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Attenzione al progetto della Diga di Vetto

Piano tutela acque: l’obiettivo è il risparmio idrico

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Sono quattro gli obiettivi strategici, dieci le linee di azione e 50 gli interventi da mettere in campo per tutelare l’acqua, l’oro bianco che diventerà sempre più importante in futuro.

La Regione Emilia-Romagna ha presentato gli obiettivi e le scelte strategiche generali per l'avvio del Piano di Tutela delle Acque (PTA 2030). L'illustrazione, da parte della vicepresidente e assessore all'Ambiente Irene Priolo, è avvenuta in commissione Territorio, presieduta da Stefano Caliandro.

“Tutto dovrà essere finalizzato - ha scandito Priolo - al mantenimento o al miglioramento sia della quantità sia della buona qualità delle acque. In Emilia-Romagna il piano riguarda 454 corpi idrici come i fiumi, 7 corpi idrici di transizione, 2 marino-costieri, 5 lacustri e 135 sotterranei. Lo stato ecologico è buono. I corpi idrici sotterranei sono all'88%".

Sul buono stato delle acque incidono: alterazione morfologica, regime idrologico e inquinamento. "Una delle principali alterazioni morfologiche - ha affermato Priolo - deriva dalla canalizzazione, sempre maggiore. Il regime idrologico attesta l'acqua che si usa nel territorio. Si pensa che i fiumi debbano essere ricchi di acqua, ma sono importanti anche lo stato di magra e quello di piena. Oggi si parla di deflusso ecologico e non più di minimo vitale. Per l'inquinamento, sia di superficie sia sotterraneo, si consideri che in profondità ci sono nitrati provenienti da reflui e fertilizzanti azotati e questi ultimi vanno diversificati".

In regione si prelevano 1,5 miliardi di metri cubi di acque, di cui 870 milioni per uso irriguo, 350 per quello civile e 180 per uso industriale. Degli 870 milioni, la parte principale proviene da corpi superficiali (fiumi): basti pensare che dal Po si prelevano 1,1 miliardi di metri cubi d'acqua. Per l'uso idropotabile si attinge per lo più dalle falde, anche se il prelievo d'acqua dalla superficie è aumentato: nel 1975 se ne prendeva dal Po il 35%, oggi il 50%. I due terzi dell'acqua per usi civili proviene da falde sotterranee. Si preleva più di quanto di consuma: 2,2 miliardi di metri cubi contro un consumo di 1,5.  E anche lo stato marino costiero è buono. I corpi lacustri sono 7, tutti laghi artificiali a uso plurimo (quelli di Mignano e Molato, nel piacentino, sono i più contaminati, ma l'acqua serve solo per uso irriguo).

Secondo Emiliano Occhi (Lega) "va superato l'insuccesso del precedente Piano del 2005. Il nuovo integra diversi Piani, tiene conto del problema del dissesto idrogeologico e dovrà interagire con le infrastrutture che faremo. Vanno dettagliate meglio le azioni per la resilienza. Ok a colture meno idroesigenti, ma attenzione ai rapporti con il mondo agricolo e le produzioni di eccellenza. Si parla di rinaturalizzare alcuni tratti di pianura, ma queste aree sono state antropizzate anche in ragione della difesa idraulica. Per mantenere la sicurezza idraulica, occorre tornare agli invasi, anche di notevoli dimensioni come la diga di Vetto. Le stime del fabbisogno parlano di un invaso di 35-40 milioni di metri cubi di acqua, ma se si tolgono le acque sotterranee ne vano aggiunti altri 24 milioni. E se si vuole che l'invaso trattenga anche le acque delle alluvioni ne serve uno più grande. Infine, vanno finanziati i piccoli acquedotti rurali dei privati per favorire l'interconnessione e l'efficientamento dei sistemi idrici locali".

Michele Facci (Lega) ha affermato che "il Piano, quando parla di 5 invasi, non menziona quello di Pavana perché è in provincia di Pistoia, anche se ha impatto importante sul nostro territorio. Il Piano è ambizioso. Ci sono molte risorse per il Po, provenienti anche dal ministero, e quindi destinate anche al trasporto fluviale, che va considerato".

Andrea Costa (Pd) ha rilevato che "in Emilia-Romagna sono stati già fatti passi avanti. Tre i percorsi da completare: capacità di risparmiare acqua con il riuso, maggior qualità, miglioramento dello stoccaggio. Dal 2018 a oggi, degli interventi previsti ne è stato realizzato il 70% con 700 milioni di euro per aumentare la capacità irrigua (più 65 milioni di metri cubi). Abbiamo cominciato anni fa. In agricoltura vanno finanziati progetti che a parità di coltivazione richiedano meno acqua. Ad esempio, in Val d'Enza è stato finanziato un progetto smart per cui a parità di produzione si è avuto un risparmio di acqua del 15-20%. Riguardo alla diga di Vetto, serve uno studio sulla portata per gli usi plurimi e non va politicizzata. Va considerata la minore piovosità. Le grandi dighe nel piacentino non sono piene al 100%. Preoccupano, infine, ai finanziamenti, perché, ad esempio, il Piano di prevenzione del rischio chiedeva per il Po interventi per 1,9 miliardi, ma sono stati finanziati solo 19,8 milioni di euro".

Daniele Marchetti (Lega) ha ricordato che "fra gli obiettivi del Piano c'è quello di superare gli insuccessi del passato. Nella struttura tecnica cosa non ha funzionato? Se il Piano si dovrà integrare con altri Piani strategici, quale sarà la regimazione delle acque in Appennino? Sono previsti interventi?".

Marco Mastacchi (Rete Civica) ha sottolineato come "da una parte si dice che piove poco, dall'altra si calcola, per un invaso, la quantità di acqua che servirebbe solo per la laminazione. Un esperto ha detto che si tratta di una quantità esigua per l'uso plurimo, per cui servirebbe un invaso di 100 milioni di metri cubi di acqua o più grande. C'è uno studio di fattibilità che costa 3,2 milioni di euro e questo fa pensare. Non vorrei che fosse realizzato per dimostrare una tesi precostituita e cioè una diga più piccola".

L'assessora Priolo ha replicato che "va bene discutere della diga di Vetto, ma lo studio di fattibilità è del ministero delle Infrastrutture. Non si farà un invaso se non si realizzerà la buona qualità delle acque. Una prima valutazione economica di Vetto era di 350 milioni di euro, ma oggi è salita ad almeno 500 milioni". Dopo aver ricordato che i finanziamenti a tariffa "ci hanno permesso di avere risultati buoni", l'assessora ha sottolineato come per assegnare i fondi del Pnrr occorrerebbe basarsi su indicatori di rischio: "se Ispra dice che la nostra regione è la più fragile per alluvioni, non si possono dare finanziamenti basandosi sui dati della popolazione, perché non serve. Le risorse non sono ben distribuite. La nostra è fra le regioni più sviluppate d'Italia e c'è un uso antropico forte del territorio. Il progetto di rinaturazione del Po prevede la revisione delle fasce ripariali e lo studio di riapertura di alcune lanche".