Questa favola, inventata ma composta con aneddoti reali, intende raccontare in modo diverso dal passato le linee principali della vita, dell’opera e della personalità di Violante Garulli da Scurano (1918-1992), il pittore della Media Val d’Enza a cui ho dedicato una monografia nel 2004. Le persone citate sono alcuni dei testimoni intervenuti nel video di Emanuele Valla che nel 2004 accompagnava la mostra e il libro. A loro va il mio caro ricordo, perché, a diverso titolo, non sono più tra noi. La biografia “scientifica” di Violante da Scurano è disponibile on line nel sito del MUseoSElla di Sella di Lodrignano
(www.museartecontemporanea.it).
Buona lettura.
(Alessandro Garbasi)
C’era una volta, tanto tempo fa,
un pittore che di nome si chiamava Pablo e di cognome Picasso. Era nato in Spagna, ma a quell’epoca viveva a Parigi, in Francia. Da lì aveva lanciato idee rivoluzionarie nel campo della pittura. Talmente nuove che subito anche i suoi amici lo prendevano in giro. Ma con il passare degli anni ebbe sempre più successo, ed era diventato molto famoso.
Nonostante questo però, si dice che Picasso vivesse nel terrore, perché aveva sentito parlare dell’Uomo dalla Scure, un misterioso cattivo che lo voleva uccidere. Picasso tuttavia non sapeva chi fosse né tantomeno dove fosse, per questo aveva tanta paura.
Nel frattempo, a 1.000 km di distanza, in una casetta affacciata sulla Valle dell’Enza, in Italia, nel punto in cui si vedono il castello di Canossa a nord e il Monte Ventasso a sud, l’Uomo dalla Scure stava distruggendo un suo quadro.
Ma chi era in realtà? Chi si nascondeva dietro a questo nome spaventoso? Picasso lo voleva scoprire. Così mandò in giro per il mondo il suo fidato compagno, un bambino di nome Rembrandt, con il compito di scovarlo quanto prima.
Dopo due anni di ricerche, Rembrandt giunse a Parma. Si infilò nei borghi della città in cerca di indizi e una volta arrivato nei pressi del Battistero, gli si gelò il sangue. In una vetrina esponeva i suoi quadri un pittore che si chiamava Violante Garulli. Il quadro al centro della vetrina era spaventoso e inequivocabile. Si intitolava: L’Uomo dalla Scure! Un uomo dallo sguardo truce, lunga barba, accetta sulla spalla destra e maglione rosso come il sangue, era lì, ad osservarlo.
Rembrandt lo aveva trovato. Ora doveva capire come fare ad incontrarlo. Entrò nella mostra. Un vecchio signore seduto a un tavolino lo accolse. Rembrandt fece finta di essere interessato ai quadri, che in effetti gli sembravano molto belli. Chiese al vecchio signore come avrebbe fatto per incontrare il pittore Violante, perché avrebbe voluto parlargli. Sapeva che poteva essere pericoloso, ma non aveva scelta.
Il vecchio signore gli spiegò che era un personaggio molto stravagante, e questo non fece piacere a Rembrandt, che era sempre più agitato. Gli disse che viveva a Mediano, più o meno tra Scurano e Vetto. Rembrandt non sapeva dove fossero questi paesi, e così il vecchio signore glielo spiegò: “vedi amico mio” – disse con amore – “quando arriverai sulle prime colline, dovrai rimanere tra il bosco del monte Gavoia e il fiume Enza. Troverai una casa che si affaccia sulla vallata nei pressi della strada, con una 500 nera parcheggiata fuori. Ma fai attenzione, mi raccomando”.
Con queste parole i due si salutarono, e Rembrandt se ne andò con molta paura.
Decise di andarsi a prendere un succo di frutta per rilassarsi e pensare profondamente a quello che stava per fare. Sarà stato pericoloso? Doveva abbandonare la missione che gli aveva affidato Picasso? Ad un certo punto, ebbe un’illuminazione. Pensò: “Anche io sono un pittore, e so che i pittori mettono la loro anima nei quadri che dipingono. Dunque io tornerò alla mostra, e cercherò di capire la vera anima di questo Uomo dalla Scure!”.
Detto fatto, Rembrandt si recò nuovamente alla mostra vicino al Battistero. Il vecchio signore lo vide ma continuò a leggere la sua rivista. Rembrandt notò immediatamente che la mostra era suddivisa in 5 gruppi: c’erano i ritratti, gli animali, i paesaggi, le nature morte e i temi religiosi.
