La voce preziosa di Sinéad O’Connor (1966-2023) si è spenta mercoledì scorso, 26 luglio, in un appartamento londinese. L’artista aveva rifiutato di inseguire una carriera tradizionale, poiché il suo intento era di essere una cantante di protesta. E ci era riuscita: da quando, nel 1990, in New Jersey, non aveva voluto che l’inno nazionale americano fosse suonato prima che lei si esibisse, era diventata una figura controversa. Ma l’episodio più eclatante avvenne nel 1992, sempre negli Stati Uniti, quando stracciò, sul palco, una fotografia dell’allora Papa Giovanni Paolo II. Il motivo erano gli abusi che tanti membri del clero cattolico irlandese avevano perpetrato contro bambini e bambine; ci vollero quasi dieci anni, dopo la denuncia di O’Connor, perché si cominciassero a comprendere le dimensioni di questa tragedia e, così, a Dublino venne realizzato un murale, in cui la cantante appare col capo velato, quasi una nuova Madonna, con le parole: “Sinéad hai sempre avuto ragione, ci sbagliavamo. Ci dispiace tanto”.
Una delle sue prime canzoni, e una delle più famose, ‘Troy’, è però centrata su emozioni molto personali, quelle di una relazione difficile: nei primi versi l’artista si rivolge a un ‘tu’ misterioso/a che ritornerà, perché non può fare diversamente, data la sua personalità, e poiché non ha un’altra Troia da bruciare, ovvero la città di Troia è ormai stata rasa al suolo, questo ‘tu’ dovrà rivolgere la sua forza distruttiva verso qualcun altro, forse la voce narrante:
Troy, 1987
Troia
I'll remember it
Me lo ricordo
And Dublin in a rainstorm
E Dublino nella pioggia
And sitting in the long grass in summer
E seduti nell’erba lunga in estate
Keeping warm
A tenerci caldi
I'll remember it
Me lo ricordo
Every restless night
Ogni notte inquieta
We were so young then
Eravamo così giovani allora
We thought that everything
Pensavamo che tutto
We could possibly do were the right
Quello che potevamo fare fosse giusto
Then we moved
Poi ce ne andammo
Stolen from our very eyes
Rubati ai nostri stessi occhi
And I wondered where you went to
E mi chiesi dove fossi andato/a
Tell me when did the light die
Dimmi quando la luce morì
You will rise
Ti alzerai
You'll return
Tornerai
The phoenix from the flame
La fenice dalle fiamme
You will learn
Imparerai
You will rise
Ti alzerai
You'll return
Tornerai
Being what you are
Visto come sei
There is no other Troy
Non c’è un’altra Troia
For you to burn
Che tu possa bruciare
(...)
In un’intervista alla fine degli anni Ottanta, O’Connor disse che la canzone rappresentava i suoi sentimenti di adolescente di fronte alla difficile relazione coi genitori che si erano separati: il padre andò a vivere con un’altra donna, ciò a cui si allude probabilmente nella parte successiva della canzone, e i bambini andarono a vivere con la madre, che aveva, però, una personalità tormentata ed abusatrice. La metafora della città di Troia che brucia, a indicare la capacità di distruzione della persona cui la canzone si rivolge, viene da una poesia di William Butler Yeats (1865-1939), irlandese come O’Connor, dove, proprio come in ‘Troy’, si narra di una relazione difficile, con una donna dalla personalità complessa:
No Second Troy, 1916
Non c’è un’altra Troia
Why should I blame her that she filled my days
Perché dovrei incolparla di aver riempito i miei giorni
With misery, or that she would of late
Di infelicità, o di aver ultimamente
Have taught to ignorant men most violent ways,
Insegnato modi violenti a uomini ignoranti,
Or hurled the little streets upon the great,
O scagliato le vie piccole sulle grandi,
Had they but courage equal to desire?
Se solo avessero coraggio pari al desiderio?
What could have made her peaceful with a mind
Cosa potrebbe averla resa tranquilla con una mente
That nobleness made simple as a fire,
Che la nobiltà ha reso semplice come un fuoco,
With beauty like a tightened bow, a kind
Con una bellezza come un arco teso, una specie
That is not natural in an age like this,
Che è insolita in un’era come questa,
Being high and solitary and most stern?
Essendo elevata e solitaria e austera?
Why, what could she have done, being what she is?
Perché, cosa potrebbe aver fatto, essendo quella che è?
Was there another Troy for her to burn?
C’era un’altra Troia da bruciare per lei?
La donna della poesia era l’ereditiera e attrice Maud Gonne, di cui Yeats era innamorato e alla quale chiese più volte di sposarlo. Ma Gonne rifiutò ogni volta, dicendo che il matrimonio avrebbe fatto male alla sua poesia, e sposò, invece, il Maggiore John MacBride che era, come la donna, un attivista repubblicano per l’indipendenza dell'Irlanda dalla Gran Bretagna, e che morirà fucilato dagli inglesi a seguito della rivolta repubblicana della Pasqua del 1916 a Dublino.
Nella poesia Yeats ci presenta il carattere forte dell'amata, che ha riempito di tristezza la sua vita coi suoi rifiuti. Inoltre, pur essendo anch’egli un nazionalista, non apprezzava i metodi di Gonne nell’incitare “uomini ignoranti” a usare “metodi violenti”, e il suo “scagliare vie piccole”, ovvero i più deboli irlandesi, contro vie “grandi”, ovvero i potenti inglesi, anche perché Yeats non vedeva coraggio in questi uomini, ma solo velleità. Le domande che seguono hanno già in loro la risposta: una donna così nobile, così forte e fiera, con la bellezza pericolosa di un arco pronto a scoccare la freccia, di una specie unica ormai perduta, poteva forse comportarsi diversamente? L’unicità dell’amata la rende superiore a tutto ciò che la circonda, diventa come Elena di Troia, la più bella dell’età antica, che fu la causa della distruzione di Troia; ma nel mondo moderno non c’è un’altra Troia che Gonne possa far ardere nel fuoco degli incendi, e così la causa rivoluzionaria diventa il solo modo per far emergere la sua straordinarietà.
Yeats spiega il comportamento della donna con la personalità unica che la caratterizzava, facendone un essere così ‘diverso’ da giustificarne l’eticità non convenzionale. Ma è innegabile che ci sono persone che attraversano la nostra vita con l’impeto distruttore del fuoco che incenerì Troia, con la violenza dei guerrieri greci che ne massacrarono la popolazione e con l’ira degli dei che ne decretarono la fine. Allora la nostra esistenza assomiglia a terra bruciata, case crollate e vie coperte di cenere: non possiamo far altro che ricostruire, giorno per giorno, sopra le rovine, edificando, come accadde nell'antichità, città a strati, una sopra l’altra, per far tornare la vita dove era stata cancellata. Ma, come accadde a Sinéad O’Connor, questi ‘incendi’, causati da chi dovrebbe amarci e proteggerci sopra ogni altra cosa, producono cicatrici sulle quali non si costruisce senza altro dolore: forse solo la musica e la poesia possono, a volte, essere un balsamo salvifico.