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LE VOCI DELLA POESIA

Oro caduco

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Sentirsi avvolta dal vento è come moltiplicare all’infinito le sensazioni del corpo, come respirare più pienamente. Avvertire l’aria che muove e circonda fa prendere consapevolezza dell’intensità della natura, immerge in una forza la cui potenza intimidisce e inebria allo stesso tempo. Il poeta inglese John Clare (1793-1864) riempie di vento la poesia ‘Autumn’, ‘Autunno’, e se facciamo attenzione, mentre leggiamo, ci accorgiamo di quante volte, nella poesia, siano ripetuti i suoni f e s, a riprodurre il sibilo dell’aria, tanto che il poeta non si cura della grammatica e, nel primo verso, utilizza qualche s di troppo, così come è intenzionale la doppia l nell’aggettivo ‘fitfull’, che serve a rendere il vento più potente:

               Autumn

               Autunno

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I love the fitfull gusts that shakes

Amo le raffiche capricciose che scuotono

 The casement all the day

    La finestra per tutto il giorno

And from the mossy elm tree takes

E dall’olmo muschioso portano via

 The faded leaf away

    La foglia appassita

Twirling it by the window-pane

Facendola roteare vicino al vetro della finestra

With thousand others down the lane

Con migliaia di altre giù per il vicolo

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I love to see the shaking twig

Amo vedere il ramoscello tremante

 Dance till the shut of eve

    Danzare fino a che la sera si chiude

The sparrow on the cottage rig

Il passero sul tetto del cottage

 Whose chirp would make believe

    Il cui cinguettio farebbe credere

That spring was just now flirting by

Che la primavera scherzasse d’amore proprio ora qui

In summers lap with flowers to lie

Per giacere coi fiori nel grembo dell’estate

      3

I love to see the cottage smoke

Amo vedere il fumo dal cottage

 Curl upwards through the naked trees

    Arricciarsi all'insù attraverso gli alberi nudi 

The pigeons nestled round the coat

I piccioni accoccolarsi attorno alla piccionaia

 On dull November days like these

    In giornate monotone di Novembre come queste

The cock upon the dung-hill crowing

Il gallo che canta sul letamaio

The mill sails on the heath agoing

Il mulino veleggia mosso sulla brughiera

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The feather from the ravens breast

La piuma dal petto del corvo

 Falls on the stubble lea

    Cade sul campo di stoppie

The acorns near the old crows nest

Le ghiande vicino al vecchio nido di cornacchia

 Fall pattering down the tree

    Cadono dall’albero picchiettando

The grunting pigs that wait for all

I maiali che grugniscono e le aspettano 

Scramble and hurry where they fall

Si precipitano in massa dove cadono

John Clare

La poesia crea immagini che si inseguono, a tratteggiare quasi il dipinto di un giorno autunnale. I pensieri di tristezza, tipici della stagione di chiusura, sono allontanati dalle due parole, “I love”, che iniziano tutte le strofe, con eccezione dell’ultima, a indicare l’amore per una stagione ricca di vita. Le foglie sono scosse dagli alberi, per roteare vicino alla finestra da cui le vede il poeta, unendosi le une con le altre in un impeto che sa di vitalità più che di epilogo. I rami tremano, sì, ma questo tremito è una danza e il canto del passero fa presagire più la primavera che l’autunno. I ricci del fumo dal camino rivestono gli alberi nudi di foglie inusuali, i piccioni accoccolati trasmettono conforto e tepore, mentre il gallo se ne sta a cantare sul letamaio, immagine realistica che ci dice che questo atipico poeta romantico, figlio di umili lavoratori, sapeva davvero com’era la vita in campagna. Il mulino sembra veleggiare verso terre lontane e, infine, la piuma del corvo cade dal petto come un dono sul campo che ha regalato le messi, mentre le ghiande si offrono ai maiali che accorrono a nutrirsi. 

E, tuttavia, l’immagine di una stagione ricca e piena non pare completa: il vento che scuote la finestra e i rami rimanda anche tremiti di freddo, l’idea che la primavera sia vicina è un’illusione, il fumo del camino ricorda che la stagione porta a rifugiarsi in casa, i giorni di Novembre sono monotoni, pesanti, il campo di stoppie lo figuriamo desolato, il vecchio nido dell’ultima strofa potrebbe far pensare alla partenza degli uccelli e la parola ‘fall’, ‘cadere’, con la sua aura negativa, è ripetuta ben tre volte, sempre nell’ultima strofa. Ma è l’immagine dei maiali, pur nella sua potente vitalità, che crea anche immagini di rovina: l’affannarsi degli animali in un’abbuffata di ghiande riflette la necessità primordiale di sopravvivere ai tempi avari che la natura sta preparando. 

Questa dualità di abbondanza e mancanza, gioia e dolore, vita e morte era ben presente al poeta americano Robert Frost (1874 –1963), tanto da fargli dire che “Nothing gold can stay”, cioè che niente di ciò che è veramente prezioso ha lunga vita:

Nothing Gold Can Stay, 1923

Niente che sia d’oro rimane

 

Nature’s first green is gold,

Il primo verde della natura è d’oro,

Her hardest hue to hold.

Il suo colore più difficile da conservare.

Her early leaf’s a flower;

La sua prima foglia è un fiore;

But only so an hour.

Ma dura solo un’ora.

Then leaf subsides to leaf.

Poi la foglia lascia il posto ad altra foglia.

So Eden sank to grief,

Così l’Eden affondò nel dolore,

So dawn goes down to day.

Così l’alba si scioglie nel giorno.

Nothing gold can stay.

Niente che sia d’oro rimane.

Robert Frost

Il primo accenno di verde in primavera è prezioso come l’oro, le gemme sono addirittura giallastre, proprio come il metallo più prezioso, ma questo colore dura poco, è un principio di vita ricco e unico che ha un’esistenza brevissima. Nelle piante da frutto, i fiori arrivano prima delle foglie, ma, ancora una volta, questi fiori hanno un tempo breve, poi ogni foglia lascerà il posto ad un’altra foglia, col passare delle stagioni. Neppure il paradiso terrestre riuscì a sfuggire a questa perenne mutabilità che è, contemporaneamente, forza e debolezza, pregio e difetto, come il colore dorato dell’alba che, lentamente ma inesorabilmente, si perde nel dipanarsi del giorno, fino allo scendere della notte. 

Giardino in autunno, Vincent Van Gogh

La nostra essenza è nella trasformazione, nelle gemme che danno il fiore, nella foglia che dà vita ad un’altra foglia, nell’alba che diventa giorno compiuto, nei nostri corpi che cambiano. Ma la trasformazione è dolorosa: non facciamo in tempo a gioire del fiore, che questo è appassito, che l’oro del grano è diventato stoppia. Allora come sconfiggere la  malinconia dell'effimero della bellezza, dell'inconsistenza di ciò che è prezioso? Forse dobbiamo imparare a fare come Clare e vedere la primavera nell’autunno, il vento come portatore di vita e non di distruzione, la contentezza dei maiali che sanno gustare ogni frutto in ogni momento dell’anno, perché se niente di ciò che è oro rimane è pur vero che per ogni oro che muore ce n’è un altro pronto a nascere.