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Virginia Woolf, Anne Sexton e le streghe

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Quando A Room of One’s Own, Una Stanza Tutta per Sé, di Virginia Woolf (1882-1941), fu pubblicato, nel 1929, la domanda che l’autrice si faceva era: “Perché ci sono così tanti scrittori uomini e così poche donne?”. L’ovvia, anche se non per tutti, risposta era che le donne non avevano indipendenza economica, non avevano istruzione, non avevano neppure “una stanza tutta per sé” dove poter scrivere senza interruzioni. Il conseguente assioma era che questa situazione era il risultato di una millenaria sottomissione che le donne avevano subìto da parte degli uomini. Aver ottenuto il premio Pulitzer per la poesia nel 1967 poteva significare, per la vincitrice Anne Sexton (1928-1974) e per tutte le donne, che finalmente lo scenario descritto dalla Woolf si era ribaltato.

Non era proprio così. I tre giurati che dovevano decidere a chi attribuire il Pulitzer di quell’anno non riuscivano a trovare un accordo. L’unico nome che era sulla lista di tutti e tre, anche se non ai primi posti, era Anne Sexton. Solo che Sexton sembrava troppo centrata sulla sua depressione, sui suoi problemi psichici, per poter essere vista come una solida candidata. Ma siccome era, appunto, l’unica nominata da tutti e tre, era anche l’unica a poter sbloccare lo stallo. E poiché non si trovò un’intesa sugli altri nomi, Sexton vinse il Pulitzer. 

Anne Sexton

Che la poetessa fosse centrata sulla sua malattia mentale era un fatto: si definiva “la Sylvia Plath vivente” e con la Plath, altra poetessa americana morta suicida nel 1963, condivideva il sentire confessionale delle loro poesie. D’altronde era la ragione per cui aveva iniziato a scrivere. Lo psichiatra che la seguiva per disordine bipolare, e un tentato suicidio, le aveva consigliato di mettere su pagina i suoi pensieri e, visti i notevoli risultati, le aveva suggerito di seguire seriamente  quella strada. Il Pulitzer la rese famosa. E non solo per la poesia. Quando un vincitore si adatta, anche nella sfera personale, ad un certo modello standardizzato, il pubblico se ne innamora. E Sexton rifletteva a pieno il modello del poeta in preda alla depressione, inquieto, torturato, anche disturbato. Inoltre era giovane e bella. 

Dobbiamo forse pensare che non meritasse il Pulitzer? Assolutamente no. Ma che ancora una volta una donna fosse incorniciata in un modello, sì. Il modello della donna isterica, che si sente oppressa dalla società e per questo scrive una poesia che è puramente personale, soggettiva. Ma il vissuto di Sexton è il vissuto di tante donne, solo che non tutte vivono i condizionamenti allo stesso modo, con la stessa pena e la stessa lucidità. Fortunatamente, il Pulitzer rese Sexton sicura di sé stessa e la sua produzione ne giovò. Tuttavia, nonostante il fatto che certo la situazione era migliorata da quando Virginia Woolf  auspicava ‘una stanza tutta per sé’ per le donne che volevano scrivere, la poetessa era ben conscia che la strada era ancora lunga. Nella poesia che leggiamo Anne Sexton si identifica con un certo modello di donna.

 

Her Kind (1960)

 

I have gone out, a possessed witch,

haunting the black air, braver at night;

dreaming evil, I have done my hitch

over the plain houses, light by light:

lonely thing, twelve-fingered, out of mind.

A woman like that is not a woman, quite.

I have been her kind.

 

I have found the warm caves in the woods,

filled them with skillets, carvings, shelves,

closets, silks, innumerable goods;

fixed the suppers for the worms and the elves:

whining, rearranging the disaligned.

A woman like that is misunderstood.

I have been her kind.

 

I have ridden in your cart, driver,

waved my nude arms at villages going by,

learning the last bright routes, survivor

where your flames still bite my thigh

and my ribs crack where your wheels wind.

A woman like that is not ashamed to die.

I have been her kind.

 

Come Lei (1960)

 

Sono uscita, una strega posseduta,

infestando l’aria nera, più coraggiosa di notte;

sognando il male, ho fatto il mio giro

sulle case sbiadite, luce dopo luce:

creatura solitaria, con dodici dita, fuori di testa.

Una donna così non è una donna, circa.

Sono stata come lei.

