Ho sempre seguito il mio impulso e bene o male, fino a ora me la sono sempre cavata. Sto facendo il giro sui sentieri che sono attorno a casa mia, mi fermo davanti al cancello posto sul bivio che va alla Pietra. Mi soffermo e guardo questo Sasso che mi sta lì davanti, poi più giù, ecco la casa dell’Irene.
D’impulso apro il cancello e m’incammino, è un po’ che non mi reco da lei, chissà come sta.
La salita non mi sembra tanto faticosa, suono il campanello e aspetto, ed ecco che la porta si apre ed è proprio lei che mi apre e mi abbraccia con tutti i suoi 98 anni compiuti da qualche mese.
“Credevo che non venissi più, mi dicono che sei molto impegnata”.
Mi sorprendo, impegnata io? No, forse sfaticata sì e ignoro queste persone che non girano più, ma hanno tanto bisogno di compagnia:
“Sapete Irene, sono venuta, perché ricordando benissimo ciò che mi avete insegnato quando ero piccola, ora voglio che mi insegnate come si fa ad arrivare quasi a cento anni con una testa come la vostra”.
Lei ride e mi spinge in casa, c’è un’altra signora seduta vicino al tavolo che mi saluta, io non la conosco e anche lei non mi conosce, mi aveva scambiato per un’altra, ma l’Irene conosce tutte e due e mi fa notare che lei ha ben tredici anni più di me.
Parliamo del passato, della nostra Pietra, dei benedettini che allora passavano sempre a piedi, padre Cicchitti il priore, padre Clemente da noi soprannominato don Ciccio per la sua mole, don Luca, fra Remigio e il famoso cieco padre Colombano. Mi racconta aneddoti un po’ seri e altri buffi e qui si diverte così tanto che comincia a ridere così di gusto, che non riesce a finire la storia, che io poi conosco già, perché me l’ha raccontata altre volte.
Poi parla del pascolo degli animali, che lei condivideva coi miei fratelli più grandi e mi racconta anche di mia sorella Vanda. Infine parliamo anche di Rino che conoscevamo e ci ha lasciato da poco e la sua foto è lì sul tavolo e mi racconta che veniva sempre a trovarla assieme a Marta.
Poi vuole offrire:
“Un caffè? Un tè? Un Liquore?”
La ringrazio, io fuori pasto non prendo mai niente e la faccio stare seduta e lei mi fa:
“Vedi, il mio appartamento è tutto qui, qui la cucina (e io guardo il lavello lucido splendente), poi allarga le braccia sul tavolo qui la sala e là la camera da letto”.
E mi addita il lettino, ben ordinato con la coperta a rombi bella tirata e ride forse per non piangere.
Io so che si è ritirata in un’unica stanza per lasciare la camera da letto comoda perché a piano terra, al figlio che da più di due anni è immobilizzato da una grave malattia.
Lei non me ne parla a parte qualche accenno e neanch’io, non voglio tirare fuori discorsi che le farebbero solo male.
Come diceva mia madre in tutte le case c’è una croce e dobbiamo portarla, certo che a noi sembra più leggera quella degli altri.
Ancora le chiedo:
“Irene mi dite come devo fare per sfiorare i cento anni come avete fatto voi?”
Risponde:
“Io non ho male da nessuna parte, alle volte mi si addormenta una mano, ma la massaggio un po’ e passa, la mattina faccio colazione con due fette biscottate e te, a mezzogiorno mezzo piatto di pasta o rossa, o bianca, o verde e la sera caffelatte o minestrone”.
E io aggiungo: non si è mai risparmiata, io ho conosciuto l’Irene che vangava, zappava, seminava e raccoglieva, mungeva le mucche e le portava al pascolo, demoliva un grande sasso dietro alla sua casa, e vendeva queste belle pietre che servivano per la ricostruzione del paese dopo la guerra, tutte le feste si recava alla Pietra a lavorare nella locanda all’aperto della signora Lia, durante il “boom” dei polli andava giornalmente a lavorare nel capannone dei Benassi, quando loro hanno chiuso si è messa ad assemblare “tappi” si è presa cura della madre e della suocera per anni, e anche adesso mi mostra il suo orto dentro a dei vasi sul terrazzo, ecco era tutto questo e forse mi sono scordata qualcosa.
Comunque l’ascolto e dico:
“Benissimo la dieta assomiglia alla mia solo che la pasta la mangio solo tre volte la settimana, le altre bistecca e verdura cotta o cruda, penso proprio di essere sulla buona strada”.
La guardo come sempre con grande ammirazione, lei è cresciuta senza padre, è venuto a mancare alla famiglia quando lei aveva solo nove mesi ed è cresciuta con una madre stupenda (la Zita) e i due fratelli, che avevano pochi anni più di lei.
Continuiamo a parlare del passato, delle famiglie che abitavano sotto la Pietra, dei Pavoni, della Celsa coi suoi dieci o undici figli, della Celide che sentivamo sempre chiamare i suoi figli maschi che erano sempre in giro, della Rosa di Secondo col suo eterno sorriso, della Maria di Ca’ di Bugino e delle sue figlie, tutta gente che non c’è più, ma ci hanno insegnato che sono lassù che ci aspettano.
Poi coi ricordi siamo arrivati fino a Ca’ di Patino, anche lì ora tutti forestieri, neanche l’ombra di qualcuno che abbiamo nominato.
La vita è cambiata da allora, molto cambiata, quando ci conoscevamo tutti, ci si fermava davanti a qualche casa, per fare quattro chiacchiere e ci sentivamo accolti, col sorriso e la sedia pronta per farci sedere.
Chi l’avrà cambiato questo mondo? Forse il benessere? Il dio soldo? Andiamo così di fretta perché qualcuno ci ha detto che il tempo è denaro?
Lascio a voi le risposte, io tornerei volentieri ai tempi passati, anche con la miseria che ci circondava, ma la calma, la serenità, il silenzio. Ora sei svegliato dai numerosi suoni, la sveglia, il telefono, i vari clacson e motori che passano per la strada, allora c’era solo il canto degli uccelli che annunciava il nuovo giorno.
Saluto la mia amica Irene, l’abbraccio e dentro di me prometto che non farò più passare molto tempo ho ancora bisogno dei suoi racconti del suo e del mio passato e soprattutto dei suoi consigli.
Elda Zannini
GRANDE SIGNORA ELDA APPENA RIESCO PORTO MIA MAMMA A TROVARE LIRENE
DANIELE COSTI (HO PASSATO TUTTA LA MIA GIOVENTU A CASA PATINO)
Mio padre, giovane geometra, seguiva i lavori della strada che da Castelnovo, conduce su al piazzale. E fu proprio lungo quella strada, che conobbe mia madre, diretta al santuario. Papà mi parlava spesso della signora Zita, per la quale aveva una venerazione! Lei, al passaggio di quel giovane direttore dei lavori, correva nel pollaio a prendere due uova per lui e quasi furtiva gliele metteva in tasca. Piccoli gesti dite? No, sono quelli che fanno di una persona, un personaggio…
Bellissimi ricordi che fanno riflettere! Grazie , Elda. Angela Pietranera
Grazie Daniele, vi abbiamo nominato, saluta tua madre e tuo fratello
“Custarina” bravissimo fondista.
Grazie anche a Umberto, forse non lo sai, ma tuo padre appena
arrivato è stato accolto in casa della Zita in attesa di un’altra
sistemazione. Uomo gentilissimo, quando si recava in paese
chiedeva a mia madre se le serviva qualcosa.
Che belli i tuoi ricordi. In pochi attimi hai popolato un pezzo di Pietra… Brava Dilva Attolini