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LE VOCI DELLA POESIA

Follia d’amore

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Quanto può essere ingannevole l’amore? Ovvero, è l’amore che proviamo sempre reale? E quanto e come ci definisce? Alla poetessa milanese Alda Merini (1931-2009) bastano otto versi per riassumere in poesia la sua vita complicata e sofferta:

Amai teneramente, 1985

Amai teneramente dei dolcissimi amanti                                            

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome

e fui soltanto una isterica.

Alda Merini

Questo amore per “dolcissimi amanti” può essere l’amore per la poesia, i poeti e le poetesse del passato, sui cui versi Merini costruisce i suoi come un ragno tesse la tela, una tela che imprigiona la stessa autrice, che non può sfuggire al destino di scrivere, al destino di tessere con le parole, diventandone “preda”. La sua anima ha un’ identità sfaccettata, “santa” e “meretrice” allo stesso tempo, ma finì con l’essere semplicemente chiamata “isterica”, pazza. Tuttavia, i versi descrivono bene anche una donna innamorata che perde il contatto con la realtà e scivola nella follia, una follia testimoniata dagli altri, da tutti quelli che non sanno comprendere, o temono, le profondità verso cui certe sensazioni fanno precipitare. Il mistero di tanti animi femminili, avvolti nelle tele di ragno di una percezione sensibilissima e  autodistruttiva, lo si chiamava ‘isterico’, col richiamo all’utero come organo preminentemente femminile, e, come tale, rappresentativo di quanto possa essere incomprensibile il femmineo al maschio, che, così, trova soluzione all’enigma con una definizione semplicistica e  sbrigativa.

La poetessa americana Sylvia Plath (1932-1963), che come Merini visse la sofferenza della malattia mentale, dedica alla follia d’amore una villanella, una composizione poetica di diciannove versi, divisi in cinque terzine ed una quartina finale con due ritornelli, tipica della poesia popolare. La scelta di una forma simile alla ballata richiama tutte le innumerevoli poesie d’amore e pazzia che hanno attraversato la storia di uomini e donne in un tema comune e ben noto: è una vicenda  tanto conosciuta da poter risultare banale. Ma con Plath, le vicissitudini di una donna abbandonata scendono nel profondo, e mettono in discussione la realtà stessa delle nostre percezioni:

Mad Girl's Love Song, 1953

Canzone d’amore della ragazza folle

 

“I shut my eyes and all the world drops dead

“Chiudo gli occhi e tutto il mondo muore all’improvviso

I lift my lids and all is born again.

Sollevo le palpebre e tutto torna a vita.

(I think I made you up inside my head.)”

(Penso di averti creato io stessa nella mia testa)”

“The stars go waltzing out in blue and red,

“Le stelle danzano in rosso e blu,

And arbitrary blackness gallops in:

E un’oscurità imprevista arriva al galoppo:

I shut my eyes and all the world drops dead.”

Chiudo gli occhi e tutto il mondo muore all’improvviso.”

 

“I dreamed that you bewitched me into bed

“Ho sognato che mi avevi stregata fino a portarmi nel tuo letto

And sung me moon-struck, kissed me quite insane.

E avevi cantato fino a confondermi, mi avevi baciato fino a rendermi folle.

(I think I made you up inside my head.)”

(Penso di averti creato io stessa nella mia testa)”

 

“God topples from the sky, hell’s fires fade:

“Dio cade dal cielo, i fuochi dell’inferno svaniscono:

Exit seraphim and Satan’s men:

I serafini e i servi di Satana se ne vanno:

I shut my eyes and all the world drops dead.

Chiudo gli occhi e tutto il mondo muore all’improvviso.”

 

“I fancied you’d return the way you said,

“Ho immaginato che saresti tornato come avevi detto,

But I grow old and I forget your name.

Ma divento vecchia e dimentico il tuo nome.

(I think I made you up inside my head.)”

(Penso di averti creato io stessa nella mia testa)”

 

I should have loved a thunderbird instead;

Avrei dovuto invece innamorarmi di un uccello di tuono;

At least when spring comes they roar back again.