Lo colpì immediatamente la sezione degli animali, perché gli parve che il Gufo Reale avesse gli stessi occhi iniettati di sangue dell’Uomo dalla Scure. Vigorosi, grintosi e pericolosi. Rifletté tuttavia, che non sembrava malvagio, ma semplicemente un vero Gufo Reale, maestoso ed elegante, come doveva essere. Gli altri quadri con gli animali rappresentavano soprattutto cani da caccia, daini, cervi e pecore, mostrando più che un animo cattivo, una semplice attenzione a ciò che lo circondava. Questa impressione non venne smentita nemmeno dai paesaggi. Molti di loro ricordavano i modi di dipingere degli Impressionisti, come per esempio Monet. Altri, sebbene meno numerosi, ricordavano i modi di dipingere di Van Gogh. Tutti quadri, insomma, che non avevano nulla di truce come era stata la sua prima impressione vedendo il ritratto dell’Uomo dalla Scure. Proseguendo per la sala, ebbe un sentimento di pace e tranquillità anche osservando la sezione dedicata ai fiori, composta da piccole e delicatissime composizioni di fiorellini di campo. Rembrandt infine arrivò nella sezione dei ritratti, e qui rimase folgorato. Le persone non avevano la grinta dell’Uomo dalla Scure, ma erano spesso anziani del suo paese, e queste opere assomigliavano molto a come lui, Rembrandt, realizzava i suoi ritratti, infatti Rembrandt, sebbene fosse ancora un bambino, era già un bravissimo pittore. Fece qualche fotografia, uscì e se ne andò pensieroso.
Quella notte fece fatica a prendere sonno. Aveva il chiodo fisso di scoprire l’anima del pittore dalla Scure prima che si facesse giorno, quando lo sarebbe andato a cercare.
Si mise allora a sfogliare sul tablet le foto che aveva scattato ai quadri. Era incredibile come il suo giudizio iniziale stesse cambiando. Non gli sembrava più un feroce tagliatore di teste, ma un bravo pittore con riferimenti artistici molto distanti dalle invenzioni di Picasso.
In particolare si soffermò sui ritratti. Rembrandt ne mise in fila tre, dal più vecchio al più recente: uno fatto da lui, uno da Picasso e uno da Violante, e stette come incantato a riflettere per capire cosa poteva frullare nella testa dell’Uomo dalla Scure quando diceva che sarebbe andato a tagliare la testa a tutti quei pittori che rovinavano l’Arte modificando la realtà.
Ad un certo punto gli sembrò tutto chiaro. Violante Garulli non era un assassino sanguinario, era un pittore che amava visceralmente la grande Pittura, quella tramandata dai maestri del passato. Forse l’Uomo dalla Scure era solo il modo di Violante per gridare al mondo che nessuno doveva osare distruggere tutto quello che era stato conquistato in secoli di pittura.
Quindi forse non era cattivo. Nei suoi quadri leggeva infatti un’anima buona, ma determinata a difendere i valori della pittura tradizionale.
Con questo pensiero cadde nelle braccia del sonno, ancora vestito e con le scarpe.
La mattina dopo salì sulla corriera alla volta di Mediano, il paese di Violante. Era eccitato all’idea di incontrarlo, parlargli e chiarire che Picasso era anche lui un grande artista capace di rappresentare la realtà, ma che voleva inventare un nuovo modo di dipingere. Doveva anche verificare che l’Uomo dalla Scure fosse davvero buono, per dire a Picasso che poteva stare tranquillo. I pensieri della sera prima, tuttavia, gli giocarono un brutto scherzo: si addormentò sulla corriera, cullato dalle curve.
