Lorena Caselli è una volontaria della Croce Rossa di Carpineti che, vincendo i timori e le paure che affliggono ogni essere umano e dedicando parte della propria estate agli altri, ha deciso di partecipare al progetto di Croce Rossa Italiana "Volontariato & vacanza 2023".
Il progetto, in collaborazione con il comitato regionale Croce Rossa Italiana della Sicilia ed il comitato locale di Lampedusa e Linosa, nasce con l’obiettivo di supportare l’impegno del comitato locale nella gestione di tutte le attività previste nel periodo estivo che, da maggio a settembre, aumentano considerevolmente per il numero di turisti e visitatori provenienti da tutte le parti del mondo, in concomitanza dell'incessante flusso di persone migranti in arrivo sulle coste dell’isola.
I volontari sono impegnati ad assistere i migranti dall’accesso sicuro al mare all’assistenza delle persone più vulnerabili, fino alle attività di accoglienza e supporto all’hotspot di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa.
Lorena parte così il 14 luglio in aereo, direzione Lampedusa, per una settimana di volontariato.
Cosa ti ha spinto a partecipare Lorena?
Il desiderio di "stare dall'altra parte", di comprendere il punto di vista di chi scappa dal proprio Paese rischiando la morte. Era una realtà che volevo comprendere meglio.
Di cosa ti sei occupata principalmente a Lampedusa?
Sono stata assegnata ai punti bebè e mamme. Stavo principalmente con i bambini, alcuni dei quali anche appena nati.
Cosa ti aspettavi?
Sapevo che la situazione a Lampedusa era tragica, ma non ero pronta a quello che ho trovato. La situazione è davvero ingestibile e, confesso, ho spesso pianto.
Puoi spiegare meglio cosa ti ha ferito?
Principalmente la rassegnazione dei bambini, anche dei più piccolini, che dovevano restare in fila, con un caldo intollerabile ed atroce, ad attendere con gli adulti un biberon o il proprio turno per un bagnetto. Il primo giorno è stato durissimo, poi bisognava farsi forza, eravamo lì per aiutare.
Quale è stato l'episodio che più ti ha colpito?
In realtà non uno sbarco, ma un imbarco. C'erano più di mille persone che dovevano raggiungere la "terraferma". Era sera, l'ora in cui vengono organizzati gli imbarchi ed io distribuivo loro i kit. I loro occhi non li dimenticherò mai.
Quante persone erano presenti nell'hotspot e quanto tempo in genere ci rimangono?
Stiamo parlando di 3 o 4000 persone. Il tempo di permanenza nelle strutture varia da caso a caso. Alcuni rimangono per poco tempo, altri invece per mesi. L'obiettivo è quello di trovare loro una destinazione nel più breve tempo possibile, per limitare la permanenza nella struttura, che davvero è un inferno. So di un bambino che è rimasto però circa 6 o 7 mesi, ma in genere la permanenza viene limitata il più possibile.
Come riuscivi a comunicare con mamme e bambini?
Parlo inglese e francese e, a seconda della provenienza, riuscivamo a comunicare senza difficoltà.
Quale era la cosa che i bambini chiedevano più spesso?
I bambini sono tali in tutto il mondo, le cose più richieste erano dolci e succhi di frutta.
E le mamme invece?
Vestiti per potersi cambiare e per cambiare i loro bimbi.
Prima della tua partenza o al ritorno hai dovuto combattere con i soliti luoghi comuni?
I luoghi comuni, Rita, li lasciamo a quelli che non conoscono. Io ho voluto conoscere, ho voluto vedere con i miei occhi e penso che, comunque la si pensi, scappare dalla propria casa e dal proprio Paese per imbarcarsi verso l'ignoto significhi unicamente che la situazione in Patria era certamente ancora più tragica di un futuro incerto. Una delle cose che maggiormente mi ha colpito, però, è stato un ragazzino, molto giovane, che aveva visto morire, nella guerra civile del proprio Paese, il papà, la mamma, la sorella e la nonna. Il ragazzino era seguito da uno psicologo perché era incapace perfino di parlare. Lasciamo quindi perdere i luoghi comuni, che finiscono lì dove iniziano i loro sguardi.
Cosa hai portato a casa da questa esperienza?
Il desiderio di invitare i giovani a fare la stessa cosa, per comprendere, per verificare di persona. E uno zaino pieno di immagini dolorose, ma anche di momenti di umanità che rimarranno nel mio cuore per sempre.
Un meritato plauso e ringraziamento a Lorena Caselli, e a quanti si rendono lodevolmente disponibili per alleviare disagi e sofferenze di chi si trova in situazioni così difficili, destinate ad ispirare coinvolgimento e commozione – anche molta commozione specie allorché riguardano i bambini – cui si aggiungono storie dolorose e toccanti, e credo altresì che chi, per ragioni varie, non è nelle condizioni di impegnarsi direttamente nell’opera di aiuto possa comunque concorrervi in altre forme e modalità.
Dopo di che, bisognerebbe anche capire cosa debba intendersi per “luoghi comuni di quelli che non conoscono”, dovendosi partire dal presupposto che in molti non hanno provato “a stare dall’altra parte”, né reputano di doverlo fare, oppure non vi riuscirebbero per una pluralità di motivi, ma non per questo sono insensibili al problema, e vanno spesso chiedendosi come evitare che tutto ciò possa succedere, anche intervenendo con supporti nei luoghi di partenza o tramite altre azioni (sono questi i luoghi comuni ?).
Tra loro possono poi esservi posizioni abbastanza articolate, il che è peraltro comprensibile vista la indubbia delicatezza e complessità del problema, e semmai c’è pure chi vorrebbe un deciso contenimento degli arrivi, ritenendo che la nostra capacità di accoglienza non sia illimitata, ma credo che in nessuno, o almeno nei più, manchi la preoccupazione per le vicissitudini e la sorte di chi giunge sulle nostre coste (mi spiacerebbe veder passare l’idea che sia sordo al problema chi non vi è stato a diretto contatto).
P.B. 01.08.2023
P.B.
Dopo aver letto il mio precedente commento, un amico che in proposito ha idee diverse dalle mie, così come per altre tematiche, causa fors’anche le differenti vedute politiche – il che ha comunque il pregio di mettere a confronto le rispettive opinioni e convinzioni – mi ha scritto che i luoghi comuni sono configurabili come “chiudere i porti- lasciarli sulla nave-aiutarli a casa loro, ecc. ecc.”, cui ho replicato col dire che se si ritiene che l’antidoto, ossia la via per neutralizzare i luoghi comuni, sia una accoglienza generalizzata e illimitata, lo si dovrebbe affermare senza giri di parole.
L’amico, partendo dal presupposto che l’immigrazione sia fenomeno ineluttabile, e inarrestabile, ha poi ribattuto che l’antidoto è rappresentato da “una gestione oculata, umana, elastica, non propagandistica”, al che ho fatto a mia volta presente che trattasi di indicazioni piuttosto generiche e interpretabili, con margini di discrezionalità, ma se si vuole adottare una tale linea “elastica” bisognerebbe allora consentirla pure al Governo in carica, che è invece oggetto di continue contestazioni (io non so quanti la pensino come il mio amico, ma credo sia una posizione incerta e non poco contraddittoria).
P.B.