Ecco, ora è detta Via Vittorio Veneto, ma noi vecchi continuiamo a chiamarla col vecchio nome cioè Via della Scimmia, questo è il nome che veniva dato alla via principale del vecchio Castelnovo. Parlo dei vecchi tempi passati, quando via Roma ancora non esisteva e il centro del paese si risolveva con le due piccole piazzette che ancora ci sono, ma passano inosservate, come piazza D’Armi e quella di sopra, piazza dell’unità, che ancora ai miei tempi chiamavano “piazza Daloli”, perché lì c’era il famoso “Caffè Daloli” dal nome dei proprietari.
Lì poi c’era il grande negozio di stoffe “Cagni” dove avevano trovato lavoro molti Castelnovini e poi ricordo anche un negozio di scarpe, forse Delio ed Giara e quello delle sorelle Crovi con la loro preziosa biancheria da letto.
Da quest’ultima piazzetta passava la strada principale che attraversava tutto il centro di Castelnovo vecchio, fino al Buio dove finiva davanti al negozietto di mercerie della altrettanto famosa Caterina e questa strada veniva chiamata “Via della Scimmia”,
Ultimamente ho letto che certi “studiosi” del nostro passato hanno interpretato questo nome alla moderna cioè “prendere la scimmia, ubriacarsi”.
D’accordo, in quella stradina c’erano alcune osterie, ma che io sappia e non ho mai sentito dire in vita mia che uno che beveva, aveva preso la scimmia.
Come si diceva ai miei tempi poteva aver preso la “balla” o un “balùn” da non reggersi in piedi oppure “beriagh trunch”, ma mai e poi mai io personalmente ho sentito parlare di scimmia. Però devo anche ammettere che io non abitavo in centro.
Sì c’era qualche osteria dove il lunedì, giorno di mercato si recavano i contadini o i mercanti di bestie, per stipulare i loro contratti e pagamenti fra un bicchiere e l’altro, ma dal momento che erano persone molto furbe e ci tenevano al loro portafoglio, cercavano di restare lucidi e stavano ben attenti a non ubriacarsi.
Certo d’accordo qualcuno l’avrà fatto come abitualmente purtroppo lo fanno anche i ragazzi d’oggi e se fosse solo alcool potremmo ringraziare Dio.
Continuo a insistere Via della Scimmia non si chiamava così per le sbornie, ecco allora si sarebbe chiamata “via delle Balle o via della Sbornia o via di Beriagh”
Io penso che avesse ragione mia madre quando mi raccontava che un marinaio aveva sposato una di queste parti che faceva la cameriera da dei signori a Genova e quando si erano trasferiti qui lui si era portato la sua scimmietta che aveva raccolto, durante uno dei suoi lunghi viaggi in terre lontane.
Questa scimmietta stava sempre seduta sul davanzale della finestra posta un po’in alto e i bambini si divertivano a buttarle dei sassolini che poi lei glieli rilanciava.
Così cominciarono a dire andiamo nella via dove c’è la scimmia e la strada prese quel nome, questo me lo ha confermato anche la mia coetanea Mirella, aggiungendo che nei giorni di fiera o di mercato, questo signore la portava in piazza per far vedere cosa sapeva fare così racimolava qualche moneta.
Ora però abituiamoci a dire Via Vittorio Veneto, così ci scorderemo quello che hanno interpretato quel nome in un modo e quello che vi ho raccontato io in modo diverso.
Comunque Scimmia o no, quella stradina mantiene il suo fascino, da ambe le parti sorgono ancora le case tutte appiccicate una all’altra come allora, certe senz’altro hanno cambiato i portoncini, li trovi verniciati di fresco, con le maniglie di ottone lucide e splendenti e l’interno non sarà rimasto a quei tempi là cioè senza bagno e senza scarico per l’acqua, si usavano gli orinali , alla buona detti “bucal” che si andavano a vuotare nella fossa comune o dando una furtiva occhiata si vuotavano dalla finestra e magari qualche sfortunato evitava la doccia con un balzo. Poi per gli altri bisogni si recavano quasi tutti sulle pendici di Monte Castello. Peccato che siano venuti a mancare i negozietti, come quello di Manfredini che vendeva lampadine, il vino da Niso “ed pastasùta”, la merceria della Lucia, gli alimentari di Probo che aveva un negozietto a sinistra e uno a destra della strada, poi Alba la magliaia, i fratelli Merli calzolai, Pinna che vendeva zoccoli, I Moglia con le loro stoffe, le sorelle Fabbiani che vendevano gli “scoss” cioè piatti scodelle e bicchieri, alla fine della strada una a destra e l’altra a sinistra, poi i Comastri falegnami e tanti altri che non ricordo.
Poi non scordiamoci quel posto là in cima dove a sinistra si va nella piazza, lì tutti i pomeriggi, proprio davanti alla casa della signora Emma, si radunavano quasi tutte le signore della via, che si portavano la loro seggiolina, più o meno tutte della stessa età, perciò coi capelli grigi, da lì è nato questo nome “Al Cantùn Grisùn”, che è poi il nome di un cantone Svizzero, perciò chi ha dato il nome a questo posto o aveva studiato o aveva viaggiato.
Queste donne si riunivano lì giornalmente quando era bel tempo, per scaldarsi al sole e raccontare fatti e misfatti del paese conditi da sane risate mentre le loro mani continuavano a muovere i ferri da calza. Stavano lì davanti alla casa della signora Emma moglie di Maranghin e non scordiamoci che lì vicino abitava anche la signora Zaira moglie di Gigetto che non disdegnava la compagnia.
Ora mi soffermo un po’ su questi due personaggi.
“Gigetto” molto conosciuto e benvoluto in paese era diventato l’orologio degli abitanti di Via della Scimmia, che di orologi non ne possedevano.
Ogni mattina alle sei in punto usciva di casa, poi si recava al garage delle corriere dove era parcheggiata la “diretta” essendo lui un autista di questa corriera che puntualissima alle sei e trenta partiva per Reggio.
Perciò alle sei in punto usciva di casa e percorreva tutta la via, essendo leggermente claudicante il “tic-tac” del suo passo avvertiva la gente che era ora di alzarsi:
“A pàsa Gigeto l‘è ura da star seò da lèt”.
Maranghin invece portava il soprannome che avevano dato a questi Fabbiani da sempre. Era gente benestante, credo che fosse uno dei primi o forse addirittura il primo geometra del paese.
Come vi dicevo, Maranghin derivava da “marengo”, moneta d’oro coniata verso la fine dell’ottocento ai tempi Napoleonici, difatti sul davanti c’era l’effige di Napoleone e sul retro lo stemma Sabaudo, perciò possederne significava essere ricchi e magari ereditarne il “nome”.
Ora però, voglio farvi conoscere ciò che quest’altro signore pensava del nostro paese.
1° pretore del regno d’Italia a Castelnuovo Monti, trasferito d’ufficio ad altra sede:
1885
Un gruppo di caserme affumicate,
cinte di selve e di rovine intorno
ai piedi di tre monti inabissati
ove non giunge a penetrarvi il giorno.
Brevi strade ritorte e lastricate di sterco
ove hanno ognor soggiorno,
porci, vacche, pecore spolpate
e gente all’umanità vergogna e scanno.
Privo d’uman soccorso questo loco
Pieno sol di malizia e malafede
ogni ben operar resta prescritto
a restringere il tanto, il tutto in poco
orror vizio ignoranza hanno qui sede
Castelnuovo Monti ecco descritto.
Lascio a voi decifrarne la firma, io non ci sono riuscita
Elda Zannini