All’improvviso qualcuno lo svegliò di soprassalto. Era il controllore che voleva verificare che avesse il biglietto. Rembrandt glielo porse e chiese dove fosse. Era arrivato a Vetto! Aveva cioè già passato il paese di Mediano, dove avrebbe dovuto fermarsi. Disperato scese dalla corriera e cercò di capire come fare a tornare indietro. Guardò su Google e scoprì che era lontano per incamminarsi a piedi. Così pensò di fare come si faceva una volta. L’auto stop! Nessuno però si fermava… Solamente quando ormai aveva perso ogni speranza, una macchina mise la freccia. Un gentile signore alto e magro con numerose latte di colore nei sedili posteriori accostò e abbassò il finestrino. “Buongiorno bambino, hai bisogno di aiuto?” disse il signore. “Oh sì grazie mille” rispose Rembrandt. “Devo andare a Mediano – continuò – mi ci potrebbe accompagnare?”. “Va bene, sali in macchina” disse l’automobilista. Una volta in macchina i due iniziarono a chiacchierare. “Io mi chiamo Fernando, Fernando Chiosi, e sono un imbianchino e decoratore. Tu invece chi sei? E soprattutto, cosa fai qui tutto solo?”. Rembrandt si presentò, spiegò di essere un pittore e di essere lì per conto di Pablo Picasso, che era preoccupato dall’Uomo dalla Scure. Fernando, come udì quella assurda storia, scoppiò in una fragorosa risata. “Caro il mio Rembrandt, non ti preoccupare, conosco benissimo l’Uomo dalla Scure, è un mio caro amico, anzi, io lo considero un Maestro. È un bravissimo pittore, di grande fede Cristiana e molto legato alla tecnica pittorica classica, per cui non ama gli scarabocchi. Ma sai, qui in montagna siamo conservatori e molto legati alla tradizione”. Rembrandt si sentiva sollevato da quelle parole rassicuranti, gentili e competenti di quel suo nuovo amico. Così si fece dire dove Violante abitasse deciso ad andare a bussare alla sua porta. “Ti porto però all’Ufficio Postale” – disse Fernando – “perché lui lavora lì, mentre dipinge” e fece l’occhiolino a Rembrandt che non capì che cosa volesse dire. Scese dall’auto, salutò Fernando e ripensò alle sue parole quando disse che era un uomo di profonda fede Cristiana. In effetti nella mostra di Parma c’erano anche soggetti religiosi, in particolare delle teste di Cristo in croce, tratte da un famoso dipinto di Velazquez. Comunque, era a Mediano. Davanti a lui l’Ufficio Postale.
Entrò pian piano. Una campanella suonò al suo ingresso. Non c’era nessuno dietro al banco. “Permesso? C’è nessuno?” – disse Rembrandt. Pareva proprio che non ci fosse nessuno. Attese 5 minuti. Niente. Allora si fece coraggio e sbirciò nel retro del bancone… Sembrava fosse scoppiata una bomba! In terra c’erano decine di fogli, soldi e altre carte, mentre gocce di colore decoravano il pavimento come fossero coriandoli. Dapprima pensò a una colluttazione. Forse un ladro era entrato per rubare, Violante lo aveva assalito per difendere l’Ufficio e magari il ladro aveva avuto la meglio, lo aveva ucciso ed era scappato. Ecco perché non c’era nessuno! Rembrandt rabbrividì a quel pensiero. Fece un passo avanti per sbirciare nell’altra stanza, ormai preparato alla visione di un cadavere abbandonato nel suo sangue. Invece, nell’altra stanza, a parte il disordine, c’erano tante tavolette di compensato e di faesite appoggiate al muro, un vecchio cavalletto in mezzo alla stanza e sacchi di posta qua e là. Sembrava lo studio di un artista.
Driiin!
Proprio in quel momento la campanella della porta dell’Ufficio Postale suonò facendo prendere un colpo al piccolo Rembrandt. Si girò di soprassalto e davanti a lui comparve un uomo magro, lunga barba bianca ingiallita dal sigaro acceso in bocca, occhiali e cavalletto sotto l’ascella. “Cosa ci fai qui!?” – tuonò l’Uomo dalla Scure.
Tremando come una foglia, Rembrandt balbettò che stava aspettando che arrivasse e che si era spinto nel retro per verificare che non si fosse sentito male. Violante allora lo invitò gentilmente a uscire, ad accomodarsi e ad aspettarlo. Avrebbe chiuso l’Ufficio e avrebbe ascoltato quello che aveva da dirgli nel tragitto verso casa. Era una bellissima giornata primaverile e i due si incamminarono. Violante gli spiegò che essendoci poche persone in quel periodo, lui ne approfittava per andare nel prato lì vicino per aggiungere qualche pennellata ad un paesaggio a cui stava lavorando da diversi mesi.
