Riceviamo e pubblichiamo
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Pur non esercitandola più da tempo, sono stato a lungo un appassionato della caccia col cane da ferma, ovvero “da punta” come si usa anche dire - simpatizzando per una razza in particolare - che ho iniziato a praticare non appena raggiunta l’età utile per ottenere la relativa “licenza”, e prima ancora, da adolescente, ricordo la gradevole ed estasiata emozione che provavo di fronte alle raffigurazioni degli ambienti e contesti venatori, riportate sulle riviste specializzate del settore.
Conservo ancora vive nella memoria le immagini di un magistrale disegnatore dell’epoca che mi facevano immergere in quella natura, per me magica ed incantevole, fatta di giunchi ed erbe palustri, zone umide e paduli, da dove si levavano in volo anatre o beccaccini, oppure di radure e brughiere, in una con aree boschive come faggeti, querceti, conifere, con la rispettiva avifauna selvatica, e fantasticavo su quando, una volta cresciuto, avrei potuto frequentare anch’io simili luoghi.
Angoli di natura su cui avevo vagheggiato
Quelle suggestioni giovanili hanno in ogni caso lasciato il segno, perché negli anni a seguire, ogniqualvolta mi capitava di visitare posti nuovi, cercavo di potervi scorgere e ritrovare gli angoli di natura su cui, da ragazzo, avevo vagheggiato, anche perché mi davano la confortante idea che l’antropizzazione nel frattempo intervenuta avesse comunque risparmiato zone dove potevano ad es. far tappa gli uccelli migratori, altro fenomeno che mi aveva da sempre affascinato.
Nell’andare a caccia, a me e agli amici con cui al tempo facevo squadra importava abbastanza poco del “carniere”, ma avevamo piuttosto interesse al lavoro svolto dai cani, ossia al loro stile di cerca e di ferma, su cui poi si discorreva e discuteva, tanto che cominciai ad accostarmi, pur se da semplice osservatore, alle “gare cinofile”, prove sul terreno dove non si fa uso del fucile ma volte nondimeno a determinare le attitudini venatorie degli esemplari che vi si cimentano.
Convergenze nella salvaguarda dei nostri ecosistemi
Vi sono tipologie di detti eventi cinofili che richiedono ampie distese di aperta campagna, con buona presenza di selvaggina, e tra loro quanto più possibile contigue e similari, onde dar modo ai concorrenti, singolarmente o in coppia - e che sono talora in buon numero, quando non elevato - di poter avere il proprio campo di prova, senza disparità di condizioni tra i soggetti gareggianti, e nel Belpaese più località si prestavano allora ad ospitare questo genere di “competizioni” cinotecniche.
Oggi, da quanto ne so o deduco, diverse di quelle aree non sono più disponibili per l’utilizzo di cui avanti dicevo, e non ne conosco il motivo, ma mi auguro che non c’entri anche qui il “consumo del suolo” che vediamo spesso lamentato in varie circostanze, e che in effetti potrebbe aver semmai riguardato - più o meno significativamente, a seconda del come si guardi la cosa - anche ambiti territoriali molto graditi a cacciatori-cinofili e, verosimilmente, pure a chi si professa amante della natura.
Mi sembrerebbero cioè ravvisabili o intravedibili - né mi trovo da solo a pensarla così - concomitanze tali da far ritenere che il guardare con favore alla caccia porti ad essere di riflesso sensibili ai temi ambientali, nel senso che le due categorie di pensiero possono trovare importanti convergenze nell’appoggiare una linea di salvaguardia verso quei nostri ecosistemi dall’indubbio pregio ambientale, il che dovrebbe forse far riflettere chi ancora persiste nell’auspicare l’abolizione della caccia.
P.B.
Un’accozzaglia di retorica. La caccia e l’ ambiente non hanno nulla da spartire. La prima è, salvo rari casi, una manifestazione primordiale di testosterone, la seconda ne subisce gli effetti. Di Greta Thunberg ne basta una.
Concordo, una retorica veramente insostenibile, ma del resto PB ci ha abituato all’uso di parole dotte per sostenere concetti vecchi e retrogradi.
