Riceviamo e pubblichiamo:
"La rilevanza mediatica che il tema del salario minimo ha assunto, merita alcune considerazioni.
In Italia la questione salariale non obbedisce solo alle esigenze del mercato del lavoro e alla logica della domanda e dell’offerta.
Se cosi fosse avremmo un salario a livello di sussistenza appena sufficiente per far sopravvivere la forza lavoro.
La crescita della democrazia e con essa delle relazioni sindacali ha attivato percorsi virtuosi di liberazione del salario dalla logica della sussistenza.
Purtroppo alcuni in alcuni settori e per alcuni mestieri il processo virtuoso si è inceppato e i rapporti di forza e le relazioni sindacali sono tornate regredendo a quelle del primo capitalismo.
La percezione che esista un lavoro dipendente poco e male remunerato e un dato di fatto.
Per poter valutare con visione lungimirante le problematiche salariali serve riconoscere che nessuna ricetta potrà essere efficace se non si assumono a livello di analisi del tema posto le interdipendenze tra salario, orario di lavoro, produttività e tutela dei salari dall’inflazione.
Il tema è tutto sindacale e deve essere assunto dalle parti sociali con l’obbiettivo di definire un nuovo patto sociale che riassegna valore al salario e del lavoro affinchè chi è occupato possa vivere meglio .
Serve un mercato del lavoro tutelato per evitare che chi entra nel lavoro ne subisca effetti devastanti sia sulle condizioni lavorative che professionali in particolare delle nuove generazioni .
Se poi vogliamo guardare dentro al mercato del lavoro non possiamo non vedere le vere diseguaglianze sociali esistenti dove prevale la logica del mercato che è volutamente inadeguato, a rispondere e a definire sia i salari minimi che i salari massimi (Salari troppo bassi e compensi troppo alti ).
Se queste problematiche sono vere non si comprende il silenzio dei corpi intermedi che dovrebbero governare a difesa degli interessi dei lavoratori, il tema salariale e della occupazione.
Nel contempo risulta impropria l’appropriazione e l’invasione di campo dei partiti che dovrebbero solo recepire intese raggiunte su un tema che riguarda le relazioni sindacali e la difesa del salario tra la parti sociali, che peraltro, dovrebbero essere con forza, richiamate al ruolo che le spetta.
Bisogna essere consapevoli e ricercare tutte le ragioni per definire un nuovo patto sociale concertato che affronti il problema del potere del mercato, la ridistribuzione della ricchezza e le condizioni di diseguaglianza sempre piu sbagliate e insostenibili"
Marino Friggeri,
Presidente Movimento Cristiano Lavoratori
Sono d’accordo su molto di quanto espresso dall’amico Friggeri, che sicuramente conosce il mercato del lavoro e ha le capacità di analisi necessarie;
mi pare anche che ascoltando la “maggioranza” delle forze politiche, qualcuno parlando del minimo lordo orario di 9 €., non si rende bene conto di cosa si stia parlando; non escludo che molti esponenti non abbiamo mai lavorato, come intendiamo noi qui, in vita loro;
facciamo i conti della serva (con tutto rispetto delle nostre Nonne che appunto andavano per serva a Genova, a Milano o in Francia che Dio le benedica…)
e cerchiamo di capire qualcosa della vita reale…
se io avessi la fortuna di guadagnare lordi 9 €. all’ora, e avessi la fortuna di lavorare 8 ore al giorno per 22 giorni al mese…il mio stipendio lordo sarebbe di €. 1584,00, che netti in busta sarebbero poco meno di €. 1200,00; qui magari Marino che conosce meglio questi argomenti potrebbe correggermi;
cominciamo meglio a capire di cosa stiamo parlando?
se fossi single ma comunque dovessi pagare un affitto e magari da Castelnovo Monti o comunque da un comune montano dovessi andare a lavorare in macchina a Viano, a Vezzano o a San Polo, quanto mi rimarrebbe alla fine del mese?
se poi avessi una moglie che non lavorasse e magari un bimbo piccolo?
e se invece non avessi la “fortuna” lavorare a tempo pieno. mi dimenticherei anche dei famosi 1200€…
cordiali saluti,
Stefano Curini
Egregio Presidente
Si rilegga con calma la parabola della vigna!
Pensionato
Considerazioni più che giuste.
Ritengo che la ridistribuzione della ricchezza in maniera più equa sia un principio irrinunciabile, ma non vedo come possa essere attuato.
Il sindacato ha nelle sue funzioni la spinta per riforme radicali, ma i partiti no. I partiti pensano ai loro elettori e non metteranno mai nei loro programmi un livellamento al basso delle retribuzioni, perché di questo si tratta.
