Riappropriarsi della territorialità, la necessità di guardare ai nuovi mestieri, mettere al centro l’uomo, investire nella qualità dei territori, recuperare il senso di appartenenza, di identità, di relazione, uscendo dai propri confini, non dimenticando la salute.
Patrizio Bianchi (ex ministro all’istruzione) cattedratico Unesco all’Università di Ferrara è stato intervistato da Gabriele Arlotti in occasione del suo incontro reggiano su “La montagna del latte scende il città”, dove ha dialogato di territori e sviluppo con Fausto Giovanelli, coordinatore della Riserva di Biosfera dell’Appennino tosco-emiliano.
Patrizio Bianchi, ci eravamo lasciati nel 2020 all’Assemblea della Riserva di Biosfera Mab Unesco in quell’occasione aveva parlato del legame tra i giovani e la possibilità di rilancio dell’Appennino, ma aveva già accennato a un legame importante per la montagna e la città: dopo la pandemia, come sono evolute le cose?
Le cose sono cambiate perché quell’ elemento che noi pensavamo solo della montagna, cioè il rischio dello spopolamento e il rischio che la montagna diventasse un luogo dell’abbandono, si è spostato a tutta la Bassa, come al Po. Oggi assistiamo a una fortissima concentrazione di popolazione nelle città, come in particolar modo Milano. Per cui noi dobbiamo ricreare la possibilità per i nostri ragazzi di trovare lavoro di qualità e gratificanti che possano essere riorganizzati, ma partendo dalla riqualificazione del nostro territorio.
Professore lei è cattedratico dell’Unesco, ci vuole spiegare in che cosa consiste e come queste cattedre si inseriscono nello sviluppo dei territori?
Agli inizi degli anni Novanta si è pensato che difronte ai grandi cambiamenti che vi erano fosse necessario avere sul territorio dei presidi. Sono così state ideate le cattedre dell’Unesco che sono ricoperte da personalità che si sono distinte nei rispettivi ambiti di ricerca nelle Università, per affrontare i grandi temi che sono: la pace, i diritti umani, la cultura, l’educazione, i beni culturali, i beni ambientali e quindi la sostenibilità di uno sviluppo che non è fatto solo di crescita economica ma che ha anche bisogno di crescita economica.
Oggi nel mondo abbiamo circa novecento cattedre, in Italia ne abbiamo circa quarantatré. Di recente è stata istituita anche una rete delle cattedre Unesco di cui sono io il coordinatore nazionale ha proprio questo ambito cioè dimostrare come mettendo insieme tutte queste diverse competenze e incrociandole tra loro si può generare una conoscenza, che diventa la nuova base dello sviluppo. Le cattedre dell’Unesco sono localizzate nelle città, sono nel territorio e affrontano anche temi che da qui diventano generali e universali.
In Italia proviamo a mettere assieme le 43 cattedre dell’Unesco, le 20 Riserve di biosfera, i 58 siti patrimonio mondiale dell’umanità italiani: c’è un filo comune che può contribuire a una svolta e a riallacciare il legame con tra i territori più periferici e città?
Sì c’è. E per questo occorre in noi stessi e nei nostri ragazzi la capacità di trovare lavori, attività, tempo libero, vita quotidiana che siano basati sulla qualità del vivere e del territorio. Questo non solo nelle città, ma anche in montagna e in tutti i luoghi dove ci sono da recuperare le nostre identità e il nostro futuro.
Le Mab Unesco propongono una connessione tra cultura e formazione, se noi pensiamo a quello che è il tema della formazione e lei ha parlato della riforma degli ITS (istituti tecnici superiori), come questi possono dare il loro contributo?