Dire che chi ama la natura ama l’ambiente è una follia, un po come sostenere che chi ammazza una donna lo fa per amore.
ag
Mai avrei creduto di poter essere associato alla giovane attivista svedese, le cui posizioni ideologiche mi sembrano piuttosto lontane dalle mie, ma ognuno ha la propria visuale delle cose, e può essere semmai così anche per l’Autore del primo commento, senza contare la mia sensazione di vedere in giro “mescolatori di carte” che danno l’idea di voler orientare o “manipolare” il gioco (chissà se anche questa metafora può valere per il primo commentatore).
P.B. 08.10.2023
P.B.
La rassicuro: non vale. La giovinetta crescerà e si farà le ossa. Resto pertanto convinto che gli attuali e goffi “Rambo della domenica” poco hanno a che fare con la natura.
Ma che Belle parole!!!!
Ami l’ambiente? Vuoi salvaguardare le biodiversità?
Allora invece di armarti di una doppietta prendi paletta e secchiello e raccogli (come facciamo molto di noi e ripuliamo da rifiuti tossici e plastiche i campi e boschi).
PS. Molti cacciatori i cani da caccia quando non devono più alla bisogna li abbandonano rinchiusi in baracche o peggio…
I cacciatori continuano a raccontare che sono i primi ad amare la natura, ma come si può fare fuoco contro qualcosa che si ama ? E come è possibile esserne affascinati e distruggerla nello stesso tempo ? Vorrei fare una piccola osservazione, se la natura è un bene collettivo vuol dire che è di tutti, se gli animali quindi sono dell’ intera collettività come si permetto i cacciatori di ammazzarli senza chiedere il permesso al resto della popolazione che ne è comproprietaria ??
Cacciatori o non, a me sembra non debbano sentirsi in colpa quanti ritengono di astenersi dall’andare a ripulire campi e boschi, anche perché potrebbero avere l’impressione di trovarsi di fronte ad un “pozzo senza fondo”, ossia a qualcosa da svuotare e che tuttavia torna a riempirsi in continuazione (come vediamo succedere di norma o quasi).
Il persistente ripetersi dell’abbandono molto “disinvolto” dei rifiuti, come possiamo registrare osservando il ciglio delle nostre strade, non è certamente di facile soluzione, ma dovremmo anche chiederci se non sia un po’ figlio del permissivismo che ha per anni aleggiato nel Belpaese, e verso cui poteva forse tentarsi un qualche contenimento.
Visto poi che si richiama di nuovo la giovane attivista svedese, mi pare che le tematiche da lei affrontate siano quelle del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile, e credo che l’italica caccia abbia poco a vedere con entrambe dette materie (ancorché vi siano suoi aspetti che possono non risultare graditi o incontrare disapprovazione).
P.B. 09.10.2023
P.B.
Leggendo questo suo commento, signor P.B., mi chiedo se il rinunciare agli sforzi ( al far fatica) faccia parte dei suoi ormai celeberrimi “principi non negoziabili”.
Se mai così fosse, tutta la mia simpatia.
Giovanni Annigoni
A proposito degli animali che sono dell’intera comunità – come scrive uno degli ultimi commenti, apparentemente “anticaccia” – pure le spiagge, quali beni demaniali da quel che mi risulta, sono patrimonio della collettività, e potrebbe anche esservi chi avrebbe preferito vederle rimanere tutte allo stato originario, ossia con le dune di sabbia e annessa vegetazione, semmai con presenza di specie degli uccelli rivieraschi, cosiddetti “da ripa”.
Ma poi occorre trovare una mediazione o compromesso tra le diverse esigenze e aspettative, e credo che un’analoga logica potrebbe o dovrebbe valere anche per quanti non vedono di buon occhio l’attività venatoria, ai quali mi verrebbe altresì da chiedere come intenderebbero contenere quelle popolazione di ungulati, vedi ad esempio i cinghiali, che vengono date in continuo aumento (coi relativi effetti sulle coltivazioni) .
Senza contare le nutrie, il cui agire sugli argini, di canali, ecc … , viene dato come nient’affatto desiderabile, a meno di ritenere che la limitazione numerica di dette popolazioni vada lasciata alla sola opera dei predatori, vedi i lupi o gli sciacalli, che allora dovrebbero crescere ulteriormente in numero, una eventualità che però altri non gradiscono ed auspicano affatto (e anche dell’idea di questi ultimi andrebbe tenuto conto).
P.B. 10.10.2023
P.B.