivano quei clienti che avevano bisogno di un rammendo invisibile, magari per un danno su un indumento nuovo, si chiamava Carolina aveva sposato il meccanico Silvi “Martel”, quando io l’ho conosciuta abitava anche lei nel palazzo dove c’era il negozio dei Giovanelli e veniva spesso a fare quattro chiacchiere con la Graziella Rocchi e sua madre Kate e la Giovanna.
Come vedete tutti mestieri che non esistono più, se abbiamo bisogno di accorciare dei pantaloni o qualsiasi rimedio dobbiamo rivolgerci a questi bravi ragazzi di origine cinese che sono precisi e veloci
Poi se qualche nostro ragazzo volesse provare ad aggiustare le scarpe, (capisco benissimo che con le tasse che devono pagare gli artigiani adesso) anche se qualcuno avesse l’idea se la deve far passare subito, però sarebbe un grande aiuto, non possiamo buttare le scarpe nuove, perché nessuno ti rifà il tacco smangiato.
Elda Zannini
Grazie Elda, racconto incantevole come sempre! Grazie Mille!
Mi associo a questo meritato elogio e plauso del lavoro artigianale, le cui diverse branche hanno avuto a lungo una funzione molto importante per il Belpaese, dandogli altresì lustro e prestigio, e nel sentir parlare delle “tasse che devono pagare gli artigiani adesso”, come si legge sul finale di queste righe, mi è venuto alla mente quanto ho ascoltato solo pochi giorni fa conversando con un dipendente del settore privato, il quale non era molto bendisposto verso le attività autonome, ossia le cosiddette “partite IVA”, sospettabili a suo dire di praticare non di rado l’elusione fiscale, diversamente da chi è invece a stipendio, o reddito fisso.
Io mi auguro che il pensiero di quel mio interlocutore sia abbastanza isolato, perché sarebbe verosimilmente un fattore “delegittimante”, e quindi ulteriormente dissuasivo, per un giovane, nel caso qualche “nostro ragazzo” volesse intraprendere uno dei mestieri qui menzionati, o altri similari, di cui cominciamo ad avvertire la mancanza, dopo averne sottovalutato il ruolo nel corso di decenni, tanto da scoraggiare chi poteva eventualmente darvi continuità generazionale, ed ora ci troviamo semmai a versare qualche tardiva “lacrima di coccodrillo”, un po’ come riguardo a quei negozi o esercizi di vicinato che non abbiamo saputo conservare.
P.B. 10.11.2023