Questo sindacalismo a me piace, perché si avvicina al mio modo di pensare, ma è anche il pensiero di una minoranza.
Dovremo attendere ancora il momento giusto, se mai verrà.
Canedoli Otello
D’accordo con il prologo di queste righe, allorché si dice che “la questione salariale non obbedisce solo alle esigenze del mercato del lavoro e alla logica della domanda e dell’offerta”, per poi aggiungere che “la crescita della democrazia e con essa delle relazioni sindacali ha attivato percorsi virtuosi di liberazione del salario dalla logica della sussistenza”, ma laddove si parla di interdipendenze io avrei incluso pure le sorti dell’azienda, quale non trascurabile soggetto che genera occupazione (voce che, salvo sviste, non vedo invece menzionata).
Giusto inoltre affermare che “serve un mercato tutelato”, ma se da un lato l’azione di tutela deve certamente rivolgersi al dipendente, in modo che il suo reddito sia tale da poter vivere in maniera quantomeno dignitosa, o più che dignitosa, non credo che tale parametro possa esser visto come qualcosa di avulso e staccato, e indipendente, rispetto all’evolversi delle fortune aziendali, perché se l’azienda interessata venisse semmai a trovarsi nel dover “chiudere i battenti”, causa i costi di gestione, andrebbero persi i rispettivi posti di lavoro (aspetto affatto secondario).
A dire il vero, c’è chi teorizza che se un’azienda non riesce a stare sul mercato, e a reggere la concorrenza, a motivo di spese non più sostenibili, può essere alla fine giusto che la stessa cessi la propria attività, in quanto il relativo volume d’affari verrà poi assorbito da altri, ma io stento a riconoscermi in detta tesi, anche perché possono casomai intervenire forme non gradite di delocalizzazione, e credo pertanto che dovrebbe esservi una fase di “trattativa” e mediazione, onde evitare la chiusura, dove le rappresentanze sindacali possono giocare un ruolo importante.
Un ruolo importante perché in grado di esaminare e comprendere da vicino l’andamento di una determinata azienda o impresa, e valutarne di riflesso le condizioni, e trovare se del caso la maniera di conciliare le aspettative delle due componenti, datoriale e dipendente, e forse è nato proprio da questo proposito il modello tedesco della “cogestione”, di cui so poco o nulla, ma che mi parrebbe avere il sostanziale obiettivo di responsabilizzare tutte le parti che concorrono alla “vita” dell’azienda (e suppongo che anche lo “stipendio” degli occupati ne sia in qualche modo influenzato)
Se per legge viene fissato un salario minimo, e se vi sono eventuali comparti che non riescono a corrisponderlo, pena il non poter “sopravvivere” al mercato, dovrebbe allora intervenire la mano pubblica per compensare la differenza, e questo non secondario aspetto va messo in conto e in luce, ma non manca nel contempo il rischio di un “livellamento al basso delle retribuzioni”, prendendo a prestito le parole Canedoli Otello, dal momento che il datore di lavoro potrebbe “trincerarsi”, non senza legittima ragione, dietro la scusante che la norma è stata rispettata.
Di fronte al fatto che “purtroppo in alcuni settori e per alcuni mestieri il processo virtuoso si è inceppato e i rapporti di forza e le relazioni sindacali sono tornate regredendo ….”, come qui si sta scritto, ci sarebbe innanzitutto da sperare che le Organizzazioni sindacali riacquistino la potenzialità idonea ad esercitare la “concertazione”, anziché chiamare in causa la politica, anche perché il sollevare solo ora la questione salario minimo, che non è problema di oggi, può indurre qualcuno a chiedersi – forse sbagliando ma i pensieri non si imbrigliano – se non sia un modo per mettere in difficoltà l’attuale Governo
Andando a concludere, neppure io comprendo “il silenzio dei corpi intermedi”, riguardo ad una materia sicuramente delicata e complessa, ma di indubbia rilevanza e portata, e dunque meritevole di venir dibattuta, ancorché si possano avere opinioni non combacianti, e termino col dire che non vorrei vedere una “ridistribuzione della ricchezza” intesa come il voler far “piangere i ricchi”, perché a mio avviso c’è una ricchezza guadagnata con impegno, ingegno, talento, ecc …., che giova di certo a chi la produce ma che non di rado crea occupazione ed opportunità anche per altri, talora molti altri.
Mi scuso per la lungaggine, ma l’argomento è di quelli tosti e “pesanti”
P.B. 03.08.2023
P.B.