Rembrandt gli svelò il motivo per cui si trovava lì, gli disse di Picasso e delle preoccupazioni che aveva. Gli spiegò anche che l’Uomo dalla Scure stava diventando un’ossessione pericolosa per il suo amico. Violante non credeva alle sue orecchie. La profezia dell’Uomo dalla Scure, che aveva declamato un giorno al suo amico e Maestro Claudio Spattini, si stava avverando. Il suo verbo e la sua filosofia stavano circolando tra i pittori! “Caro Rembrandt – disse Violante cogliendolo di sorpresa – prima di parlarti dell’Uomo dalla Scure, vorrei vedere i tuoi lavori. Hai detto di essere pittore anche tu, vero?”. Rembrandt trasalì… e se non gli fossero piaciuti? Cosa avrebbe fatto? Non sembrava del tutto normale, solo al pensiero della storia della Scure e al modo in cui gestiva l’Ufficio Postale… Poi però si ricordò di come i loro modi di dipingere si assomigliassero, così prese il coraggio a due mani e
gli mostrò qualche foto. Violante rimase estasiato. Quel bambino era un vero prodigio con il chiaroscuro! Violante lo subissò di domande, per capire come facesse ad ottenere quelle tonalità e quei giochi di luce. Rembrandt, lusingato, gli spiegò tutto quello che sapeva e le ore volarono via. Si accorsero a un certo punto di essere arrivati a sera senza aver mangiato niente a mezzogiorno. Però era stato bellissimo. Violante allora lo ringraziò e gli chiese di tornare. Ma Rembrandt non sapeva dove andare a dormire e a mangiare quella notte. Così Violante gli disse che poteva rimanere a casa sua. Con lui vivevano anche la moglie Maria e il figlio Paolo, poiché l’altro figlio, Pietro, gemello di Paolo, era tragicamente scomparso anni prima. Entrando in casa, Rembrandt vide subito un carboncino su carta che rappresentava San Michele che sconfigge il demonio, una copia da Raffaello. Violante, vedendo che lo stava osservando, gli spiegò che era un bozzetto per la pala d’altare che dipinse sul muro della chiesa di Mediano. Lì accanto un morbido autoritratto a matita faceva bella mostra di sé. Entrando in sala,
Rembrandt si soffermò sul ritratto dei suoi gemellini. Gli sembrava straordinaria la dolcezza che emanava da quel dipinto, se ripensava alla paura che aveva provato dinnanzi al quadro con la scure. E così glielo chiese a bruciapelo. “Come mai ti sei inventato l’Uomo dalla Scure?”. “Perché la scure è stata spesso l’arma delle rivoluzioni – disse Violante – Si tagliava una testa e si cambiava direzione. Io voglio che la pittura cambi direzione e torni ad essere quella grande Arte che era una volta, espressione di tecnica sopraffina, come fai tu. Dobbiamo avere rispetto della grande pittura! E poi, devi sapere che io sono nato a Scurano, un bellissimo paese qui vicino, tra l’Enza e il Monte Fuso, per questo mi firmo spesso Violante da Scurano, per cui la parola scure, in qualche modo, mi rappresenta”. Soddisfatto per quella risposta e ormai stanchissimo per la lunga giornata, Rembrandt chiese di andare a dormire. Aveva conosciuto Maria nel frattempo, la moglie, ma non aveva ancora visto il figlio Paolo. Quando andò in camera, Rembrandt si accorse che nel centro del letto c’era qualcosa sotto alle coperte. Era Paolo che stava riposando. Con estremo imbarazzo si infilò nel letto, cercando di non svegliarlo. All’improvviso però, Paolo aprì gli occhi e Rembrandt gridò dallo spavento. Era molto teso. Ma nessuno della casa accorse, e lui e Paolo rimasero lì, coricati l’uno accanto all’altro in quella strana situazione. Paolo non sembrava affatto spaventato o sorpreso. Si presentarono e si raccontarono la loro vita. Rembrandt fu colpitissimo dal racconto di quella persona, ormai adulta. Perché gli aveva spiegato di soffrire di depressione, per cui stava spesso a letto. Però, quando stava bene, era andato in televisione a “Lascia o Raddoppia” e aveva vinto tutto il montepremi rispondendo a difficilissime domande sulla storia della matematica. E poi, pur non essendo la sua una famiglia ricca, aveva donato la maggior parte dei soldi del premio ad associazioni che aiutavano gli animali.