Gli Its sono stati creati 10 anni fa, ma in questi due anni da ministro io stesso ho provveduto a rilanciarli, rendendoli più legati al territorio, collegati anche ai soggetti presenti sul territorio. Ricordiamo che gli Its sono corsi di due anni post diploma, quindi in ambito universitario, che però hanno un carattere di fondo: la maggior parte dell’attività gli studenti devono farla fuori dall’ aula. Attività da fare con le imprese e con le istituzioni, in parte qui e in parte anche all’estero. Pertanto sono dei forti collettori di esperienze diverse che si devono incrociare. Infatti, noi oggi abbiamo bisogno di persone non soltanto che abbiano delle capacità conoscitive, delle esperienze, delle competenze ma anche una forte capacità di relazione (strutturata e competente), l’esperienza umana! Gli Its questo lo possono offrire. Tutto questo, però, può funzionare se manteniamo attiva la rete delle scuole che sono l’unico punto di riferimento delle comunità in molte realtà.
Lei ha parlato di nuove opportunità offerte dalla transizione ecologica della transizione digitale, vogliamo provare a declinare quali potrebbero essere?
Oggi abbiamo sempre più chiari quali sono i rischi dell’essere connessi con gli uni e con gli altri. Come quelli, ad esempio, per la democrazia. Nel mondo sono presenti aziende talmente grandi (Google, Apple, Microsoft, Meta Platforms, Amazon, Tesla….) che sono capaci di condizionare non soltanto la nostra vita ma anche le attività politiche degli Stati. Ci sono molti riferimenti, purtroppo chiarissimi, a riguardo, come negli Stati Uniti, in Brasile e molti posti. Dentro la rete ci sono degli elementi fortemente inquietanti, come quantità di materiali e di dati che non vengono controllati, ma che possono essere a disposizione di tutti. Di fronte a questo bisogna fare crescere un senso di responsabilità, educando i ragazzi ma anche noi stessi ad essere molto critici; la capacità critica torna a essere fondamentale in un’epoca in cui invece è caduta in maniera vertiginosa la capacità di attenzione e quindi di andare dentro alle cose. C’è bisogno di persone solide che non hanno bisogno di cambiamento perché sono capaci di utilizzare gli strumenti del cambiamento senza essere usati
Quindi smantelliamo il modello (moderno) del lavoro fordista?
Il lavoro fordista è andato, il lavoro è andato. Il lavoro fordista rimane nella nostra amministrazione e rimane molto nelle nostre normative, che non vuol dire che oggi si smantellino le tutele e le garanzie, ma che, invece, si amplino le garanzie tenendo in considerazione anche le nuove condizioni di lavoro che si stanno creando man mano e che, invece, di essere tutte fuori dal sistema delle tutele.
(Monica Errico)
Va senz’altro guardato con favore ogni strumento che, in modo “ufficiale” – vedi i cosiddetti percorsi formativi post secondari, o di altro livello scolastico – accresca ed affini le competenze nel rispettivo settore, e prepari altresì ai nuovi mestieri, ma non perderei in ogni caso di vista la formazione pratica che si acquisisce nell’imparare un mestiere lavorando “gomito a gomito” con chi ne è già esperto, e sotto la sua direzione (ovvero l’apprendistato di un tempo che ha creato provetti operatori in tanti ambiti lavorativi).
P.B. 11.05.2023
P.B.
ISTITUTI TECNICI SUPERIORI — UN PROCESSO VIRTUOSO E UNA OPPORTUNITA .
L’intervista rilasciata dal PROF . BIANCHI gia ministro nel governo DRAGHI , merita una attenta valutazione.
Le strutture nel nostro crinale, per realizzare un polo di formazione post diploma di alta qualità, non mancano .
Manca un visione ….. e senza questo stimolo non si attiva ne la creativita ne tamtomeno , il protagonismo .
Servirebbe un piano dove convergono istituzioni e forze sociali e università avente per oggetto la crescita del territorio ambiente e agricoltura in primis, per non escludere la possibilita di fornire risposte ai settori produttivi .
Bisogna tornare a sognare …? Io credi di si !!!!!!!
MARINO FRIGGERI MCL REGGIO EMILIA
MARINO FRIGGERI