Almeno all’arrivo della primavera tornano ruggendo.

I shut my eyes and all the world drops dead.

Chiudo gli occhi e tutto il mondo muore all’improvviso.”

(I think I made you up inside my head.)”

(Penso di averti creato io stessa nella mia testa)”

 

La replica cantilenante di frasi e vocaboli ci porta in un’atmosfera di follia ripetitiva, dove le stesse parole, reiterate una dopo l’altra, creano un ritmo che la mente disturbata segue per ancorarsi a qualcosa di certo. Chiudere gli occhi non mette solo in dubbio l’esistenza dell’amore, ma l’esistenza stessa del mondo: la realtà apparentemente stabile vacilla e scompare del tutto, fino a cessare di essere, con il semplice abbassare delle palpebre. Qual è la realtà? Forse che la creiamo noi stessi col pensiero? O esiste comunque fuori da noi? L’amante vive davvero, o è solo nella nostra testa? Non è forse vero che spesso pensiamo di conoscere chi amiamo, mentre, in effetti, la loro natura è solo una creazione del nostro desiderio? 

Sylvia Plath

La difficoltà nel percepire ciò che è reale è sottolineata dal valzer delle stelle in colori, il blu e il rosso, non usualmente associati con gli astri; l’oscurità, poi, improvvisamente, con una totale assenza di luce, annulla tutti i colori.  Anche il ricordo dei momenti d’amore diventa un sogno, e, per questo, inaffidabile; i baci e le carezze sono un preludio alla follia. L'intero universo, con Dio che cade dal cielo e i fuochi dell’inferno che si spengono, a dipingere un mondo in cui la verità comunemente accettata è capovolta, muta. Come in tutte le storie d’amore, l'innamorata spera nel ritorno dell’amato, ma il tempo passa, la donna invecchia e i ricordi sbiadiscono talmente da non ricordare più nemmeno il nome della persona amata: quest’amore c’è stato o è tutta un’illusione? Forse è stato proprio un errore, sarebbe stato meglio innamorarsi di un animale mitico come l’uccello di tuono degli Indiani d’America, che crea tuoni con le ali e fulmini con gli occhi; quest’uccello sarebbe certamente ritornato, come tornano i temporali a primavera, più sicuro e affidabile di un amore che sfugge. La verità del mito è più reale di ciò che si crede di ricordare, le creazioni della mente più vere del mondo esterno. E’ questa confusione di realtà diverse che fa sì che la follia spaventi tanto, che la fa diventare quasi un tabù, perché confonde le certezze elementari del nostro essere umani, aprendo la porta a misteri dello spirito che hanno la forza di distruggerci: si preferisce, allora, marchiare la pazzia come difetto del carattere, come evenienza soggettiva anziché potenzialmente oggettiva, piuttosto che accettare che ci sia quella porta che si potrebbe aprire per tutti e tutte verso l’ignoto della psiche. 

Ma per Alda Merini, come per Sylvia Plath, quella porta si aprì:

 

Ho conosciuto in te le meraviglie, 1983

Ho conosciuto in te le meraviglie

meraviglie d’amore sì scoperte

che parevano a me delle conchiglie

ove odoravo il mare e le deserte

spiagge corrive e lì dentro l’amore

mi son persa come alla bufera

sempre tenendo fermo questo cuore

che (ben sapevo) amava una chimera.

Le incredibili meraviglie dell’amore sono come conchiglie, armoniose all’esterno ed enigmatiche all’interno, metafora della nostra anima,  che racchiudono, tenute nel palmo della mano, come scrigni preziosi, il mare e il suo profumo, le spiagge solitarie intrise di onde, e anche l’amore, perduto nelle volute intricate e senza fine del guscio impenetrabile. Nella bufera della follia la mente si perde, ma il nostro cuore resta saldo, certo che l’amore è un sostegno nei momenti di oscurità, anche quando intuiamo che è solo un sogno. 

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