Un animo nobile, non c’è che dire.
Chiacchierarono tutta la notte.
Intorno alle 5 del mattino, Violante irruppe nella stanza. “Rembrandt, svegliati, è ora di uscire. Vieni con me a dipingere l’alba?”. Rembrandt non aveva ancora chiuso occhio ma non poteva dire di no in quella circostanza. Scesero nel garage che fungeva da atelier e uscirono. Faceva ancora buio. C’era un freddo allucinante e la brezza soffiava nella valle. Posarono il cavalletto e aspettarono che i primi raggi del sole accarezzassero i crinali.
L’alba finalmente arrivò. Rembrandt era davvero distrutto, ma il piacere delle conversazioni con Violante lo rincuoravano. Stava iniziando a comprendere la sua grande cultura, semplicemente fuori dal tempo. Così come fuori dal tempo era per Violante l’arte di Rembrandt, tecnicamente del ‘600, ma espressione di un eterno presente dato dal livello di qualità eccezionale raggiunto.
Violante diceva di sé stesso di essere un matto savio: sapeva di essere fuori dagli schemi, e a volte gli piaceva anche apparire tale, come per esempio pedalando all’indietro o facendo altri numeri strani, ma quel che diceva e faceva aveva sempre una ragione teorica. Non voleva fare del male a nessuno, quindi Picasso poteva stare tranquillo, ma secondo lui, era Picasso che stava facendo del male alla pittura. Perché aveva fatto saltare tutte le regole che si erano costruite negli anni per produrre l’Arte con la A maiuscola. Dunque non poteva condividere questa nuova impostazione e voleva protestare pacificamente inventandosi il personaggio dell’Uomo dalla Scure che con un taglio netto ripristinava l’ordine delle cose.
Rembrandt era affascinato da quella visione, anche perché fondamentalmente era anche la sua. Così, mentre chiacchieravano, Rembrandt si sentì di dedicare un ritratto a quel particolare pittore innamoratissimo della pittura. Ne uscì un’opera che ancora oggi, gli studiosi, non capiscono come possa aver attraversato i secoli sfidando le leggi dello spazio-tempo. Ma lo abbiamo detto. Violante era fuori dal tempo rispetto all’arte del XX secolo, ma era perfettamente nel suo tempo se si considera la Valle dell’Enza nel
dopoguerra. Lui infatti era nato nel 1918, quando c’erano la pandemia, il coprifuoco, le mascherine, i razionamenti… (Sì, qualche dubbio può venire, ma non era il 2020!). Tornato dal campo di lavoro in Germania, dove si salvò per aver dipinto la mensa del lager, fece numerosi ritratti tecnicamente perfetti e fotografici, perché i suoi committenti, ossia le persone del suo paese, volevano che il pittore facesse gli ingrandimenti alle fotografie dei loro cari e
nulla di più. Non è un caso che quelle foto, da cui Violante negli anni ’40 ricavò i suoi ingrandimenti a carboncino, siano spesso le foto che le famiglie avevano utilizzato per le tombe degli stessi. Un legame fortissimo connetteva dunque Violante alla sua terra e ai suoi valori, ai quali metteva a disposizione la sua profonda cultura. Aveva frequentato per poco tempo l’Istituto d’Arte di Parma, ma da autodidatta non smetté mai di approfondire e di studiare, come il figlio Paolo, che nel campo della matematica potrebbe aver fatto alcune scoperte che solamente i posteri ci diranno se confermate o meno. Una famiglia di geniacci, di matti savi, come diceva Violante. Una famiglia fuori dagli schemi, che ha contribuito alla notorietà della media Val d’Enza.
Mentre tornava a Parma, Rembrandt si addormentò sulla corriera. Si svegliò al capolinea, davanti al cimitero della Villetta. Fece una passeggiata dentro, perché il suo treno che lo avrebbe riportato a Parigi da Picasso, era ancora molto lontano. Passeggiando tra le tombe, si trovò dinnanzi ad una lapide con scritto “Claudio Spattini, pittore”. Aveva già sentito quel nome. Al suo arrivo a Parma aveva visto un bellissimo catalogo dedicato a lui in una libreria del centro, e poi gliene aveva parlato anche Violante.
Rembrandt fissò intensamente la fotografia di Claudio sulla lapide, lo salutò con riverenza, e lui gli fece l’occhiolino.
Stretta la foglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia.