Lunghi baffi, barba scura e uno sguardo penetrante. Un cappello, forse un tricorno, e un fazzoletto al collo. Dopo briganti, beati, quasi papi, decorati militari e scienziati, l’Appennino reggiano non poteva non vantare anche un pittore.
Nato a Vezzano sul Crostolo il 30 aprile 1818, Domenico Pellizzi dimostrò da subito la sua predisposizione per le arti figurative sotto la guida di Prospero Minghetti. Trasferitosi a Parma, concluse l’Accademia delle Belle Arti. Il suo dipinto I buoni fanciulli riscosse successo e venne acquistato nel 1847 dalla Società d’incoraggiamento per gli Artisti dello Stato Estense.
Con forti simpatie liberali, Pellizzi prese parte ai moti del 1848 e, a causa di ciò, si trasferì prima a La Spezia e poi a Firenze. Tornò a Reggio solo nel 1854, quando morì il suo primo maestro Prospero Minghetti. L’allievò, in questo caso, si può dire superò proverbialmente il maestro, prendendo la cattedra di disegno e pittura all'Accademia di belle arti di Reggio Emilia.
A Reggio realizzò alcuni dipinti alla Pinacoteca Comunale e al Teatro Comunale, nonché un dipinto di San Filippo e di San Francesco nelle chiese a loro intitolate nel capoluogo di provincia. Nel 1859 divenne poi Aggiunto al Direttore della stessa Accademia reggiana. Gli anni successivi lo videro poi protagonista nell’Accademia delle Belli Arti di Modena e in diverse altre città. Fu addirittura consigliere provinciale tra il 1865 e il 1866.
Come riporta il volume Memorie storiche dei Reggiani più illustri nelle scienze, nelle lettere, e nelle arti [dal 1768 al 1877], pubblicato nel 1878 da Enrico Manzini, «lodato più volte dalla stampa cittadina e da altri giornali pe’ suoi lavori artistici, dopo lunga malattia morì il Prof. Pellizzi, compianto da tutti». Scomparso il 4 maggio del 1847, nemmeno trentenne, le sue spoglie riposano nel Cimitero monumentale suburbano di Reggio Emilia.