 

Ho trovato le caverne calde nei boschi,

le ho riempite di padelle, incisioni, ripiani,

armadi, sete, una gran quantità di roba;

ho preparato la cena per i vermi e gli elfi:

gemendo, riequilibrando ciò che era squilibrato.

Una donna così è incompresa.

Sono stata come lei.

 

Sono stata sul tuo carro, tu che lo guidavi,

ho salutato con le braccia nude i paesi che scorrevano via,

imparando gli ultimi percorsi luminosi, sopravvissuta

dove le tue fiamme mordono ancora la mia coscia

e le mie costole si spezzano dove la tua ruota gira.

Una donna così non si vergogna di morire.

Sono stata come lei.

 

Virginia Woolf

Con la ripetizione del pronome ‘I’, ‘io’, l’autrice si identifica con la donna che descrive: una strega, rappresentata, appunto, con le immagini tradizionali della strega: nella prima strofa  vola nella notte, è “out of mind”, è pazza, ha dodici dita, un'indicazione, nell'anomalia  anche fisica, dell'essere una strega. Nella seconda strofa ci viene offerta la vista di una donna eccentrica che abita le caverne, riempiendole degli oggetti più disparati, in compagnia di animali e creature fantastiche. Nella terza strofa troviamo l’immagine più pregnante di una strega: la donna portata sul carro al rogo o alla tortura della ruota. Negli ultimi due versi di ogni strofa Sexton ribadisce che anche lei è come questa donna, appartiene a questo genere di donna, “her kind”, coraggiosa, che sa ‘riallineare’ ciò che aveva perso equilibrio, che non ha paura di morire e che non si cura del giudizio altrui che la vede come una creatura incompleta e non la capisce. E’ emarginata, racchiusa nella gabbia della ‘pazzia’, che la gente usa per distanziarsi da lei che non si conforma. Quanto coraggio ci vuole per non conformarsi, quanto dolore porta? Certo tanto, ma questa ‘strega’ non si tira indietro. 

La figura della strega fu riscoperta anche dal femminismo degli anni settanta perché rifletteva la donna che si ribellava alla società patriarcale, rivendicando la propria autonomia ed il controllo del proprio corpo e della propria vita. Ma anche Virginia Woolf ci parla di una strega quando, in A Room of One’s Own, cerca di comprendere la sofferenza di quelle donne che avevano il dono della poesia ma che non potevano esprimerlo per colpa delle restrizioni sociali:

“When, however, one reads of a witch being ducked, of a woman possessed by devils, of a wise woman selling herbs, or even of a very remarkable man who had a mother, then I think we are on the track of a lost novelist, a suppressed poet, of some mute and inglorious Jane Austen, some Emily Bronte who dashed her brains out on the moor or mopped and mowed about the highways crazed with the torture that her gift had put her to.”

“Quando, tuttavia, leggo di una strega che subiva la tortura dell’acqua (Venivano buttate nell’acqua per determinare la loro colpa: se restavano a galla erano colpevoli, e quindi sarebbero state giustiziate, se affogavano erano innocenti. Come si vede, in un modo o nell’altro, la sopravvivenza non era contemplata.), di una donna posseduta dai demoni, di una donna saggia che vendeva erbe, o persino di un uomo importante che aveva una madre, allora penso di essere sulle tracce di una romanziera perduta, una poetessa soffocata, di qualche muta e ingloriosa Jane Austen, di una qualche Emily Bronte che ha sbattuto la testa sulle rocce nella brughiera o ha vagato col viso di una folle per le vie del paese resa pazza dalla tortura cui il suo dono (per la poesia) l’aveva portata.”

 

La follia, l’emarginazione erano spesso, secondo Virginia Woolf, la conseguenza di un dono, di un ingegno che non poteva essere espresso. La poesia che è nell’anima deve essere manifestata, altrimenti il dono si trasforma in una maledizione. Sia Woolf che Sexton, per nostra fortuna, ebbero la possibilità di esprimersi, ma la malattia mentale le imprigionò in una gabbia di dolore. Il dolore che ti fa perdere la speranza: entrambe si tolsero la vita, Sexton nel suo garage col monossido di carbonio e Woolf annegando nel fiume Ouse dopo essersi riempita le tasche della giacca di sassi. Ma non  voglio vedere questa scelta come una sconfitta, bensì come l’ennesima constatazione della complessità degli esseri umani, specialmente quando essere donna rende la vita più complicata. Specialmente quando il duello fra la tua debolezza e la tua forza si fa rogo dentro di te.

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