Giovanissimo, sguardo intenso, con la passione per il teatro fin da piccolo, determinato e dotato di talento, Samuele Teneggi, attore ventiduenne originario di Castelnovo Monti, vive a Roma e - come riportato ieri sul Resto del Carlino di Reggio Emilia -, appena uscito dall’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio D’Amico”, è tra gli interpreti del film “Rapito” del regista Marco Bellocchio.
Il film, un dramma storico, narra una storia vera della metà dell’’800.
“Parla del caso di rapimento di Edgardo Mortara, un bimbo ebreo di Bologna, che nel 1858 viene prelevato dalla famiglia e portato a Roma sotto l’ala di Papa Pio IX per essere cresciuto come cristiano. Da piccolo, ammalato, era stato battezzato in segreto dalla sua badante cristiana per paura che morisse e restasse nel limbo. Il film ruota attorno al tentativo della famiglia di riportarlo a casa”.
Qual’è il suo ruolo nel film?
"Faccio parte della famiglia Mortara, sono Riccardo, il fratello maggiore di Edgardo, incarno un po’ la parte politico-rivoluzionaria della famiglia. C’è una scena di confronto con mio fratello in cui si scontrano due ideali incomunicabili: il senso della famiglia e il progressismo e il dogma della fede cristiana imparato a memoria”.
Com’è stato interpretare questo ruolo?
“È stata un’esperienza molto bella e impegnativa. Lascio a Bellocchio il merito di averla resa più facile. Sa infondere fiducia e lasciare libertà di espressione. Nell’interpretare il mio ruolo mi sono sentito di dover stare dentro una griglia, però ho avuto anche grande libertà”.
Aveva già collaborato con Bellocchio?
“È stata la primissima volta ed è stata un po’ una sorpresa, è un regista molto importante e riconosciuto. Mi sento molto fortunato per essere entrato a far parte di un film così importante e aver ottenuto un ruolo del genere a 22 anni”.
Quando e come ha scoperto la passione per il cinema e il teatro?
“Mi ha sempre affascinato quello che sta dietro alle cose, soprattutto nel mondo dello spettacolo. A Castelnovo ho visto uno spettacolo della scuola ‘Arcobaleno', ho confidato che mi era piaciuto a mia madre e ci siamo messi in contatto”.
Qual’è stato il suo percorso di formazione?
“Ho fatto il primo corso con la scuola ‘Arcobaleno’ in prima media, a 10-11 anni, e ho continuato lì per tutti gli anni delle medie. Avevo capito che il mio non era solo un sogno, ma qualcosa di più su cui volevo investire. Ho fatto il liceo classico a Reggio, dove ho continuato con i corsi di teatro di Francesca Bianchi. Poi ho tentato di entrare in Accademia a Roma ed è andata bene. La mia passione è diventata un impegno professione, che via via si sta realizzando”.
Com’è stata l’esperienza in Accademia?
“Mi sono diplomato a novembre dell’anno scorso. Per i primi 4 mesi è stata una full immersion molto intensa: 8 ore al giorno 6 giorni a settimana. Poi c’è stato il Covid, che ha tagliato un po’ le gambe alla didattica, ma ha aperto altre strade. Io e i miei compagni abbiamo usufruito del tempo libero per cercare agenzie nel mondo del cinevisivo. Grazie alla ‘TT Agency’ di Roma sono iniziati i primi provini e arrivati i primi ruoli”.
Altre partecipazioni?
“Sono capitato su due set diversi: “Per niente al mondo” di Ciro D’Emilio, trasmesso su Netflix, dove ho avuto una piccola parte, che mi ha dato modo di cominciare a respirare e capire le dinamiche di set; e una fiction Rai, “Lea - un nuovo giorno”, dove sono comparso qualche volta come figlio della caporeparto di un ospedale”.
E per quanto riguarda il teatro?
“Finora non ho fatto esperienze teatrali professionali che non siano state legate all’Accademia, però abbiamo fatto tanti spettacoli. La loro filosofia vincente è far fare molta pratica e portare in scena gli allievi con registi professionisti”.
Castelnovo-Roma, le manca l’Appennino?
Ho avuto sempre un istinto centrifugo, quello di partire da Castelnovo per andare oltre. Non mi ha spaventato uscire, la voglia di essere autonomo e vivere la città. Mi piace Roma. Ammetto però che stando qui per tanto tempo ho capito e ricordato il valore di casa, a volte con grande malinconia: la serenità dell’Appennino, le persone cui sono legato, la famiglia. Spesso mi capita di citare Castelnovo o l’Appennino”.
Progetti in atto e futuri?
“Questo lavoro per natura ha delle attese molto lunghe. Dopo l’uscita di ‘Rapito’ sono stato fermo per un po’, ho fatto solo dei provini. Però posso svelare che entro l’anno prossimo ci rivedremo al cinema”.
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